“Manna e miele ferro e fuoco” di Giuseppina Torregrossa

Un libro sulla Sicilia, le sue tradizioni popolari, la superstizione. I riti ancestrali che influenzano fortemente la vita delle persone fanno da sfondo a una storia di forza mascherata da debolezza di una donna, Romilda

“Manna e miele ferro e fuoco” di Giuseppina Torregrossa è un libro sulla Sicilia, le sue tradizioni popolari, la superstizione. I riti ancestrali che influenzano fortemente la vita delle persone fanno da sfondo a una storia di forza mascherata da debolezza di una donna, Romilda. Già alla nascita Romilda sembra affermare la propria diversità e la porta avanti, trasformandola in determinazione. Nel libro “Manna e miele ferro e fuoco”, il lavoro di suo padre Alfonso, il “mannaluoro”, rappresenta un segno importante di distinzione, che affonda le radici nella tradizione familiare, che egli vorrebbe trasmettere ai suoi figli. Il gesto, che contiene in sé una sorta di sacralità, come  raccogliere la manna dagli alberi è un inchinarsi davanti alla natura, rispettandola. Egli estraeva manna di primissima qualità e considerava gli alberi come le sue creature, ma si rende conto che i suoi tre  figli maschi non se la sentono di continuare il suo lavoro. ”La mannaluora non esiste e tu sarai la prima” è la frase che esprime la consapevolezza che Romilda è l’erede di quella che egli considera la sua vita. La investe di una importante responsabilità e dà inizio ad una nuova vita per lei, perché qualcosa di grande stava succedendo. Suggestiva è la descrizione poetica della raccolta della manna, simile quasi ad una melodia e lascia alla figlia una sorta di testamento: ”la storia della tua famiglia è tutta scritta nelle incisioni di queste piante, la tua identità è nei muddii, se smetti di fare manna sarai un albero senza radici”.

“Manna e miele ferro e fuoco” di Giuseppina Torregrossa

Sua moglie Maricchia aveva la passione per le api e riusciva a guadagnare abbastanza per dare sostentamento alla famiglia: il miele che produceva aveva per lei – e poi per sua figlia Romilda – un significato speciale, di dolcezza e di fascino. Quando la bambina era piccola, un nugolo di api le ronzava attorno alla testa e si creava un dialogo ridicolo dal quale tutto il mondo era escluso e la presenza delle api rimase sempre un mistero, da cui Romilda si sentiva protetta e le considerava quasi come “sorelle”. Maricchia attraverso il legame speciale che aveva con la bambina dava a se stessa la tenerezza che le era stata negata e si rendeva conto che Romilda, pur insofferente a qualsiasi disciplina, aveva qualcosa più degli altri e “non era venuta per accudirla ma per sostituirla”.

Lo sfondo storico in cui è ambientata la vicenda è caratterizzata dal potere degli aristocratici siciliani e delle condizioni disagiate in cui vivevano i contadini. Protagonista della vicenda è la famiglia nobile dei Ventimiglia, in cui, per uno strano scherzo del destino entra Francesco che apparteneva ad una famiglia umile ma si era sempre sentito a disagio in quella casa e non sentiva alcun legame con quel fabbro nero di fumo e abbruttito dalla fatica: non gli assomigliava neanche nell’aspetto. Da bambino non aveva mai conosciuto la tenerezza e l’incontro fortuito con Donna Margherita gli aveva cambiato la vita: la donna aveva immediatamente deciso di portarlo con sé. Gli anni trascorsi al castello come erede di quella nobile famiglia gli aveva forgiato il carattere, ma in lui permaneva un senso di fragilità emotiva, poiché aveva dovuto lottare per affermarsi e sconfiggere l’invidia degli altri. Non riusciva ad intessere autentiche relazioni d’amore, era pervaso da un’indistinta malinconia che cercava di soffocare attraverso l’avidità e una sorta di violenza primitiva. vani erano i suoi tentativi di costruire qualcosa di emotivamente profondo per la sua paura di lasciarsi andare e i rapporti carnali con la serva gli davano la sensazione di “aver perso la libertà” e di essere diventato uno schiavo e si sentiva disorientato da quella tempesta che l’aveva investito. Francesco era pieno d’orgoglio, credendo di essere l’artefice del proprio destino e trattava in malo modo i suoi dipendenti, i “carusi”.

La prepotente passione che nasce nel cuore di Francesco per Romilda, che conosce quando è ancora piccola, ma di cui intuisce una forza prorompente, lo porta a chiederla come sposa e lei, dopo un naturale momento di smarrimento, accetta di sposarlo per un senso di rivalsa e per fare in modo che sua madre fosse dilaniata dai sensi di colpa, perché ”a nessuno interessa sapere quello che voglio fare io”. E’ pregnante il senso della femminilità , che pur soggetta al volere degli uomini, viene fuori nei momenti importanti e porta a un cambiamento di vita e a un nuovo atteggiamento. Romilda attrae Francesco con  celata sensualità e ritrosia, ma il loro rapporto, anche per la notevole differenza di età, procede con difficoltà e quando lei rimase incinta e la vita cresceva dentro di lei, per Francesco era diventata una dea intoccabile e di fronte a tanta potenza si sentiva fragile e indifeso. Spesso vagava nelle sue tenute e, in seguito all’emanazione della legge per la vendita dei beni ecclesiastici, decide di acquistare il convento che ha determinato la svolta della sua esistenza, ma quando  giunge nei pressi, avverte improvvisa la nostalgia per il sapore del limone e dello zucchero che gli aveva offerto Donna Margherita, quando era solo un bambino. Romilda intanto si sente in gabbia e, anche se l’improvvisa visita dei suoi genitori l’aveva in qualche modo strappata alla nebbia della sua esistenza, quando arriva il momento del parto, avverte una profonda inquietudine. A quel tempo la nascita rivestiva un carattere sacro, attraverso la presenza della levatrice o della serva di casa che assisteva al parto,  attraverso riti propiziatori e sortilegi e che era in grado di avvertire profondo il turbamento psicologico delle puerpere e le violente emozioni dei padri dinanzi al grande mistero della vita.  Nascono due gemelli, un maschio e una femmina, ma in Romilda avviene qualcosa di strano, non prova amore materno, si sente in una sorta di “anestesia emotiva”, dovuta anche al fatto che la sua vita, come del resto quella di tutte le donne, era stata scandita sempre da scelte non sue e non voleva “pagare per tutta la vita il prezzo delle decisioni altrui”. I suoi figli per lei sono degli estranei e non riuscirà mai a costruire un rapporto con loro. Col passare degli anni, è come se tutto si fosse cristallizzato e alla morte di Francesco cominciò ad avvertire l’ebbrezza della libertà e l’estasi dell’autodeterminazione,  ma nello stesso tempo si sentiva incerta e disorientata, aveva un bisogno sempre più forte di ritrovare se stessa e l’urgenza di dover lasciare la villa, dove si era svolta la sua vita per tanti anni e di tornare alla sua vecchia casa. Il senso di estraneità che le ghiacciava l’anima si sciolse improvvisamente nell’abbraccio dei fratelli che l’aveva fatta tornare improvvisamente nel passato. Romilda cercava di mettere insieme i pezzi della sua famiglia e della sua storia, apprende che il padre era vissuto facendo manna e così aveva voluto morire e si rende conto che doveva raccogliere la sua eredità spirituale, perché ”papà è ancora lì che mi aspetta”. Va nel bosco, dove egli le aveva trasmesso la sua passione per la raccolta della manna, non vedeva l’ora di incontrare la “Cattedrale” , il luogo dove suo padre aveva trovato la morte, una sorta di luogo sacro per lui in cui esprimeva il suo senso religioso e in quel momento Romilda ebbe la consapevolezza che finalmente stava per mantenere la promessa fatta e i suoi occhi brillavano di orgoglio.

A cura di Ilde Rampino

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