“Masaniello è turnato” di Mimmo Caiazzo e Enrico Gandolfini

Le parole di una canzone di Pino Daniele per far ritornare a riva i ricordi di un vecchio pescatore di Marina di Camerota e la sua storia che racchiude miriadi di esperienze di vita

“Masaniello è turnato”: riecheggiano alla mente le parole di una canzone di Pino Daniele per far ritornare a riva i ricordi di un vecchio pescatore di Marina di Camerota e la sua storia che racchiude miriadi di esperienze di vita. Un rapporto intenso tra nonno e nipote, i ricordi che si trasmettono attraverso parole e silenzi sulla scia di un’antica tradizione e di rituali cadenzati come le onde del mare sono i temi che fanno da sfondo a questo colloquio di anime che non si interrompe mai. Quel bambino, Domingo, a cui il nonno ha inculcato valori fondamentali che sono alla base dell’esistenza e che hanno dato forza a tante persone che sono emigrate lontano per cercare lavoro, perché a quel tempo “l’emigrazione non era una scelta, ma un destino”, ricrea un dialogo silenzioso con il nonno , che si avvia pian piano alla fine della sua esistenza. Vi è il desiderio del bambino di ripercorrere una sorta di linea del tempo, sull’onda dei racconti, cercando di fermare gli attimi, perché avrebbe voluto tenerlo con sé. “Dove finiscono i sogni perduti?” Domingo sembrava chiedergli, mentre gli stava vicino e condivideva il suo silenzio mentre egli stava morendo e avrebbe voluto accompagnarlo per mano e intanto lo guardava negli occhi e gli parlava. Ricordava quando andavano a pesca insieme e partivano un’ora prima dell’alba, imparava i rituali che seguiva come una strada tracciata dalla tradizione e dall’esperienza. Il nonno gli aveva insegnato che “con la luna non si pesca”, gli aveva mostrato come si usava la lampara, rendendolo consapevole della piccolezza dell’uomo davanti al mare che per lui rappresentava “l’altra casa”. A undici anni il nonno gli aveva affidato il timone della barca ed egli si sentiva sicuro, perché egli gli aveva fatto comprendere che “la barca somiglia a una culla”; quando pescava il nonno parlava pochissimo, gli aveva fatto capire che “la rete è la mano del pescatore”e che non si dovevano spaventare i pesci. Domingo ricorda che il nonno raccontava che il nome della barca non poteva essere cambiato altrimenti gli dei sottomarini non l’avrebbero più protetta.

Suggestiva è l’immagine della clessidra che la vita ha capovolto innumerevoli volte durante la sua esistenza e dei luoghi della sua infanzia, come il suo paese, Marina di Camerota, chiamato “il paese girasole”, Capo Palinuro e la Grotta della Cala, che veniva definito “nido di pietra e di aria”, dove Domingo si incontrava con i suoi amici d’infanzia e organizzavano giochi, i profumi della natura e della pioggia. A quel tempo i genitori che emigravano, tornavano ogni quattro o cinque anni, ma per Domingo l’assenza dei genitori era stata in parte colmata dal grande affetto dei nonni che gli avevano insegnato l’importanza della famiglia e dei valori che erano stati trasmessi attraverso le generazioni, soprattutto quello dell’onestà. Il nonno era diventato per lui un padre e una madre e si rende conto che ”non aveva fatto di me un pescatore, ha fatto di me un uomo”. Egli educava non solo attraverso le parole, ma facendogli vedere le cose: pur essendo analfabeta gli aveva insegnato a comprendere il senso della natura e a respirarne l’odore. Era anche “un musicista della cucina” e si destreggiava tra profumi, spaghetti spezzati e ricette tradizionali . Il nonno gli raccontava che non si mangiava tutto il cibo che si pescava, ma si barattava per acquistare altro e che vi era, tra il popolo, una profonda devozione per San Domenico. I suoi genitori erano tornati a Marina di Camerota quando egli aveva 23 anni: il rapporto con loro era stato distante per la lontananza e non aveva avuto contatti fisici col padre se non poco prima che morisse, ma tuttavia Domingo si era sempre sentito circondato dall’amore dei genitori anche se lontani, dai nonni e dalla zia Lina.

Tra le pagine del libro si narra anche del bombardamento dell’agosto 1943 che colpì il paese e provocò molte vittime, ma anche della tragedia del 1° giugno 1867, in cui morirono, a causa del carico eccessivo sulla barca,  tante “strambaie”, che fabbricavano le corde vegetali usate per la pesca delle lampare, lavoro tradizionalmente affidato alle donne. L’uso frequente del dialetto per definire gli strumenti da pesca e caratterizzare i tanti personaggi danno nuova linfa alle vicende. Commovente è la lettera che Domingo scrive a nonna Grazia per ringraziarla dell’amore e dei sacrifici fatti, in cui si rende conto che ”la malinconia del passato diventa nostalgia del futuro di cui non si è saputo conoscere il tempo”: egli ricorda che lei aveva amato i suoi figli, ma forse ancor più i suoi nipoti: mangiava in piedi per occuparsi di loro e non faceva mai mancare il “pane e olio sotto gli ulivi”. Ha lasciato un’impronta molto forte in lui, come del resto suo nonno, che era l’uomo dei racconti, “li cundi”, ma soprattutto un punto di riferimento. ”Avesse vulite fa” , una delle sue ultime frasi quando stava per morire che esprime tutto il rimpianto per una vita passata, sorretta tuttavia da una profonda fede. Egli pronunciava spesso la frase: ”Comme vole Ddio” che esprimeva rassegnazione e accettazione di qualcosa che non si può cambiare.

Domingo resta fino all’ultimo accanto a suo nonno, mentre sua nonna appare dignitosa nel suo dolore, senza piangere per rendergli serena l’agonia. Struggente alla fine il gesto del vecchio pescatore che, guardando i suoi cari intorno a lui, fa “ciao” con la mano, con un gesto denso di semplicità e innocenza, quel  “vecchio dall’animo bambino”. Il libro si conclude con versi intensi di dolore e di amore che rappresentano un cerchio che si chiude e che esprime tutta la forza dei propri sentimenti.

A cura di Ilde Rampino

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