Ferramenta, lavanderie e compravendita dell’usato. Così cambiano i consumi in Irpinia

La povertà espressa dalle statistiche Istat si declina nel drastico cambiamento delle abitudini dei consumatori, che spendono al discount alimentare, preferiscono prodotti cinesi a prezzi ridotti a discapito della qualità offerta dal made in Italy e aspettano l'occasione al mercato dell'usato

Con la crisi e la mancanza di lavoro cambia anche lo stile dei consumi in Irpinia. “Le persone che vivono in povertà assoluta in Italia hanno sfondato quota 5 milioni nel 2017” tuona l’Istat. “Soffre il Mezzogiorno, dove l’incidenza della povertà assoluta aumenta sia per le famiglie, sia per gli individui, soprattutto per il peggioramento registrato nei comuni Centro di area metropolitana e nei comuni più piccoli fino a 50mila abitanti”. Sulla scia di questo allarme, si sono confrontati economisti, sociologi e imprenditori, per poi convergere sulla bilancia della politica nel dibattito sul reddito di cittadinanza e sulla necessità di intervenire per somministrare liquidità nelle tasche della popolazione.

Parliamo di statistiche insomma. Numeri che accendono spie, ma raccontano ben poco, per questo proponiamo un breve tour fra i piccoli comuni della provincia di Avellino, e verificare da vicino gli andamenti dell’economia reale, con particolare riferimento ai consumi e alle piccole attività commerciali. In particolare, abbiamo rilevato nuovi segmenti del commercio, che tracciano reazioni alla ‘povertà’ ma anche evoluzioni.

Siamo stati dal ferramenta, in una lavanderia a gettoni, in un negozio di compravendita di mobili usati, e abbiamo sbirciato i flussi nella stessa giornata, nel discount alimentare e in un ipermercato consociato alle grandi catene di distribuzione. Sono emersi particolari interessanti. Intanto che il flusso del discount alimentare è nettamente superiore a quello di un ipermercato classico.

Il ferramenta, per iniziare, è il settore del commercio che più di altri risente della crisi e della scarsa capacità reddituale. Il proliferare di negozi cinesi e megastore provvisti di tutto e di più ha colpito il classico ferramenta in modo particolare. “Le persone vanno dai cinesi perchè il consumo oggi si basa sull’usa e getta e i costi sono ridotti. Da noi la merce costa di più” conferma il titolare di un esercizio. “Per non parlare poi dei grandi centri di distribuzione come Ikea e Progress, che hanno contribuito a togliere a noi il mercato, già bersagliati dai cinesi che propongono merce di materiali a bassissimo costo”. Nei megastore cinesi in effetti è possibile acquistare articoli per la casa, ma anche materiale elettrico, accessori, intimo, abbigliamento e detersivi. “La pittura che propongo io non ha nulla a che vedere con quella a basso costo, ma le persone non considerano la possibilità di venire qui e avere consigli, incentivare il made in Italy e sostenere i piccoli commercianti come noi soffocati dalle tasse”. Rispetto a qualche anno fa, gli stessi investimenti dei commercianti sono calati in maniera drastica. Nessun esercente azzarda grossi acquisti all’ingrosso, ma si limita allo stretto necessario. “Riusciamo a vendere ancora attrezzi per agricoltori, barattoli per le conserve in vetro, ma si tratta sempre di investimenti mirati da parte nostra”. Altro nodo irrisolto, il congelamento dell’edilizia, che frena i consumi con forti ricadute anche sul commercio al dettaglio del materiale edile. “L’edilizia è bloccata e attendiamo una ripresa del settore. La ferramenta va di pari passo con le costruzioni, e con l’occupazione. Io chiederei una differenziazione sulla pressione fiscale: non è giusto che un negozio di un piccolo paese paga le stesse tasse di un negozio di città. Inoltre paghiamo tasse per servizi che non abbiamo” ha dichiarato.

Poi c’è la lavanderia a gettoni, che contrariamente a quello che si immagina, non ha sostituito l’attività classica di lavaggio e stireria, ma si è affiancata. Nel solo comune di Lioni insistono ben tre lavanderie classiche e due a gettoni. Una di queste è gestita da Filomena Recce, pioniera del settore da 5 anni. La sua è una lavanderia self service, che gestisce in un locale nel centro del paese, e che segue con dedizione e passione, senza trascurare nuovi progetti. “Ero alla ricerca di un settore commerciale nuovo da esplorare, perchè avevo voglia di proporre qualcosa di innovativo” ha spiegato. “Nei piccoli paesi come questi è difficile inserirsi con prodotti nuovi e ci vuole del tempo per farli capire alle persone: il mio non è un distributore automatico di detersivi, nè posso lasciare che l’attività si gestisca da sola” confessa. Filomena conferma infatti la necessità di dover sostenere e guidare le persone più anziane, sull’uso dei gettoni ma anche dei macchinari. “Sbaglia chi immagina che questo tipo di attività si autogestisce”. Oltre al lavaggio e asciugatura, l’attività si è espansa: da qualche mese si occupa anche di rigenerazione di capi in pelle, tappeti, scarpe, passeggini, carrozzine e sediolini per auto. Si tratta di un segmento del tutto inesplorato, e che punta ad andare incontro alle nuove esigenze del consumatore, che non è più orientato all’usa e getta, ma al recupero dei capi di qualità. “Si tratta di un modo per lasciarci alle spalle il concetto dell’usa e getta, che non è più sostenibile, ma apre all’ottica del riutilizzo. Ho un tecnico che mi segue, e lavoro su capi che devono essere rigenerati. Ho l’esclusiva di zona, per macchinari e prodotti, ma c’è anche la mia manualità che non è un fattore trascurabile” continua. Lei infatti rivendica con grande soddisfazione il ruolo di artigiana, e sottolinea che spesso il suo impegno lavorativo viene sottovalutato. Chissà che un domani possa guardare al distretto conciario di Solofra e immaginare una espansione dell’attività. “Al momento sono l’unica in provincia, ma non ho ancora elaborato progetti” poi ritorna al tema della povertà: “Alla lavanderia self service si viene per risparmiare, ma anche per lavare dei capi particolari, come piumoni e coperte. Nonostante ci siano ancora resistenze e qualche diffidente, la mia clientela arriva anche da paesi limitrofi e il mio lavoro è sempre cresciuto nel tempo”.

Ina è la titolare di un negozio di compravendita di mobili usati da sette anni, che gestisce con suo marito Angelo, a Lioni. “L’idea di aprire un negozio è venuta con  mio marito, perchè lui lavorava già nel settore dei traslochi. C’erano mercatini dell’usato, ma ad Avellino e a Salerno, e con la crisi che si è abbattuta sull’antiquariato (pezzi unici di grosso valore), abbiamo pensato di aprire la nostra piccola attività” racconta. “Oggi ci sono alti e bassi in questo settore: noi vendiamo in conto vendita, ma tutto ruota intorno alla possibilità di ‘fare l’affare’, ovvero tutti aspettano che i prodotti scendono di prezzo”. L’affare nell’affare dunque. Ma chi si rivolge a voi? “In genere viene da noi chi cambia casa, si trasferisce o vende, e tende a disfarsi di gran parte dell’oggettistica. Molti trasferiscono da noi la mobilia e vengono a prendersela appena possono per risparmiare sul costo del trasloco, un servizio che garantiamo anche noi, ma che non viene richiesto”. L’attività è una intermediazione fra domanda e offerta sui mobili usati, ma stando alle parole di Ina, il segmento non ha inficiato i mobilifici classici, nè il design low cost di Ikea. “Le persone che vogliono comprare attendono i 60 giorni stabiliti prima della riduzione del prezzo: si attende l’occasione dell’usato. Il prezzo si determina attraverso una doppia valutazione: quella dell’offerente, e la nostra, che conosciamo la domanda che può avere un determinato mobile, o un oggetto” conclude.


ARCHIVIO. LA FRENATA DEL PIL METTE A RISCHIO IL MEZZOGIORNO

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