Dogana di Avellino, Controvento: dietro i proclami restano i ritardi

L'associazione presieduta da Generoso Picone commenta l'annuncio del nuovo progettista, l'architetto internazionale Fuksas. E critica le modalità con cui il Sindaco ha gestito il recupero dell'antico monumento simbolo della città

L’associazione Controvento commenta criticamente gli sviluppi del restauro che interesserà la antica Dogana di Avellino. Apprezzando la scelta dell’architetto di fama internazionale  incaricato di curare il progetto, Massimiliano Fuksas, Controvento richiama l’attenzione sui ritardi accumulati in questi anni dal programma di recupero e attacca il Sindaco Gianluca Festa per le modalità dell’annuncio.


Dogana di Avellino, dietro i proclami restano i ritardi

Documento della Associazione “Controvento”

Generoso Picone

Con un esaltato intervento, tra rulli di tamburi e fanfare da circo, il sindaco Festa ha annunciato alla città il nome dell’architetto che si occuperà del restauro della Dogana. Lui continua a definirlo archistar, utilizzando un lessico mutuato dall’incultura pop che è l’unica di cui è capace, senza accorgersi che il termine da decenni è disconosciuto anche e soprattutto dagli architetti di maggiore fama internazionale i quali lo ritengono giustamente offensivo. Si tratta di Massimiliano Fuksas. La sua figurina è stata estratta dall’album delle meraviglie, in una scena da avanspettacolo dozzinale, l’ennesima a cui la città di Avellino è stata purtroppo abituata. Ma in un Paese civile, governato da norme riconosciute e condivise, a nessuno può essere consentito di cancellare con un mediocre colpo di teatro un percorso amministrativo avviato da un indirizzo maturato in consiglio comunale e segnato da larga partecipazione democratica. A nessuno: neanche a chi si ritiene sindaco autoproclamandosi tale dopo essersi ammirato ogni giorno nello specchio falso di un telefonino. Nessuno può ridurre una questione così importante e significativa a un affare privato tra lui e l’architetto, a un suo presunto personale regalo alla città, con uno sfregio che mortifica anni di lotte dal basso e di impegno unitario tra cittadini e amministrazioni precedenti. Il finanziamento del progetto è il risultato di questo processo, non di altro. L’impegno di Festa, invece, fino a oggi, è stato pari a zero. Nei suoi due anni di sgangherata presenza a Palazzo di Città niente si è mosso, tra rinunce clamorose – come quella dell’architetto Francesco Venezia – e pasticci amministrativi. Nessun annuncio pittoresco e agitato può cancellare questa verità.

Comune di Avellino, il palazzo degli uffici in piazza del Popolo

L’intervento dell’altra sera segna, in modo inequivocabile, la fine di ogni livello di democrazia nella città, l’annullamento del ruolo degli organismi di rappresentanza, come il consiglio comunale. Non sfugge a nessuno che mentre si coinvolge un grande nome dell’architettura internazionale – stia tranquillo il sindaco Festa: la qualità dell’opera di Massimiliano Fuksas è a noi ben nota, come i problemi che numerosi suoi progetti hanno riscontrato in fase di realizzazione – l’amministrazione comunale ha definito una inedita prassi per andare alla revisione del Puc, spacchettandolo in cinque parti e così contraddicendo l’elementare principio dell’unitarietà della visione urbanistica. Chi ha suggerito il nome di Fuksas ha dimenticato di raccomandare il rispetto di questo elemento o stiamo assistendo a un fuoco d’artificio i cui fumogeni dovranno oscurare altre e ben più prosaiche pratiche spartitorie? Costituirebbe una prova di dignità se tutti i consiglieri di opposizione ma anche di maggioranza ne prendessero atto, e dessero un segnale inequivocabile, forte e chiaro, per uscire dallo stato di marginalità in cui sono ridotti e per dare un alt alla demagogia imperante che sta spingendo la città verso un baratro.

L’antica Dogana di Avellino nel suo splendore

Sarebbe opportuno pure che venisse ribadito come il compito a cui è chiamato Massimiliano Fuksas non va a collocarsi in un deserto, da riempire con una strabiliante invenzione, ma in un luogo carico di storia, di vita, di simboli, di tracce palpitanti, anche se degradate: un ambiente urbano nella quale la traccia della mano di Cosimo Fanzago, la vera grande archistar, è ancora vivo. Se Fuksas saprà accettare la sfida, a partire dal restauro del monumento, a cui va ridato l’integrale antico splendore, e in un dialogo permanente con chi vive e opera in quel luogo anche per stabilire il destino e la funzione del corpo retrostante, nel rispetto rigoroso delle previsioni urbanistiche, allora l’integrazione tra storia e modernità potrà considerarsi una sfida possibile. In caso contrario si potrebbe preannunciare, per la città, un salasso economico per un’opera che distruggerebbe in modo definitivo quel luogo. La questione della democrazia torna allora ad essere la questione centrale. Mai come oggi è necessario un alto livello di vigilanza e di partecipazione, contro populismi accattoni e per impedire che il degrado democratico e civile della città diventi irreversibile.


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