“Fiore di roccia” di Ilaria Tuti

La storia delle donne durante la prima guerra mondiale. La scrittrice celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione delle contadine scosse dal fragore delle bombe

“Fiore di roccia” di Ilaria Tuti. Il coraggio e l’abnegazione delle “Portatrici” che hanno lottato al fronte durante la prima guerra mondiale nella Carnia, la terra aspra del Friuli, rivive nella storia della protagonista Agata, che suo padre “armò di una legge di vita e di una consapevolezza che non aveva mai perduto” ed era a poco a poco divenuta “un uccello da richiamo che forse porterà tutte in un’impresa suicida”. Il suo profondo senso di famiglia la porta ad assistere il padre malato, se ne prende cura e lava i suoi panni, celata dall’oscurità della sera per salvare la dignità di chi le ha dato la vita, provando tuttavia rabbia e rancore per i suoi fratelli che l’hanno abbandonata, quando hanno saputo della sua malattia . La sua vita è confinata in quella casa, si dedica ai lavori della campagna, come mungere le capre: i ricordi della vita di un tempo si affollano nel suo cuore, mentre accarezza i libri che appartenevano a sua madre e osserva la sua foto, racchiusa in cornice. La realtà della guerra attira le loro esistenze in una spirale di notizie di massacri e Agata e le sue amiche, Viola, Caterina e le altre prendono una decisione importante: saranno anche loro protagoniste di quella guerra, trasportando nelle loro gerle viveri e munizioni per i soldati, anche se molti si chiedono se loro si siano rese conto di cosa sia la guerra e i rischi che essa comporta. Con una bandierina rossa che segnala un carico di esplosivo, salgono per ore e ore sulle montagne, nonostante il pericolo di cadere in un burrone, aiutate talvolta anche da don Nereo.

Nonostante lo sforzo disumano che brucia la pelle per il peso delle gerle, loro continuano il loro impegno civile e di amore, anche se hanno fretta di tornare, perché “ci attendono i nostri lavori e a casa chi ha bisogno delle nostre cure”. Agata trasporta anche medicinali e comincia a rendersi utile anche in infermeria, aiutando il dottor Janes a fasciare i malati e in quel momento si rende conto che in lei è nato uno ”slancio che trasforma i gesti verso uno sconosciuto in riti d’amore”. Significativo è il riconoscimento, da parte del comandante Colman, dell’importanza della presenza delle donne che è come una piccola stella alpina, un “fiore di roccia” aggrappato con tenacia a questa montagna, per prendersi cura dei soldati e tenerli in vita ed egli afferma di avere un debito di riconoscenza nei loro confronti e non potrà mai dimenticare i sorrisi delle Portatrici, “la cui compassione è qualcosa di sacro”. Il rapporto di amicizia che la lega al comandante Colman viene improvvisamente meno quando ella lo accusa di aver mandato i suoi soldati al massacro per riprendersi l’orgoglio che aveva perso, ma poi si rende conto che egli era con loro e aveva condiviso il pericolo. Tra le giovani donne, Viola è sempre l’ultima della fila a procedere, per essere notata dal suo artigliere: un profondo bisogno di amore, ma anche un triste retaggio delle donne che offrono sacrificio in cambio di considerazione, come se non fossero altro.

Agata e le altre sono considerate quasi alla stregua di soldati, perché decidono di imbracciare il fucile e combattere anche loro, per far sentire la loro vicinanza e il credere negli stessi valori. Un giorno viene ordinato loro di costruire un cimitero: sono donne dalla forza insospettabile, che agiscono con determinazione, audacia e valore, perché hanno necessità di farlo, devono bastare a se stesse e portare avanti il proprio compito, trasportando anche i cadaveri sulle lettighe lungo i sentieri di montagna per seppellirli con pietà. Le scene di massacro che le circonda le rende forti, ma anche maggiormente sensibili al dolore e alla sofferenza: Agata viene colpita dalla frase di Don Nereo che, al capezzale di un giovane soldato ferito, le dice:” Puoi fargli una carezza perché la sentirà”.

La morte del padre, per quanto malato da tempo, fa cadere Agata in uno stato di profonda prostrazione: lo ringrazia per la vita che gli ha dato e, attraverso un urlo di dolore, esprime alla sua terra la sua disperazione ma anche il suo bisogno di sentirsi viva. Una notte, Agata si avventura nel bosco, ma cade ed è spaventata dalla presenza improvvisa di un uomo, “un diavolo bianco”, un austriaco, il nemico : spara e lo ferisce, poi fugge, lasciandolo lì. Comincia ad avvertire un senso di rimorso e va a riprenderlo, lo porta a casa e lo cura. E’ consapevole che il suo gesto la mette in pericolo, ma è qualcosa più forte di lei, della sua stessa paura, anche se sente “ essere contaminata dal segreto che custodisco”. Il nemico, ha un nome, Ismar e cerca di comunicare con lei, tentando  di catturare il significato delle parole. Agata è dilaniata dalla tensione, ma per lei egli è come tutti i soldati, “uomini che hanno fame e paura e che devono uccidere, come i nostri”, lo trasporta nel bosco, lasciandolo sotto un albero; sa che tutto ciò va contro i suoi principi, ma non può far altro, ma improvvisamente Agata viene travolta da una slavina, assieme ad un bambino e vengono salvati da Ismar. Ormai sembra che il destino abbia deciso per loro: Agata lo nasconde a casa sua e cominciano pian piano a comunicare, anche perché il dialetto di lei è stranamente simile al tedesco; la ragazza, tuttavia non ha piena fiducia in lui, gli lega i polsi ed egli li scioglie di nascosto, ma non fugge, perché ha paura come lei e proprio ciò li unisce.

Agata ritorna al fronte e il capitano Colman chiede il suo aiuto,ma poi lei comprende che il loro incontro ha un significato più importante: è stato un addio, perché egli sa che è stato chiamato a combattere una battaglia piena di insidie. La lettera del comandante austriaco che le comunica che è stato sepolto con onore spinge lei e il dottore a decidere di andare a riprendere il corpo per seppellirlo nella loro valle. Agata ha sempre avvertito un disagio profondo, che rasentava la sofferenza, a causa della presenza inquietante di Francesco, un giovane ricco, preso dalla passione per lei che la seguiva dovunque: loro due sono due esseri completamente diversi, Agata non sopporta il fatto che egli la tratti come una cosa sua, prova una perenne sensazione di sgomento e “ha sempre la sua ombra addosso”. Non riesce a liberarsene e si sente continuamente preda della sua aggressività e alla fine, quando Ismar, nascosto in casa, assiste al tentativo di violenza nei confronti della ragazza, interviene e la salva, Agata finalmente si sente libera e ammette finalmente la sua “colpa”, quella di essersi presa cura di un nemico e decidono di andare via, verso il loro futuro. Solo dopo decenni Agata torna nella sua terra, il Friuli, devastata dal terremoto e fa un bilancio della sua vita, tenendo per mano Ismar che è rimasto sempre accanto a lei, condividendo tutto e ricorda la parola che li ha sempre uniti, nonostante le differenze: “Umanità”.

A cura di Ilde Rampino

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