A Nusco si rinnova la tradizione di Sant’Anduonu

Dal 19 al 21 gennaio il borgo altirpino ospiterà uno degli appuntamenti invernali più attesi: la “Notte dei Falò”

A Nusco si rinnova la tradizione di Sant’Anduonu, ricorda l’Officina Culturale La Casa di Giuseppe Casciaro, attraverso una nota firmata da Marco Storti in vista dell’evento. Dal 19 al 21 gennaio Nusco ospiterà uno degli appuntamenti invernali più attesi: la “Notte dei Falò”. Di seguito il testo.

A Nusco si rinnova la tradizione di Sant’Anduonu (dall’Officina Culturale La Casa di Giuseppe Casciaro)

SANT’ANDUONU

di Marco Storti | Nota dall’Officina Culturale La Casa di Giuseppe Casciaro

Una tradizione che si rinnova nei secoli, che accende il sentimento di appartenenza, che fa sentire a casa tutti, nuscani di origine e di adozione. Stiamo parlando della “Notte dei Falò”, una ricorrenza che dopo secoli è ancora celata nel mistero, un rituale conteso tra magia e religione, sacro e profano. Come ogni anno, quest’anno il 19/20/21 gennaio 2024, il piccolo borgo di Nusco, ospiterà uno degli eventi invernali più attesi: la “Notte dei Falò”. La sua storia è legata ad antiche leggende, che riconduce questa tradizione a S. Antonio Abate, che nel dialetto nuscano prende il nome di “Sant’Anduonu” e che viene celebrato dalla Chiesa il 17 gennaio. Uomo di fede e anacoreta che influenzò la vita e le abitudini di molti fedeli e rappresentanti della Chiesa Cristiana, nacque intorno al 250 d. C. in Egitto, all’età di ventuno anni abbandonò le sue terre per vivere una vita da eremita. La sua immagine, nelle raffigurazioni e nei dipinti, viene affiancata da un maiale, simbolo delle tentazioni carnali, e da un bastone a “T” che indica “TAU”, la 19° lettera dell’alfabeto greco. La sua storia e le sue vicende sono narrate da Sant’Atanasio, suo discepolo e sostenitore, il quale contribuì a far conoscere la figura del Santo in tutta la chiesa. Il distacco dalla vita terrena e la scelta di una vista ascetica e solitaria ha fatto di Sant’Antonio Abate un simbolo di austerità e di sacrificio. Visse per circa ottanta anni in solitudine fino alla sua morte, avvenuta nel 356 d.C. Questa ricorrenza ricorda la sfida vinta dal Santo contro il demonio. Una leggenda popolare, che rielabora il ben più noto mito di Prometeo, narra che, in antichità, l’uomo, non conoscendo l’esistenza del fuoco, era costretto a sopravvivere al freddo, Sant’Antonio abate, preso dalla compassione, si recò all’inferno con al seguito il suo maialino e il suo bastone di ferula. Una volta arrivato alle porte degli inferi, Lucifero e gli altri diavoli lo bloccarono senza farlo proseguire. Il maialino riuscì, però, a infiltrarsi creando un gran subbuglio. I diavoli furono così costretti a far entrare Sant’Antonio per prendere l’animale e portarselo via. Approfittando di questo trambusto, il santo riuscì ad avvicinare il suo bastone di ferula (pianta erbacea che a diretto contatto col fuoco si annerisce ma non brucia) alla brace conservando al suo interno il fuoco: a quel punto richiamò all’ordine il maialino ed uscì. Una volta sulla terra, al santo bastò soffiare sul suo bastone per farne scaturire delle scintille che si sparsero per tutta la terra, accendendo una catasta di legna, ha donato un prezioso elemento agli uomini. Iniziò a crearsi la credenza che il Santo portasse con sé poteri taumaturgici per contrastare una malattia molto diffusa un tempo, chiamata non a caso “fuoco di Sant’Antonio” (nel linguaggio scientifico “Herpes Zoster”). Fin dal XVII secolo, infatti, i falò di Sant’Antonio hanno dato vita a una tradizione che mescola insieme sacro e profano. A quei tempi, infatti, si usava distribuire nel Regno di Napoli il cosiddetto “Pane di Sant’Antonio”, ottenuto con la parte più pura del grasso di un porcellino, alimento ritenuto protettivo contro l’infezione del “fuoco di Sant’Antonio”.
Nel Borgo irpino l’accensione dei fuochi si riconduce alla terribile pestilenza del 1656 che solo a Nusco contò 1200 vittime. I falò venivano visti come rimedio per allontanare l’infezione, in segno di purificazione e per poter richiamare la protezione del “Sant’Antuonu”. Nell’antico rituale che si rinnova, dove cultura, arte, musica, cucina, balli e divertimento si uniscono in un indissolubile patto che lega la tradizione a chiunque vuole farsi riscaldare il cuore dal falò ardente, veniteci a trovare in quel di Nusco, e lasciatevi travolgere dalla spettacolarità di tanta bellezza.


TAGS:

Marco Storti, Nusco, Officina culturale “La Casa di Giuseppe Casciaro”, Sant’Anduonu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Nusco si rinnova la tradizione di Sant’Anduonu

ARTICOLI CORRELATI