Gigi Proietti e Frigento nel celebre varietà Club ’92

Francesco Di Sibio celebra il grande maestro dello spettacolo italiano mancato nel giorno del suo 80esimo compleanno condividendo un aneddoto del 1990 che entusiasmò il paese e contribuì a creare il mito del teatro

Gigi Proietti e Frigento nel celebre varietà Club ’92. Era il 1990 e sulla Rai andava in onda un varietà intitolato Club ‘92. A condurlo erano Giancarlo Magalli e Gigi Proietti. Quest’ultimo, in un paio di puntate, durante lo sketch del suo personaggio Pietro Ammicca, utilizza come sfondo una vecchia cartolina ritraente via Limiti, la strada panoramica di Frigento. Il giorno dopo la prima messa in onda, in paese è tutto un parlare della vetrina nazionale della serata precedente. Ciascuno offre la propria chiave di lettura, ma, a trent’anni di distanza, nessuno sa spiegare come sia capitata quella cartolina nelle mani della redazione e sia apparsa alle spalle dell’affarologo tuttologo appaltologo Pietro Ammicca, che gesticolava ampiamente prima di esprimere in parole le sue bravate.

Come spettatore teatrale avevo un sogno, assistere al teatro Sistina di Roma a uno spettacolo di Gigi Proietti. Da oggi, dopo l’annuncio della morte del celebre e amatissimo attore, dovrò riporre questo desiderio nel contenitore di quelle esperienze della vita che hai atteso troppo a realizzare e sono diventate impossibili, per forza di cose. Certo, al Sistina ci sono stato alcuni anni fa, mi impressionò per la grandezza – 1565 posti, 999 in platea, 566 in galleria –; chissà perché mi aspettavo fosse molto più piccolo, forse per la sua collocazione, lungo la strada omonima che scende a destra della chiesa di Trinità dei monti. In quell’occasione vidi il celeberrimo musical Rugantino interpretato da Enrico Brignano e Serena Rossi.

Ogni anno che passava, mi fermavo sul sito del teatro a sbirciare il cartellone cercando eventuali date di spettacoli con Proietti e immaginare incastri di ferie e viaggi nella capitale per poter essere lì ad applaudirlo. Erano, evidentemente, illusioni di un inesperto di cose teatrali, me ne rendo conto, ma la passione per quella forma di arte si ciba anche di personaggi carismatici, perfino non voluti/cercati, come lo stesso Proietti. Sì, perché il curriculum attoriale del cosiddetto “ottavo re di Roma” nulla lasciava all’identikit del personaggio puro, che disdegna tutto quanto sia leggero, futile all’apparenza e lontano anche solo un centimetro da epigoni autoriali. Basti pensare alla famosa parodia degli chansonnier francesi, cantautori che si prendevano troppo sul serio; appariva con la maglia dolcevita nera e cantava Nun ce rompe er ca’ anziché la celebre canzone di Jacques Brel Ne me quitte pas.

A mio avviso non era un modo tendente al blasfemo per profanare acclamati autori, anzi, a pensarci oggi mi appare evidente come fosse un semplice tentativo di avvicinarli a noi, umili e semplici uomini e donne di cultura media, farci scoprire altre voci e altre forme rispetto a quanto di solito fosse nelle nostre corde. Ecco che tutta la sua carriera appare molto più chiara: quelle montagne russe da alto e basso della cultura non erano una semplice rincorsa alle necessità personali, ma un tentativo di rappresentare l’uomo in tutte le sue sfaccettature, forse per questo in pochi oggi riusciranno a criticare a voce alta quell’uomo, prima che quell’attore. Era l’uomo dell’indimenticabile mandrakata di Febbre da cavallo, pellicola cult di Steno del 1976 e del sequel diretto dal figlio, Carlo Vanzina, nel 2002. Era l’uomo di A me gli occhi, please sempre del 1976 (come dimenticare il personaggio, che dopo aver cercato inutilmente l’amico Toto in una saùna, esprimeva rammaricato: “s’è liqueso!”), spettacolo teatrale dei record, con teatri tenda stracolmi in tutt’Italia e maratone da one man show. Era l’uomo della fiction Maresciallo Rocca, che in tv cavalcava l’onda delle serie con risvolti gialli all’italiana. Era l’uomo che nel 2003 segue la nascita, dopo averne avuto l’idea, del teatro scespiriano Silvano Toti Globe Theatre a Villa Borghese – riprendendo il Globe Theatre di Londra, il più famoso teatro del periodo elisabettiano –, di cui è stato direttore, nel quale si rappresentano soprattutto i classici del bardo Shakespeare. Era l’uomo che nel 2018 raccoglieva parecchi suoi personaggi storici in un’antologia di Cavalli di battaglia.

Teatro, cinema, televisione, insomma i successi sono stati tanti e altrettante le scommesse intraprese, non tutte riuscitissime, ma in queste righe vorrei ricordare un tassello in più che non va assolutamente sottovalutato: il Gigi Proietti maestro. Di solito è un appellativo che viene affibbiato a un artista esperto, che eccelle, ma in questo caso è da intendersi come un attore capace di tramandare la propria arte a tanti – oserei dire tantissimi, l’elenco dei più famosi sarebbe lungo – allievi, molti dei quali hanno poi seguito la propria strada con notevole successo. Ecco, ha avuto l’umiltà di saper donare il proprio mestiere, prestando alcune sue invenzioni e intuizioni, senza ritenersi egoisticamente l’eletto, l’unico a capire l’arte. Per questo, il nostro mondo ha bisogno di maestri in diversi campi della vita, da stamattina ne avremo bisogno di uno in più, avendo perso l’amato Gigi Proietti. Io, invece, passeggiando lungo via Limiti, raggiungendo la panchina della storica cartolina, mi fermerò un attimo, ogni sera, per allargare un grosso sorriso e ringraziare il maestro Proietti per quanto ha insegnato anche a noi, che abbiamo goduto delle sue esibizioni, anche senza essere degli aspiranti attori, ma persone che vogliono solo capire meglio la vita.

A cura di Francesco Di Sibio


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