Jacopo e sua mamma

L’ALTRA IRPINIA di Giuseppina Volpe*

L’idea di dedicare una rubrica mensile a dei casi di disabilità presenti sul territorio irpino nasce dalla volontà di raccontare le vite di tanti nostri conterranei che quotidianamente devono fare i conti con degli ostacoli (burocratici, fisici, sociali, politici) alla loro piena realizzazione. Daremo voce a loro ed alle loro famiglie e racconteremo, attraverso le singole storie, cosa significa avere una disabilità se si vive in provincia di Avellino.

Manifesto della Associazione ‘Noi, un sorriso e gli autismi’

«IL MIO NOME è JACOPO E SONO UN BAMBINO AUTISTICO». Jacopo ha dieci anni, ha una passione per i videogiochi, il disegno ed il cibo. Ha un fratello maggiore e tanti amici e, vivendo in un piccolo centro come Montella, ha la possibilità di uscire da solo con loro il sabato sera per un panino. È uno di quei ragazzi autistici che si definisce “ad alto funzionamento” (che fa tanto robottino, ma è una classificazione medica che si usa) perché – tra le altre cose – parla, si muove bene, ha delle stereotipie che riesce a gestire, segue l’ordinario programma scolastico. “Avere una diagnosi di autismo – mi dice la madre, referente della provincia di Avellino dell’Associazione ‘Noi, un sorriso e gli autismi’ – non è affatto cosa semplice, soprattutto se – come nel caso di Jacopo – le prime visite si fanno in tenera età. Io e mio marito abbiamo cominciato a sospettare che Jacopo avesse qualche difficoltà quando lui aveva solo due anni e mezzo e grazie alle indicazioni di altri genitori (non del pediatra, in verità) facemmo la nostra prima visita presso un noto centro convenzionato del Capoluogo. La diagnosi fu di ‘disturbo multisistemico”. Capimmo presto che quella è la prassi quando ci si trova di fronte a bambini molto piccoli. Non si rischia di diagnosticare un autismo di cui non vi è assoluta certezza. Ma non ci siamo fermati lì. Ci siamo rivolti prima all’Ospedale ‘Bambin Gesù’ di Roma, poi al Policlinico di Napoli ed infine – su indicazione dell’associazione che oggi rappresento – all’ASL di Cava dei Tirreni e qui – dopo oltre sei anni dalla prima diagnosi – a Jacopo è stato diagnosticato un ‘disturbo dello spettro autistico’. Avevamo già iniziato delle terapie privatamente, per fortuna, perché al centro convenzionato con l’ASL il nostro turno nella lista d’attesa sarebbe arrivato solo dopo tre anni!”.

I PROBLEMI DELL’ACCOMPAGNAMENTO. Sarà per l’“alto funzionamento”, ma a Jacopo non è stato ancora riconosciuto il famigerato “accompagnamento” e la famiglia è in causa per ottenerlo da due anni, durante i quali l’unico sostegno economico per Jacopo è stata l’Indennità di frequenza, per i soli mesi in cui è andato a scuola, di circa € 280 al mese. D’estate nemmeno quelli! In Italia, purtroppo, ancora non esiste una normativa specifica per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento da parte dell’INPS ai soggetti rientranti nei cd. “disturbi dello spettro autistico”, né tantomeno un automatismo nel riconoscimento (pur essendo assolutamente impossibile per un autistico attendere alle proprie esigenze quotidiane in totale autonomia), e così i bambini autistici devono sottoporsi a delle orinarie valutazioni mediche, seppur recentemente guidate da alcune indicazioni “minime” dell’ente previdenziale. “Nel verbale della visita per il riconoscimento dell’accompagnamento – mi dice sempre la madre – si legge che ‘il soggetto non beve, non fa uso di sostanze stupefacenti, ha un addome trattabile e non presenta disturbi a livello psichico e psicologico. Incredibile! Mi è sembrato per un momento di scoprire che mio figlio non fosse più autistico! Purtroppo ci sono tanti casi analoghi a quello di Jacopo in cui la famiglia beneficia già dell’indennità; ma anche tanti casi ben più gravi in cui invece non è stata riconosciuta. Ci vorrebbe un iter specifico per la valutazione di questi disturbi, anche se non è – ahimè – immaginabile che un autistico possa essere del tutto autonomo ed in grado di autodeterminarsi”. E non solo. Gli autistici sono soggetti a visita di revisione, come se potessero guarire. Ma dall’autismo non si guarisce, purtroppo. Si fanno grandi passi avanti con l’ausilio di professionisti e strumenti adeguati, ma non si guarisce. Ed anche i passi avanti, soprattutto in certe zone del paese come al sud, non sono alla portata di tutti. Proprio nel caso di Jacopo, i genitori hanno scelto una terapista privata, che lo segue da oltre sette anni. Si tratta, però, di un costo che molti genitori non possono sostenere. Se, tuttavia, vivi a Montella e vuoi usufruire di terapie in strutture pubbliche o convenzionate con l’Asl al di là del fatto che potresti imbatterti in inchieste giudiziarie o in interruzioni di pubblico servizio, in ogni caso i posti a disposizione sarebbero una minima percentuale rispetto alle esigenze e le liste d’attesa sono già complete per tutto il 2019! Si parla di un centro per l’autismo che dovrebbe sorgere presso l’ospedale Criscuoli di Sant’Angelo dei Lombardi, ma per ora è solo un progetto (così come progetto è rimasto – pur essendoci addirittura già la struttura – un centro specializzato ad Avellino). “Nel primo centro convenzionato con l’ASL al quale ci siamo rivolti, non molto distante da Montella, ed anche nella struttura ospedaliera della capitale mi dissero che Jacopo non avrebbe mai parlato, che non avrebbe mai detto la parola mamma! Io non ho voluto crederci e ci siamo rivolti ad una logopedista privata e oggi Jacopo parla, eccome, pure troppo! Quindi, ahimè, anche in questo ramo del sistema sanitario nazionale ci sarebbe bisogno di personale qualificato, di continui aggiornamenti, di strumenti che possano competere con il privato ed alleggerire gli oneri economici delle famiglie”.

I PROBLEMI DELL’ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA. Per non parlare delle enormi falle del sistema scolastico, in cui il sostegno raramente è sinonimo di specializzazione e, soprattutto, sconta delle difficoltà organizzative che possono tradursi in scarsità di ore, continui cambi dell’insegnante, indisponibilità sin dai primi giorni di scuola. Montella, però, è uno di quei paesi irpini dove si fa molto per garantire l’inclusione dei bambini e ragazzi con disabilità e, anche grazie ai tanti strumenti di cui dispongono oggi le scuole europee, non mancano corsi, laboratori teatrali e musicali, ludoteche estive a misura di esigenze particolari.
La vera incognita rimane il futuro. Tutte le famiglie con ragazzi disabili, non solo in Irpinia purtroppo, si chiedono come sarà la vita adulta dei loro figli. “Mi chiedo ogni giorno cosa sarà di Jacopo ‘dopo di noi’. Se riuscirà ad avere una propria vita, senza pesare sul fratello e condizionare i suoi progetti, se sarà costretto a vivere in una struttura o potrà, magari, usufruire di aiuti per vivere autonomamente”

LA LEGGE SUL ‘DOPO DI NOI’. La legge sul “dopo di noi” n. 112/2016 sta avendo, al momento, attuazione solo in alcune regioni e presenta gravi mancanze rispetto alle richieste dei diretti interessati, oltre che scarse risorse dedicate come sempre in Italia. Quello che, invece, bisognerebbe cominciare a fare è costruire una solida rete territorio-famiglie in grado di realizzare progetti di inclusione mirati. Nel caso di Jacopo, ad esempio, le sue capacità gli permetterebbero sicuramente di poter gestire un impegno lavorativo e non sarebbero impensabili anche dei progetti locali di co-housing, grazie alla collaborazione della cittadinanza. La rete va costruita, in particolare, con le nostre piccole imprese locali (per lo più familiari), sfruttando il senso di umanità e la fiducia che ancora sopravvivono nei piccoli territori come l’Irpinia. Non bisogna più pensare che gli esempi virtuosi di welfare, anche dal basso, non possano appartenere all’Italia o al Sud.

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