“Anime di vetro” di Maurizio De Giovanni. La lettura di oggi

Il libro racconta una delle indagini del celebre commissario Ricciardi, che intreccia il sentimento per Enrica, la ragazza a cui non ha il coraggio di dichiararsi. Mentre si accorge di essere escluso dalla vita della sua amata anche Rosa lo sta lasciando

La lettura consigliata di oggi è “Anime di vetro” di Maurizio De Giovanni. Una anima di vetro, fragile e scheggiata, al cui contatto ci si ferisce è il pentagramma di una vicenda che accomuna tanti personaggi, tratteggiati con vivida intensità, insieme alla descrizione di una Napoli attraverso i vicoli brulicanti di gente e accarezzati da “un canto che racconta storie”, un ambiente che entra nell’anima dei personaggi e del lettore e diviene la chiara rappresentazione di sentimenti contrastanti, amore e odio, un coacervo di passioni che si rincorrono senza fine.

“Anime di vetro” di Maurizio De Giovanni

Ricciardi contemplava la sua nuova solitudine, dopo la morte di Rosa che era stata una presenza assidua al suo fianco e si immergeva in un silenzio senza speranza che metteva i brividi. Ogni singola morte violenta era percepita dal commissario come una ferita personale e incancellabile, la persona defunta era presente e “viva” nel suo pensiero e la sua manifestazione esteriore non lo spaventava: egli ascoltava l’ossessiva ripetizione delle sue ultime parole, del “mezzo pensiero che la morte gli aveva spezzato” e si sentiva testimone del dolore del suo ultimo istante di vita. Pregnante è la sensibilità dolorosa di Ricciardi che si manifesta attraverso la profonda empatia che lo unisce alle persone con cui viene a contatto, senza mai giudicarle: egli era convinto che anche chi aveva ucciso soffriva e avrebbe sofferto ogni singolo giorno di vita che gli restava. Suggestiva è la magia e il mistero delle notti di settembre che “spettina i sogni e scompiglia i sentimenti” e spinge a penetrare i segreti nelle vite degli altri. La sua indagine sull’omicidio di Piro lo mette a contatto con l’atteggiamento sorprendente della contessa Bianca di Roccaspina che sostiene, in modo convinto e al contempo disarmante, la certezza dell’innocenza del marito e con l’insistenza di lui a confessare un reato che non ha commesso, volendo persino rinunciare alla difesa di un avvocato. I suoi pensieri e i suoi comportamenti spesso risultano discordanti, perché rivelano contrasti interiori, che culminano nella risata disperata del presunto assassino e Ricciardi in un certo senso lo comprende, perché sapeva “cosa vuol dire essere prigionieri di se stessi”. Dall’altra parte la figura del duca Carlo Maria che, per amore, tenta di salvare Bianca dalla rovina finanziaria, anche se finanziando atti illeciti: ”quei soldi glieli davo io”.

Maurizio De Giovanni

La realtà dell’indagine coinvolge il commissario Ricciardi, che, interiormente si sforza di percorrere la sua vita sui binari di una normalità che sente tuttavia molto lontana da lui. Egli era consapevole che doveva essere sincero con se stesso: la solitudine era stato il marchio della sua vita per tanti anni, avrebbe voluto attingere al ricordo di alcuni momenti felici, ma ”era come cercare qualcosa in un cassetto vuoto” a causa della malinconia che riempiva il suo cuore. Egli “si era innamorato della vita che non poteva avere” e la osservava da lontano. La sua stanza dava proprio sulla cucina e il salotto di Enrica, la donna che amava, ma nascondeva questo sentimento persino a se stesso: lo sguardo di Enrica era una carezza sull’anima, ma gli faceva paura ”. Erano ”due anime divise da due lastre trasparenti, fragili e insuperabili”: Ricciardi aveva visto il bacio che Manfred ed Enrica si erano scambiati sulla riva del mare, che incarnava un “desiderio di orizzonte e di azzurro” e quel gesto lo aveva fatto molto soffrire. Comprese che egli sarebbe stato testimone del futuro della donna che amava, un futuro che lo escludeva. Non poteva affidare il suo cuore a una donna: aveva dovuto rinunciare anche a Livia, con la sua prorompente bellezza, offuscata tuttavia dal dolore per il rifiuto di lui a ricambiare il suo amore.

Tra le brume del buio della notte intanto entrava la solita, malinconica canzone e sembrava che le anime di vetro potessero mostrare quello che avevano dentro senza paura. Ricciardi avrebbe voluto sognare Rosa, invece aveva sognato sua madre e aveva avvertito un profondo senso di paura e angoscia latente, poiché ”il sogno affonda le radici nel buio dei desideri” e conduce all’inquietudine. La perdita di Rosa gettava ombre livide sul suo cuore, ma in un certo senso lei non lo aveva lasciato solo,  perché ora accanto a lui c’è Nelide, sua nipote, che continua a sentire accanto a sé, nonostante fosse morta,  la sua presenza , lei che aveva rappresentato sempre un punto di riferimento per tutta la famiglia. Rosa provava una profonda devozione per il “signorino” e si occupava di tenere in ordine i documenti e rimarrà sempre con lui attraverso il ricordo.

Il valore del concetto di famiglia si rivela anche nell’atteggiamento del padre di Enrica, nella sua deferenza e cortesia nel suo negozio, un distacco educato, eppure accogliente nei confronti dei suoi clienti, molto diverso dall’apparente tranquillità che mostrava a casa, durante le visite di Manfred, l’uomo che corteggiava sua figlia. Il suo profondo affetto verso Enrica lo portava a volerla proteggere, pur rispettando le sue scelte di vita: osservava il suo stato d’animo, che rifletteva l’eco stessa dei suoi stessi pensieri.

Ricciardi, con “la testa piena di vento e di sabbia” e con i suoi “occhi febbrili di colore verde” che racchiudevano tutto un mondo di sogni infranti e spiragli di vita non pienamente vissuta, in cui talvolta le paure si facevano strada in mezzo alle decisioni, si rendeva conto di sbagliare ed ha un colloquio con Don Pierino, con cui condivide una intensa partecipazione all’altrui dolore: il sacerdote gli chiede il motivo della sua condanna a non poter amare e lo spinge a dare valore all’anima che è trasparente, sostenendo che ”una possibilità di felicità, anche attraverso la sofferenza, vale molto di più della certezza dell’infelicità”.

A cura di Ilde Rampino

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