“Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone

Il romanzo della scrittrice candidato al Premio Strega 2021 che propone una lunga e appassionata lettera alla madre adottiva per raccontare il "disamore" che ha vissuto fin dall'infanzia

“Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone. Un dolore, radicato nel cuore, che si incunea silente e intenso tra le pagine di questo meraviglioso libro, che è al contempo una testimonianza e una voce interiore che racconta a se stessa e agli altri un percorso di sofferenza mai dimenticato, ma che in un certo senso “splende come vita” nell’immagine di una madre. Significativa è la profonda dicotomia tra i due termini: Madre e Mamma, recanti ognuno una valenza diversa: l’imposizione di regole da parte della Madre, foriera di imperativi da rispettare e il bisogno di dare e ricevere affetto, anche se spesso celato, della Mamma. Il trauma del suicidio della madre biologica, pur vissuto, attraverso un ricordo sfumato, essendo lei molto piccola, non riesce a stemperarsi nel suo processo di crescita, reso difficile dai silenzi e dalla rivelazione improvvisa dei suoi genitori, all’età di quattro anni, quando ella “cadde nel Disamore” alla notizia che la sua Mamma non era quella vera.

“Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone

Sua Madre tuttavia viene ferita dalla sua stessa rivelazione, avverte un distacco verso quella bambina che non è sua figlia, non riesce a comprendere però che Maria Grazia sente di essere piena d’amore e che vuole effonderlo verso di lei. E’ un fuggire, un tornare indietro, poi ancora allontanarsi e avvicinarsi, come se le loro strade non riuscissero ad incontrarsi per paura di soffrire. La vita della bambina è piena di solitudine, perché “le ombre si accumulano sotto i letti dei bambini non amati, che non piangono mai”. Il rapporto di Maria Grazia col padre è invece improntato alla condivisione di idee politiche, veglie pacifiste o narrazione di viaggi, da cui tornava portandole regali esotici; quando egli si ammala, lei avverte un legame più profondo e comprende che “vedermi gli fa più bene delle medicine” e al suo funerale apprende che egli voleva che lo lasciassero morire in nome della libertà per cui aveva sempre lottato: il loro rapporto, che la morte ha spezzato, la spinge a fare un gesto eclatante, rasandosi i capelli a zero con la lametta. Maria Grazia era rimasta molto colpita dall’atteggiamento della Madre, appena l’aveva adottata, perché la sua “scelta d’amore” l’aveva resa orgogliosa, si aspettava tanto dalla vita: era sempre elegante, con un “filo di rossetto rosso”.  Le piaceva rievocare il momento del loro primo incontro e metteva in evidenza il fatto che la bambina le aveva subito gettato le braccia al collo. Le aveva fatto imparare come prima poesia “Pianto antico”, il dolore di un padre orfano del figlio e imprimeva in lei  la propria dichiarazione d’amore, intrisa del dolore della perdita. La Mamma la portava sempre con sé, era come “il gioiello esposto nella teca”, ma lei, bambina, aveva sempre paura di perdere sua madre, ma tuttavia aveva un’incrollabile fiducia che Mamma sapesse curare ogni male e inventava ogni modo per renderla felice, mentre, tra le brume della solitudine, avvertiva in sé la ”luce del mare dell’infanzia che pulsava come un cuore, nel cuore abbandonato delle cose”. Si sentiva talvolta incompresa, notava il pudore, ma anche il timore di sua Madre di esprimere i suoi sentimenti nei suoi confronti, anche il suo disagio e una sorta di rabbia repressa, come quando si dava uno schiaffo da sola per non colpire la figlia. La sua rettitudine, manifestata attraverso un rigido rispetto delle regole, a cui Maria Grazia, tormentata come tutte le adolescenti, contravveniva, le faceva dire che non era normale e si vergognava perché veniva cacciata dall’istituto di suore in cui studiava “sei un fiume senza argini”. Maria Grazia aveva in sé un profondo senso di libertà, non le piaceva esibirsi “a comando” e rifuggiva le regole. Sentiva che sua Madre è delusa da lei, non vuole vederla e lei è costretta a rimanere dalle suore anche di domenica: avverte nel convento un’atmosfera di sconforto, le considera persone “danneggiate di lungo corso”. Un momento terribile, che le sembrò precipitarla nell’Inferno, fu quando vide sua Madre distesa sull’asfalto perché era caduta: si era sempre sentita  “la guardia del corpo di Mamma”, uno scudo che la proteggeva, ma ricorda quando le diceva: “tu non sei mia Figlia”, soprattutto durante gli anni della contestazione, nel periodo degli anni di piombo e del suo impegno sociale. Un elemento suggestivo che traspare tra le pagine di questo libro è il ricordo di canzoni che fanno da colonna sonora di alcuni momenti, dando importanza alle sensazioni vissute e serbate per sempre nell’anima, mentre si riscontra un espediente letterario, quando Madre, Padre e Figlia sembrano rievocare in un certo senso personaggi pirandelliani, archetipi di una realtà fantasmagorica che tuttavia ambiscono ad essere reali. Il rapporto di Maria Grazia con sua Madre diventa sempre più difficile, si rende conto che lei vive tra malinconie e i fantasmi di coloro che non ci sono più e non si rende conto che perde del tempo prezioso a soffrire per niente. Sua Nonna, al contrario, è per lei una compagna di giochi e rappresenta un punto di riferimento, l’archetipo dell’amore privo di condizioni, la difende sempre e la salva. Maria Grazia è incapace di abbandonare sua Nonna e se ne occupa fino alla fine, come un ponte gettato su un fiume che non riusciva ad attraversare. La cecità della Madre rappresenta in un certo senso una tenda dietro cui la donna si nasconde, ma poi sua Madre fa un gesto importante per lei, che le fa capire che quel legame, pur contrastato e denso di ombre, è profondo: si fa operare per non lasciarla sola. Struggenti sono le parole dell’ultima poesia che le dedica: “Mamma, dammi la mano, ora puoi andare…posso mettermi vicino a te?”: un abbraccio silenzioso per racchiude un mondo infinito.

A cura di Ilde Rampino

 

 

 

 

 

 

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