“Florence” di Stefania Auci

Pubblicato da Baldini & Castoldi nel 2015, viene recensito da Ilde Rampino. Un romanzo storico ambientato in una Firenze scossa dai venti di guerra

“Florence” di Stefania Auci. L’ambizione e il desiderio di avere un proprio posto nel mondo da parte del protagonista di questo interessante romanzo sono la cifra distintiva che influenza il percorso della sua vita, in un periodo storico difficile e controverso, quello subito prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, in cui interventisti e neutralisti si fronteggiano, esprimendo le proprie opinioni. La richiesta di Lodovico Aldisi, noto per le sue simpatie interventiste, di recarsi in Francia per seguire la guerra come inviato del giornale “La Nazione” è considerato un desiderio irrealizzabile, ma viene accettata a causa della sua profonda determinazione, nonostante il rischio a cui sa di andare incontro. Ludovico è convinto delle proprie idee e vuole dimostrare, attraverso gli articoli che invierà dal fronte, che la guerra è necessaria, perché vi è bisogno di rinnovamento: ma in realtà, ciò che lo spinge a partire non è solo questo, ma egli vuole “esserci”, essere protagonista e testimone di qualcosa di molto importante che gli darà anche naturalmente molta visibilità. Un altro elemento cardine che influenza in un certo senso le azioni di Ludovico sono i soldi, come quelli della sua amante Claudia che gli danno la possibilità di partire per il fronte o la ricchezza della famiglia del suo amico Dante con cui fa un confronto: verso di lui egli prova un sentimento di profonda invidia, anche se mascherata da amicizia. Ludovico lo vedeva come un privilegiato, anche perché Dante era diventato assistente del professor Laurenti, con cui entrambi avevano studiato. Egli sa di non poter mai essere come lui, perché proviene da una famiglia modesta – suo padre fa il pescatore; si rende conto che era fastidioso fare i conti con i ricordi, non provava nostalgia nei confronti della sua famiglia di origine o della sua povera casa vicino al mare, si sentiva distante da loro, che spesso gli rimproveravano di essere stato l’unico a studiare. Conosce Irene, la figlia del professore, e la considera come una “cresciuta a fior di farina e scuole private”, che non poteva avere una visione adeguata della realtà, soprattutto quando lei esprime il suo pensiero: “agli uomini appartiene il mondo, in Italia le donne sono costrette a stare qui”.

Ludovico giunge a Parigi che gli appare come una “città fatta di vitalità e bellezza, ma al calar delle tenebre sprofondava in un oceano di buio e sussurri”, riesce ad ottenere un’intervista con Gabriele D’Annunzio, fondatore dell’Associazione Nazionalista italiana che perorava la causa della necessità dell’interventismo: a confronto con una personalità così famosa, gli appare come “un uomo geniale e incredibilmente solo”. Ludovico, tuttavia, persevera nel suo desiderio di recarsi al fronte per assistere ai combattimenti e descriverli nei suoi articoli , ma non riesce ad ottenere l’autorizzazione dal capitano Freeman, che lo considera temerario e si chiede perché dovrebbe farlo andare lì, ma vista la sua  insistenza, lo sfida a giocare a carte; Ludovico riflette sul fatto che la decisione più importante della sua vita è legata al caso e alla fortuna, ma alla fine ottiene “un biglietto di sola andata per l’inferno”, come lo definisce il capitano Freeman. Al fronte  gli appare una realtà terribile a cui non era assolutamente preparato, viene sconvolto dalle urla, dai corpi ammassati, dai feriti, dai brandelli di stoffa insanguinati e dal silenzio di morte di persone con cui aveva diviso sigarette e boccali di tè, non riusciva ad ammettere di aver ucciso un uomo.

Irene intanto si reca a Greve, nella casa di campagna di Dante e Luciana, i suoi amici, sentiva una profonda nostalgia di Parigi dove aveva trascorso un po’ di tempo e aveva il desiderio di tornarci, perché soltanto là si era sentita libera e al proprio posto. Ma non poteva, era suo padre, un’intera città a impedirle di essere se stessa, ma lei non voleva arrendersi. Quando Ludovico torna, ferito, appoggiandosi a un bastone, è profondamente cambiato, perché ciò che aveva visto e vissuto in Francia era qualcosa che avrebbe portato addosso come un marchio e ricordava sempre le parole che gli aveva rivolto il capitano Freeman, che egli aveva salvato dalla morte, trasportandolo sulle spalle: ”Essere vivi e tornare a casa. Questa è l’unica cosa che conta”.

L’incontro di Irene e Ludovico nel giardino della Torricella, nella casa di campagna dei loro amici Dante e Luciana, rivela ad entrambi che tra loro è nato un sentimento, anche se essi non vogliono ammetterlo. Cominciano a parlare e Ludovico racconta la sua esperienza in guerra, in cui era  consapevole che “tutti gli uomini laggiù erano soli e senza aiuto” e il legame di affetto che era nato con il capitano Freeman e i soldati con cui stava dividendo il brandello di esistenza più importante di tutta la sua vita. Ma ripete anche a se stesso che  ”la mia vita è una guerra: non voglio avere catene, io appartengo a me stesso”. Negli articoli che aveva scritto, rivela a Irene che ha “taciuto su molte cose che ho visto”, ma aveva parlato dell’eroismo dei soldati e del coraggio degli ufficiali, ma avrebbe dovuto “chiamare le cose con il loro nome”. I ricordi lo facevano star male, provava un profondo senso di impotenza, sentiva che un veleno senza nome e senza antidoto gli era entrato dentro. Comprende che le sue opinioni interventiste erano sbagliate, perché ha visto dal vivo le conseguenze di una guerra e dice ad Irene che lei era diversa, idealista, illusa di poter cambiare il mondo, come era lui una volta. Ludovico comincia a rivedere tutta la propria vita, scandita come le immagini di un film, ripensa alla sua relazione con Claudia, la sua amante, picchiata selvaggiamente dal marito e poi uccisa a sangue freddo davanti ai suoi occhi e si pente di averla illusa, di averle fatto, anche lui del male.

Decide così di partire, di abbandonare la casa dei suoi amici che l’avevano accolto, per proteggerlo, dopo che era stato accusato dell’omicidio della donna e di lasciare anche Irene, per darle la possibilità di rifarsi una vita senza di lui. E gli anni erano trascorsi, il professor Laurenti era morto, senza un lamento, con gli occhi fissi sulla figlia che sarebbe rimasta sola, ma lei non aveva avuto paura, non poteva tornare in Francia perché i parenti le avevano detto che non potevano aiutarla, perché ognuno doveva andare per la propria strada. Irene aveva compreso che non c’era tempo di piangersi addosso, aveva imparato ad accontentarsi,con la consapevolezza che tutto ciò che aveva perduto non le sarebbe tornato indietro. Si amava così per come era diventata, si era ricostruita pezzo per pezzo e quando riceve una lettera di Ludovico, si rende conto che rifiutare di incontrarlo sarebbe stato il peggior torto che poteva fare a se stessa. Si incontrano e riscoprono il loro sentimento, comprendendo che ora si appartenevano davvero ”e tutto, finalmente era in pace”.

A cura di Ilde Rampino

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