Violenza di genere, Bruno: “Serve il carcere duro, rivedere le norme”

L'Osservatorio Regionale per il Fenomeno della violenza di genere promuove un incontro con istituzioni, giornalisti, magistrati e avvocati per discutere dell'esecuzione della pena inflitta all'autore del femminicidio fra attenuanti e aggravanti

Dal processo si stabilisce una condanna a 30 anni di carcere, che diventano 12 in appello, e in poco tempo si torna in libertà. E’ il profilo dell’iter giudiziario del cosiddetto “autore della violenza”- del femminicida- formulato dall’Osservatorio Regionale campano sul Fenomeno della Violenza di Genere, che decide di aprire il dibattito sulla fase successiva alla denuncia che concerne l’applicazione della pena, soggetta ad eccessive attenuanti. L’organismo regionale guidato dalla Presidente Rosaria Bruno solleva una delle questioni più spinose affrontate oggi nelle aule di tribunale, incaricate di tradurre le disposizioni normative in provvedimenti. Per accendere i riflettori sul tema e aprire un dibattito su un terreno ancora in fase di studio da parte dell’avvocatura e della magistratura ordinaria, l’Osservatorio ha deciso di fare la sua parte e ha promosso un confronto fra gli operatori della giustizia, giornalisti, testimoni e vittime di femminicidio, istituzioni e operatori dell’osservatorio stesso.

Il manifesto del convegno

Nell’aula magna dell’Università Parthenope di Napoli, un ricco parterre di relatori si è confrontato sul tema: “Lei dice no e lui l’ammazza. E dopo? Focus sulla quantificazione della pena fra aggravanti e attenuanti. Effettiva esecuzione della pena fra benefici e misure alternative”. Sono intervenuti per i saluti istituzionali Luigi Riello, Procuratore Generale della Corte d’Appello di Napoli, e Carmela Pagano, Prefetto di Napoli. Gli interventi sono stati affidati a Deborah Riccelli, autrice del libro “Mille e più farfalle”, Fabio Roia, Presidente della Sezione “Misure di prevenzione” del Tribunale di Milano, Giovanna Cacciapuoti, avvocato patrocinante in Cassazione del foro di Napoli, Carlo Fucci Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Isernia, e Giusi Fasano, giornalista de Il corriere della Sera, autrice del blog “La 27ma ora”. Le conclusioni, infine, sono state affidate a Rosaria Giampietraglia, presidente Cug dell’Università Parthenope, Simonetta Marino, delegato alle pari opportunità del Comune di Napoli, Chiara Marciani, assessore alle pari opportunità della Regione Campania, e infine Francesco Urrao, Senatore della Repubblica, componente della Seconda Commissione Permanente Giustizia.

Un focus inedito per l’Osservatorio campano, che inaugura un percorso nazionale sulla tematica, cercando di individuare le criticità che insistono nella fase successiva alla denuncia, scavando nelle maglie del procedimento giudiziario. La questione che pone l’organismo è l’applicazione delle cosiddette ‘premialità’ della pena, che viene ridotta sensibilmente fino alla libertà. “Avvertiamo la necessità di sollevare un confronto sull’applicazione della pena per reati di violenza e femminicidio, ma anche sull’efficacia dei provvedimenti che concernono la rieducazione e la repressione” ha spiegato la presidente Bruno. “Lo sconto di pena e le attenuanti applicate derivanti dall’accesso al rito abbreviato non sono un deterrente alla violenza, e gli addetti ai lavori del panorama giuridico devono valutare questo aspetto per fornire una risposta alle vittime, ma anche se concedere o meno- a seconda del caso- una premialità”.

Altro aspetto sollevato nel corso del dibattito è stata la concessione dello sconto di pena per buona condotta. Una prassi giuridica che riduce sensibilmente la pena ma espone ‘il carnefice’ o ‘l’assassino’ a recidiva. Di qui gli innumerevoli casi di denunce reiterate da parte delle vittime, sovraesposte al rischio di femminicidio qualora il carnefice esca di galera.

“L’Osservatorio intende far luce sulla questione e dare il suo contributo sulla valutazione dello sconto di pena e i benefici che vengono applicati” continua la presidente. “E’ necessario introdurre nuove norme che la rendano effettiva e che la buona condotta sia connotata da particolare gravità. Siamo di fronte ad un allarme sociale, dannoso per la percezione di sicurezza della collettività”. Illuminante per il parterre si è rivelato l’intervento di Carlo Fucci, Procuratore presso la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, esperto in materia di femminicidio per la mole della casistica affrontata.

Determinanti sotto il profilo della narrazione della realtà sono state invece le testimonianze. Giovanna Cacciapuoti ha presentato una disamina sullo stato dell’arte per la difesa nel percorso agevolato, e Susi Fasano, giornalista e blogger del Corsera ha aggiunto un altro tassello all’analisi del percorso giudiziario: la vittima e i familiari della vittima e l’autore della violenza non si incontrano mai nei tribunali, e la vittima viene spesso registrata come ‘la grande assente’ (si tratta di persone uccise). L’annotazione arriva dai magistrati stessi: nel processo il protagonista è il fatto commesso dall’autore.

Dal confronto dei tre canali della giurisprudenza riuniti al tavolo- avvocatura, Corte d’Appello e magistratura ordinaria- è emersa una criticità che si apre a seguito dell’applicazione della pena, che riguarda l’esecuzione. Un aspetto che richiama alla responsabilità anche il regime penitenziario e su cui latita un intervento del legislatore. Fra le premialità per buona condotta e i regimi di semi libertà, manca un reale deterrente in grado di reprimere il reato. Intanto da giugno 2018 è stato introdotto l’ergastolo.

Magistrato presso il tribunale di Milano

In Crimini contro le donne edito da Franco Angeli Editore, Fabio Roia sostiene che le pene non vengono applicate con la necessaria competenza “né con quella tempestività che sarebbe indispensabile”. La “timidezza interpretativa” di cui parla Roia, è causa di mancati interventi con provvedimenti adeguati nei confronti di uomini violenti: la normativa italiana tutela la donna vittima della violenza domestica, ma gli operatori giudiziari, polizia, avvocati ed anche gli stessi magistrati, non sempre applicano con la necessaria precisione ed efficacia i numerosi istituti processuali e sostanziali  esistenti”.


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