“Azzurro amianto” di Emilia Bersabea Cirillo

La ricerca di colpe nascoste che hanno causato morte e disperazione echeggia tra le pagine di questo bellissimo libro in cui scavare rappresenta il tentativo di portare alla superficie dolore e rimpianto

“Azzurro amianto” di Emilia Bersabea Cirillo. La ricerca di colpe nascoste che hanno causato morte e disperazione echeggia tra le pagine di questo bellissimo libro in cui scavare rappresenta il tentativo di portare alla superficie dolore e rimpianto.

Matilde ed Ausilia, due facce di una stessa medaglia, che vivono in un vagone e
nascondono, dietro un atteggiamento strano, una profonda solitudine interiore e un
senso di impotenza. Le due donne sono sedute su una panchina e respirano amianto, un ”destino già scritto” che aveva causato la morte di tanti operai: figure immobili e quasi intrecciate da formarne una sola. Quelle due donne, che provavano nel cuore una profonda amarezza cercavano giustizia, in una lotta impari, in quel quartiere dimenticato, un ”cimitero senza tombe”, tra capannoni e rovi. Ausilia, la più giovane, era stretta in una morsa di dolore e dipendeva da Matilde, non riusciva a liberarsi.

Le parole del diario del marito di Ausilia, che poi verranno alla luce, il suo
rimpianto e la sua sofferenza perchè non voleva continuare a vivere in quel posto
infelice, in cui vi era ”solo polvere, rumore e polvere nella fabbrica”, circondato da
quella polvere azzurra che era veleno, costretto a lavorare con ”questo vento che
abbiamo respirato e che ora mi fa mancare l’aria”, mentre la fabbrica ha continuato
a lavorare malgrado fosse stata sequestrata. L’incontro di Beatrice con le due donne le dà una sensazione strana, mentre si avvicina a loro e porge un fazzoletto profumato e, guardando Ausilia, le viene alla mente sua figlia che è stata costretta a lasciare in un istituto e poteva vedere solo una volta al mese, cercando di interpretare i suoi desideri.

Beatrice è una donna che lotta contro se stessa, non accettando le sua fragilità e le
proprie paure per la condizione difficile di sua figlia e si affidava a qualcuno che
aveva cura di lei. Le parole del professore che ha in cura la bambina :”troverà nel
suo cuore un posto per sua figlia” la sconvolgono in un certo senso, facendo nascere
in lei un profondo senso di responsabilità. La bambina aveva dieci anni, aveva paura
dei nuovi spazi e si difendeva col mutismo, il suo sguardo a volte si spegneva,
gridava e la rifiutava. Beatrice era tornata dopo tanto tempo nella sua città, nella
casa in cui aveva trascorso l’ infanzia, in cui era tutto apparentemente perfetto,
nello stile di famiglia, rassicurante, ma lei avvertiva un senso di “polvere guasta”.

La sua maschera di donna forte era ormai insopportabile, risente in sé, come una
cantilena impazzita, le urla di sua figlia, come un animale braccato, quando non
l’aveva più vista accanto a sé. Aveva dovuto affrontare sempre tutto da sola, doveva
elaborare il distacco da sua figlia, non poteva vivere isolata in casa, mentre si
chiedeva a chi avrebbe dato la mano sua figlia. Nessuno della sua famiglia conosceva
Bianca, che percepiva il mondo esterno come aggressione ed era impreparata al
rapporto con gli altri. Beatrice va a prendere sua figlia per stare con lei qualche giorno, ma è difficile, il suo senso di impotenza la sconvolge, il suo più grande dolore era ”desiderare un suo abbraccio, la sua voce e non poterli avere”, aveva bisogno di prendersi cura di lei,
ma la bambina doveva abituarsi a lei, attraversare “i muri invisibili”, lei doveva
conquistare la sua fiducia senza imporle nulla, cercare di costruire con lei un nuovo
percorso di vita, ma lei soffriva ogni giorno “sia per la sua mancanza che per la sua
presenza”.

La nascita di Bianca era un segreto che si era portato dentro il suo cuore
e dopo tanto tempo rivela tutto a sua cugina, raccontandole che Bianca era nata
l’anno dopo l’incidente in cui erano morte la madre Stella, la zia Anna e la badante.
Beatrice aveva vissuto un rapporto molto difficile con sua madre, affetta da disturbi
psichici e questa continua tensione interiore le impediva di lasciarsi andare ed
accettare le difficoltà e il disagio di sua figlia, cercando di affrontarlo. Beatrice si
rende conto che doveva imparare a rispettare sua figlia, sentiva di volerla e non
volerla, guardava Bianca e si rendeva conto che era come se la bambina avvertisse
una corrente dentro di sé che la faceva gridare e vedere quella donna, sua madre,
come un’estranea, Aiutate da Renato, un operaio che aveva lavorato alla “fabbrica
maledetta”, decidono di allontanarsi da quel luogo infetto , in cui le polvere sottili si
erano diffuse nell’aria e si rifugiano nella sua casa di Castellabate, in cui le ritornano
alla mente i ricordi della sua infanzia, il gusto dei dolci, come la caprese, anche se vi
erano celate le ombre dell’assenza di sua madre.

Beatrice vuole tenere sua figlia accanto a sé per sempre, nonostante il parere del
medico che dice che è necessario creare un legame profondo tra lei e Bianca, anche
con l’aiuto di Ausilia che sembra essere finalmente tornata alla vita, dopo le
sofferenze e il senso di morte e dolore che aveva avvertito, stando accanto a
Matilde. Beatrice si sente molto combattuta tra la sua realtà e il desiderio di un
rapporto autentico con sua figlia che alla fine si ricrea, attraverso la parola più bella.

A cura di Ilde Rampino

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