“La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino

Un percorso interiore che delinea un eterno dissidio per delineare punti fermi, da cui ripartire, per disfare la ragnatela dei ricordi, alla ricerca di un varco

“La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino. Un percorso interiore che delinea un eterno dissidio per delineare punti fermi, da cui ripartire, per disfare la ragnatela dei ricordi, alla ricerca di un varco, per comprendere le mancanze celate attraverso la solitudine e il dolore di una bambina, la cui anima è dilaniata da interrogativi a cui non riesce a dare una risposta. La protagonista, Cloe, è travolta da “una vertigine maniacale di ricordi” per cercare di rimettere insieme i pezzi originali del proprio edificio distrutto, di quella casa, dimora della sua anima tormentata, perché “i luoghi possono dare forma a chi vi si immerge”.

“La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino

Significativo è l’incontro con il professor T. che tiene un corso di Estetica dell’ombra, affermando che le ombre ci camminano a fianco come buoni amici di cui fidarsi e non bisogna aver paura di loro, ma accoglierle nel proprio ”luogo oscuro”. Cloe e il professore si incontravano per un caffè insieme e lei notava la profonda amarezza di lui, la sua solitudine, la consapevolezza che ”ciò che resta in ombra, si abitua a non essere guardato”. Egli conservava le agende del 1985, l’anno in cui si era sposato, simbolo e ricordo di un anno felice e Cloe osservava i passi trattenuti del vecchio, quasi a voler fermare il tempo che passa: egli le è riconoscente, perché “vivevo tra i non visti e lei mi ha reso visibile”. Cloè si rendeva conto di essere nata “in una casa infestata dai fantasmi”, piena di tante stanze e interni silenziosi, luoghi in cui poteva nascondersi. Lei e suo fratello Emanuel non potevano stare con gli altri, perché la mamma non lo permetteva. Cloe avvertiva talmente profonda la solitudine che aveva iniziato a parlare con i morti, come Mary, l’amica sconosciuta a cui raccontava tutto, cercando di indagare l’incomprensibilità della vita. Il rapporto con sua madre era denso di tensioni represse, di violenza, a causa dell’infelicità di Beatrice che provava rancore nei confronti di suo marito per le sue frequenti infedeltà, ma lo riversava nei confronti di se stessa e dei suoi figli. Attraverso le pagine del suo diario, lei chiede un piccolo miracolo: “un briciolo d’amore e una carezza”, perché si sente sola e proverà molto rancore per sua madre, che accusa anche della morte di suo fratello Emanuel. I ricordi confusi e le verità sfuggenti le riportano alla mente l’immagine di lei, bambina, abbandonata alla stazione e ritrovata dal Generale che la porta sulla Collina alla Casa dei timidi: in quel luogo era stata costretta a “ricominciare con nulla di ciò che avevo ormai perduto”, mentre ascolta la storia del Generale e della sua personale guerra perduta su ogni fronte. Egli aveva deciso di occuparsi di bambini abbandonati, ripensando alla sua infanzia in cui era stato costretto a lavorare, venduto e ridotto in schiavitù. Un momento fondamentale per Cloe è rappresentato dall’ incendio alla Collina, che costringe tutti ad andarsene e a perdere una delle figure più significative per lei: Madame, simile ad una tessitrice, che elargiva affetto e carezze quando lei ne aveva bisogno: era simile a una ”coperta di lana a fili invisibili”. Le ferite profonde della sua anima, il suo “inconscio inascoltato” la rendono preda di qualsiasi sensazione a lei sconosciuta: il suo corpo le era oscuro, si sentiva sola e si considerava “non abbastanza”, finchè decide di assumere un altro nome, un’altra identità, Anais, come aveva fatto anni prima, rinunciando al suo nome, Clotilde, il “nome di piombo” che aveva lasciato al villaggio in cui era nata. La sua esistenza sarà costellata dalla presenza di tanti uomini, ma in realtà lei è alla continua ricerca di qualcuno che potesse curasse la sua ferita, mendicando affetto. Si dedica allo studio della lingua ebraica che la riportava a Madame e alla sicurezza che le dava. Il rapporto con suo marito la rende infelice, perché non si sente rispettata: la sua dipendenza affettiva da lui le fa provare sensi di colpa per la fine del suo matrimonio. Decide di andare ad abitare a Venezia, nella casa che Madame aveva acquistato in memoria dei suoi parenti vissuti nel ghetto: si sente circondata da una sorta di “presenze”, perché “in quelle stanze in cui non entriamo più è rimasto, nascosto alla vista, il bandolo che sbroglierebbe la matassa”. Cloe ritorna sulla Collina, l’antro che custodisce il ricordo della sua timidezza, ma anche del suo coraggio ed è consapevole che “forse esiste un posto nel mondo per ciascuno di noi a cui tendiamo senza sosta”: accanto a lei i fantasmi di suo fratello e sua madre nelle notti piene di vento, le loro anime tormentate. La scoperta del segreto di Jerus, del suo tormento interiore, la spinge a creare un legame con il suo amico di un tempo e decidono di ritinteggiare la casa sulla Collina, per darle una nuova luce che scaturisce dalle ceneri del loro dolore. Il ritorno di Cloe al villaggio alla ricerca di sua madre è denso di emozioni contrastanti. Sulla sua strada scorge un bambino, Elias, una sorta di ponte tra presente e passato, che la prende per mano e la accompagna a cercare la tomba di suo fratello: i ricordi e i rimpianti si affastellano nel suo cuore, le immagini si sovrappongono, mentre cerca nel letto il suo figlio mai nato. L’incontro con sua madre è denso di sofferenza e le rivela un’immagine diversa di lei, la sua amara consapevolezza che non era nata per fare la madre: le confessa di aver saputo della malattia del piccolo Emanuel, quando aveva avvertito “un dolore nella mente“ e alla fine le fa una richiesta sorprendente: ”vorrei che mi chiamassi mamma”. Cloe avverte in quel momento uno strano legame con lei e si rende conto che vi è un vento che trasporta i destini dell’uomo e che siamo “viandanti nell’oscurità”. Lei si sentiva come “un veliero incagliato nei fondali”, in preda delle onde tempestose della vita: nel quaderno annotava i suoi pensieri, le sue “cronache dell’ombra”. Aveva diviso con suo fratello Emanuel, che piangeva ancora nei suoi sogni, i giorni dell’oscurità, ma comprende che ora non deve più negarsi la vita e apprende, con una sorta di serenità, la notizia della morte del professore che se ne era andato come aveva vissuto, cioè non visto.

A cura di Ilde Rampino


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