‘La bambina di odessa’, Tiziana Ferrario: vita oltre la guerra

Una storia che reca in sé singulti di dolore, custoditi sempre dentro di sé in un silenzio, denso di consapevole sofferenza, ma che non ha mai dato spazio alla disperazione e ha continuato a vivere nella speranza della verità, anche quando essa sembrava perdersi nei rivoli dell’indifferenza e della menzogna

‘La bambina di odessa’, Tiziana Ferrario racconta la vita oltre la guerra. Una storia che reca in sé singulti di dolore, custoditi sempre dentro di sé in un silenzio, denso di consapevole sofferenza, ma che non ha mai dato spazio alla disperazione e ha continuato a vivere nella speranza della verità, anche quando essa sembrava perdersi nei rivoli dell’indifferenza e della menzogna.

‘La bambina di odessa’, Tiziana Ferrario

L’autrice, in questo periodo di guerre e rivolgimenti sociali ha voluto dare una grande testimonianza del valore umano di questa donna, che lei aveva conosciuto da ragazza e aveva sempre ammirato per la sua forza interiore, riuscendo a penetrare, con estrema delicatezza e comprensione, attraverso i suoi scritti, la reale profondità emotiva di una donna, che, pur attraverso sventure personali, è sempre riuscita a rialzarsi. Lydia Franceschi ha serbato in sé la forza e la continua ricerca di un miglioramento per sé e per gli altri, attingendo alla vita di suo padre Amedeo, che con suo fratello si era imbarcato a Genova con destinazione Odessa “con poche cose e tanti sogni di una vita migliore e senza più guerra”, per scappare dalla sventura di finire nelle mani dei fascisti. Al loro arrivo ad Odessa, avevano cominciato a lavorare al porto : la rivoluzione bolscevica era il loro sogno e si erano sempre battuti per la libertà. L’incontro con Lydia che era la sua interprete e insegnante rappresenta un momento importante, che tuttavia durerà poco, perché lei morirà presto, chiedendogli di dare il proprio nome alla loro bambina. L’esistenza di Lydia sarà attraversata da molti momenti difficili e sarà influenzata dal grande vuoto che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita, a causa della perdita di sua madre e dalla mancanza d’amore, nonostante il profondo legame con il padre Amedeo, l’unica luce, con cui si sente libera di esprimersi. La morte improvvisa del padre la getta nello sconforto, viene chiusa in orfanotrofio, dove viene trattata molto male, ma la salverà la sua determinazione e la sua forza interiore che non l’abbandonerà mai. Riesce a conseguire il diploma e si iscrive alla facoltà di Chimica, una vera pioniera in quegli anni. Il suo profondo senso di giustizia e di impegno la porta a diventare negli anni una staffetta partigiana, entrando nella Resistenza. Vive profondamente l’emozione di votare la prima volta il 2 giugno 1946 e avverte l’importanza storica di quell’atto. L’incontro con Roberto, il cui nome in realtà era Mario, rappresenta un punto di svolta: condivide con lui che era stato partigiano, una profonda comunione di intenti e un legame fortissimo. Quel nome, Roberto, diventerà il nome del loro primo figlio, una sorta di filo del destino: egli sarà sempre un ottimo studente e conseguirà ottimi risultati a scuola e si batterà con impegno politico a favore dei più deboli, forte dei valori che gli aveva trasmesso lei. Il lavoro di Lydia come insegnante in una scuola di periferia rappresenterà una grande esperienza formativa: spingeva i suoi studenti a maturare una coscienza critica, in un periodo, come quello degli anni ’70, attraversato da violenza e sangue. Il funerale di Giuseppe Pinelli, morto in un commissariato di polizia, a cui Roberto Franceschi e gli altri parteciparono numerosi, diventa un momento di profonda riflessione politica e consapevolezza dell’urgenza di un cambiamento. Il momento più tragico della vita di Lydia sarà il 23 gennaio 1973, quando suo figlio Roberto sarà ucciso, a vent’anni, durante gli scontri in piazza a Milano da un’arma in dotazione della polizia. Questa tragedia sconvolgerà la vita di Lydia , poiché ”era morta la vita, l’essenza e il perché”, qualcosa si spezza irrimediabilmente in lei, ma, ancora una volta, la sua forza interiore prende il sopravvento e la salva. Al funerale, a cui partecipano centomila persone, lei nasconderà in un silenzio composto, il suo disperato dolore e ricorderà le parole, in un certo senso profetiche del figlio: “Se mi dovesse succedere qualcosa, tu devi continuare nella mia lotta”. Negli anni successivi, l’impegno di Lydia, di suo marito e di sua figlia Cristina avrà come scopo la lotta per avere giustizia per l’uccisione di suo figlio e dovrà lottare tantissimi anni contro i depistaggi della polizia e le prove occultate. L’enorme vuoto che Roberto aveva lasciato nel suo cuore non le impedirà di cercare di difendere i diritti di tutti, soprattutto di quelli svantaggiati, che, attraverso la creazione di docenti di sostegno nelle scuole, opportunamente formati, avranno la possibilità di imparare, rispettando i loro bisogni. Lydia era consapevole che ”non si può vivere nell’odio, non si semina niente” e, per tutta la sua vita, ha combattuto contro i soprusi, facendo approvare anche le 150 ore di diritto allo studio per gli operai, perché tutti potessero avere le stesse possibilità di migliorare la propria condizione. Una vita, quella di Lydia Franceschi, che deve costituire un esempio per tutti, per la sua coerenza, la sua specchiata onestà, il valore dato agli altri e il ricordo imperituro del figlio Roberto, attraverso la Fondazione a lui dedicata.

Ilde Rampino


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‘La bambina di odessa’, Tiziana Ferrario racconta la vita oltre la guerra

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