“Trio” di Dacia Maraini

Una vicenda ambientata nel 1743, nel periodo in cui Messina è colpita dal morbo della peste, ma che prende le mosse dai sentimenti intensi e allo stesso tempo contrastanti che legano due amiche, Agata e Annuzza

“Trio” di Dacia Maraini. Una vicenda, ambientata nel 1743, nel periodo in cui Messina è colpita dal morbo della peste, ma che prende le mosse dai sentimenti intensi e allo stesso tempo contrastanti che legano due amiche, Agata e Annuzza. Attraverso le lettere che si scrivono, le parole sembrano creare ponti immaginari: l’amore per lo stesso uomo, Girolamo, che sposerà Agata, ma si sentirà sempre legato ad Annuzza, le renderà simili a due lottatori che si guardano, aspettando l’una le mosse dell’altro. Ma i loro sguardi non sono ottenebrati dal veleno dell’odio e della discordia, le loro parole non sono taglienti come coltelli. Agata è convinta che troverà un modo di adattarsi a questo triangolo singolare, perché l’amore non può  essere un dovere e per le donne è come “una malattia che non riesce a guarire”.  Il profondo senso di amicizia e il legame che si è instaurato tra Agata è Annuzza è particolare, ma loro non rinuncerebbero mai alla loro amicizia, perché essa è il bene più prezioso che va sempre salvaguardato e protetto e riesce a creare un equilibrio in una situazione strana e addirittura assurda.

Annuzza è consapevole che Girolamo non vorrebbe rinunciare a nessuna di loro due, forse ama entrambe in un certo senso, ma dice ad Agata che “non può che scegliere te che sei sua moglie e gli hai dato una bambina, la piccola Mariannina”.  Agata è felice quando il marito ride, al di là delle ombre e del sentimento che prova per Annuzza. A Casteldaccia,  Annuzza si rifugia nel passato, trova requie al suo tormento interiore nella sensazione di serenità che le dà il profumo caratteristico del mosto che sale dalle cantine, che si mescola a quello del rosmarino e dei capperi che lei riconosce come suo, come appartenente alla sua vita di un tempo a cui lei rimane tuttora legata, all’odore di malvasia e di fieno fresco che culla la nostalgia dell’infanzia, mentre a Castanea, Agata si rifugia nell’amore per la lettura, è appassionata di Calderòn de la Barca e si immedesima in quel mondo fantastico, in cui il passaggio tra la realtà e il sogno è come un ponte immaginario che la trasporta al di là dello spazio.

La memoria è un altro elemento che unisce le loro vite e la loro anima, il ricordo di quando, bambine,  frequentavano il convento delle suore per imparare a cucire e vivevano la  spensieratezza ma anche il loro forte  senso del dovere. Indimenticabile era l’immagine di Suor Mendola, che proveniva dal poverissimo Veneto e “che non parlava una parola di italiano”, ma si era costruita un proprio ruolo nel convento e le riconoscevano una grande autorità. Suor Mendola rappresentava un modello per loro, era diventata suora per dedicarsi a ciò che amava, il disegno. Durante il periodo trascorso nel convento, tra preghiere e scherzi innocenti, le due bambine non si rendevano conto di essere felici, perché la felicità si scopre sempre dopo. Erano molto diverse tra loro: Agata era una ricamatrice straordinaria, Annuzza ricorda la sua vestina a fiori gialli e anche quando entrambe erano cresciute, le differenze tra loro si erano fatte più evidenti. Annuzza amava i grandi gesti e le passioni proibite, Agata, al contrario, il sogno e la vita segreta.

Per sfuggire alla peste che si è diffusa a Messina, Agata è costretta a trasferirsi in una casa in affitto presso la signora Cannavò e si sente a disagio, anche perché è controllata dalla suocera, che l’aiuta economicamente. Durante la giornata Agata si dedica a cucire una bambolina di cotone per la sua bambina e cerca di allontanare la sua mente dal pensiero di suo marito che è lontano. Girolamo si reca alcuni giorni da Annuzza e lei, nelle sue lettere all’amica, le rivela che quando lo vede, pensa che lo vorrebbe tutto per lei e che ”io sono felice e infelice assieme a lui”: nei suoi confronti prova uno strano sentimento di perdita e di abbandono. Egli le appare come un bambino indifeso e allo stesso tempo un vecchio saggio ma indeciso, un uomo inquieto, un uomo in fuga e Agata chiede ad Annuzza di non abbandonarlo, perché è come se tra loro tre si fosse creata un’armonia. Il sentimento comune a queste due donne è la profonda consapevolezza che “ l’importante è che non abbia distrutto il nostro legame”. Si può ravvisare una sorta di paragone di questa passione amorosa con la peste che si diffonde a Messina, che la dilania con forza sovrumana, in cui il timore del contagio serpeggia tra la gente e diventa quasi un’ossessione; ma poi, improvvisamente un giorno, sembra darle un po’ di respiro, come se la città riuscisse a recuperare le forze e “da bianca che era sta tornando un po’ rosata”.

A cura di Ilde Rampino

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