La bella Avellino di Antonio Forgione rivive in un libro che offre un viaggio in una Avellino del passato tra i colori e la luce catturati da Antonio Forgione». Questo volume «rappresenta il giusto omaggio a un padre esemplare che, nella sua generosità e semplicità, ha dato a noi figli tutto quello che si può desiderare», scrivono i figli dell’artista, presentando l’opera, pubblicata da ‘De Angelis Art’.

AXRT. L’ingresso alla mostra Eco Sostenibilità Contemporanea, in corso di svolgimento ad Avellino

Di seguito la galleria che presenta in anteprima alcuni dei dipinti più suggestivi di Antonio Forgione, prezioso patrimonio da trasmettere alle nuove generazioni sulla bellezze perduta di un’Avellino neanche troppo remota. A seguire, le riflessioni di Paola e Stefano Forgione, poi di Generoso Benigni, quindi di Matteo Claudio Zarrella. Oltre alla copertina del volume, la galleria raccoglie angoli identitaria splendidi della bella Avellino: Piazza Duomo, Cattedrale e Seminario; Piazza Castello;Piazza della Libertà e la perduta Chiesa di San Francesco; Piazza Aldo Moro e il Carcere Borbonico; Via dei Due Principati e il Ponte della Ferriera, la perduta Rampa Macello prima che il terremoto del 1980 la radesse al suolo; Piazza Amendola con la Dogana; Via Costantinopoli. La pubblicazione sarà presentata oggi, sabato 21 dicembre 2019, alle ore 18.00, presso la galleria d’arte “AXRT Contemporary Gallery”, via Mancini 19, Avellino. Interverranno: Generoso Benigni, Matteo Claudio Zarrella, Paola Forgione e Stefano Forgione. Coordina Gianni Festa. Ecco gli interventi.


Antonio Forgione ha dato memoria agli avellinesi di ciò che Avellino è stata

di Paola e Stefano Forgione

Antonio, o meglio Tonino, ha sentito forte dentro di sé la passione per la pittura fin da bambino, ma le vicende della vita lo hanno portato a lavorare in tutt’altro campo, facendo si che le sue capacità artistiche rimanessero represse. Collezionista impegnato nella raccolta di cartoline antiche, nonché amante dell’antiquariato, Tonino fa di una passione un’opportunità: perché non contemplare, fondere o associare le sue qualità pittoriche alla ricerca da collezionista? Da qui nasce il cortocircuito da cui discendono o nascono tutte le opere rappresentate in questa pubblicazione.
Rigorosamente con la tecnica dell’olio su tela, lui è riuscito a rappresentare la sua Avellino, Montevergine, Mercogliano, così com’erano, lavorando sulla memoria e l’indiscussa capacità nell’utilizzo dei colori.

Per lui Avellino era cosi! Esattamente come da lui stesso rappresentata, non esistevano suggerimenti o consigli, quel palazzo aveva quei colori, il cielo rigorosamente azzurro e sereno, così come il suo carattere.
In ogni quadro si percepisce la vita di quei tempi, il vestiario, gli oggetti, le insegne, gli addobbi festivi, tutto aveva un colore, tutto viveva nella sua mente, non come un ricordo ma come una fotografia mai scattata. Spesso, tornando a casa, lo trovavamo impegnato a dipingere e non vedeva l’ora di coinvolgerci in un primo giudizio che per lui era motivo di orgoglio, non come artista, ma come romanziere di un’epoca ormai passata, come artefice di una riproduzione di una Avellino ormai presente solo nella mente delle persone che avevano percorso quei tempi. A casa era un via vai di amici ai quali mostrava i suoi ultimi lavori, fiero e felice di ricevere un commento da chi come lui aveva vissuto, passeggiato e apprezzato quei luoghi, disquisendo su quel palazzo, su quella fontana, su quel monumento o più semplicemente su quei posti in cui si trascorrevano le giornate. Il suo desiderio era quello di pubblicare questo libro, amava Avellino, così come i suoi dintorni, più di ogni altra cosa. Ogni qualvolta qualcuno attaccava la città, lui era pronto a difenderla, a scontrarsi con chi in qualche modo stava distruggendo quell’armonia architettonica di una nobile Città di provincia, dove tutto funzionava ed era a dimensione umana. Provava sentimenti di sdegno per le famose opere pubbliche, con architetture più o meno discutibili, avvertiva risentimento verso chi in qualche modo aveva violentato la città, non sopportava chi denigrava i pochi monumenti che la nostra Avellino ancora ha e, soprattutto, era sconfortato dallo stato di abbandono in cui versavano e versano alcuni edifici cittadini, la Dogana su tutti. Quest’opera, oltre a contenere profili di romanticismo di due figli che hanno vissuto direttamente la nascita di ogni dipinto, ha la pretesa di rappresentare un’incredibile possibilità per chi ha vissuto quell’epoca e per le generazioni più giovani di apprezzare quella Avellino, ricordarla e magari emularla nel tempo futuro, restituendo dignità architettonica, unicità e centralità ad ogni particolare strutturale, piccolo o grande che sia. Nelle sue opere sono tratteggiate le zone più popolari e quelle più nobili, palazzi aristocratici e case delle persone più umili. In tutte le rappresentazioni pittoriche, Tonino riusciva a dare bellezza rappresentativa perché quel luogo apparteneva ad Avellino, la sua città. Le popolane, le nobildonne, i signori o i contadini del tempo, tutti avevano un ruolo essenziale, tutti vivevano di una memoria pittorica dignitosa e tutti tratteggiavano e quasi simboleggiavano quei luoghi. Non c’erano ghetti o luoghi meno nobili, non esisteva classe sociale nelle sue opere: i protagonisti erano gli avellinesi di quel tempo, con il cappello o senza, con abiti da popolana o tessuti ricchi e sfarzosi. Tutti godevano di quelle agorà, tutti vivevano la sua città. Noi speriamo che questo libro possa restituirgli una meritata, immortale memoria e restituisca agli avellinesi un’opera editoriale unica, nostalgica e di indirizzo culturale per le future generazioni.


Grazie a Tonino Forgione, ha contribuito in maniera rilevante a farci conoscere e amare la nostra città

di Generoso Benigni

Si può fare del bene a una comunità in tanti modi: ad esempio un amministratore può realizzare un’opera pubblica significativa o avviare un’iniziativa che contribuisce decisamente alla crescita economica e sociale della città. Si può valorizzare la propria comunità, onorandola anche con successi personali, che possano essere condivisi dalla comunità nella quale si è nati e si è cresciuti civilmente e professionalmente. Si può donare un’opera duratura a servizio della propria comunità, come negli anni ’30 fece Alfonso Rubilli, realizzando a sue cure e spese una Casa di riposo per anziani, con un atto di grande generosità verso la sua Avellino. Si può onorare la propria città approfondendo la storia del suo passato antico e recente, ricordandone i protagonisti, e cioè i concittadini che nel tempo si sono distinti in molteplici attività pubbliche o private, lasciando segni tangibili delle loro azioni meritevoli, esaltando con le loro azioni l’intera comunità.

La bella Avellino di Antonio Forgione nel volume: “Avellino – Viaggio tra i colori del passato di Antonio Forgione”. La Copertina del volume – Avellino

Tonino Forgione è stato ed è un benefattore di Avellino, per aver contribuito in maniera rilevante a farci conoscere e soprattutto amare la nostra città.
È singolare che il trasferimento agli avellinesi della conoscenza dell’antica città e al contempo il coinvolgimento dell’intera comunità nel sentimento d’amore per i luoghi simbolici del nostro passato, siano stati prodotti ed inculcati da una persona “semplice”, e cioè non da un letterato o storico di fama, bensì da un semplice cittadino, per di più non avellinese di nascita: l’indimenticabile Tonino Forgione. Tonino, avendo dovuto affrontare sin da adolescente le difficoltà della vita quotidiana, non ha potuto completare un ciclo di studi particolarmente elevato, dovendosi dedicare al lavoro, quello immediatamente produttivo, per essere di aiuto alla famiglia di origine e poi alla nuova bellissima famiglia che ha creato.
Ma Tonino aveva doti “culturali” innate, una propensione particolare per l’arte e soprattutto un’infinita sensibilità, che nei rapporti interpersonali si realizzava attraverso la bontà e la disponibilità verso tutti; e si manifestava nell’osservazione attenta ed amorevole, e poi nella descrizione delle “cose” della città, intese come disegno urbanistico, strade, monumenti, paesaggi, persone che quotidianamente si osservano e si ricordano anche attraverso la pittura e, in epoca meno antica, attraverso la fotografia. E Tonino, raccogliendo in tutta la sua vita tutte le antiche cartoline di Avellino, ha conosciuto più di ogni altro avellinese quanto di bello vi era ed in parte c’è ancora nel tessuto urbanistico, edilizio ed umano della nostra piccola comunità. Avellino non è ricca di monumenti, anche perchè in anni lontani e talvolta anche abbastanza recenti alcuni amministratori, non dotati della sensibilità di Tonino, hanno demolito strutture storiche significative, sostituendole con strutture anonime e senza anima. Ebbene Tonino, consapevole anche di quanto era stato distrutto dall’ignoranza ed insensibilità di alcuni, ha cercato di conservare per sempre quelle cose che egli riteneva fossero state o fossero ancora un vanto della città; le cose, cioè, da ricordare plasticamente nelle riproduzioni fotografiche.
Non ancora soddisfatto, Tonino, che era un ottimo disegnatore e pittore, oltre che restauratore, ha voluto, dedicandovisi per anni ed anni, riprodurre le cartoline più belle di Avellino di una volta in quadri ad olio su tela, che ha in parte conservato, il più delle volte donato agli amici, ricevendone, ma non spesso, modesti compensi per coprire almeno in parte le spese. È stato un artista vero, perché certamente le sue opere hanno la luminosità dell’amore di chi coglie con la bellezza dei colori, ed al contempo esalta la purezza di angoli della città e paesaggi da lui non dimenticati.
I dipinti di Tonino, raccolti in questa pregevole opera, ad iniziativa dei figli Paola, Stefano e della moglie Clelia, hanno soprattutto un infinito valore umano, perchè sono testimonianza di un incredibile legame di Tonino con l’Avellino dei sogni, la piccola città di provincia della nostra fanciullezza e quella più antica dei nostri avi, l’Avellino di un secolo fa, quella tramandata dagli scritti e dai racconti dei nonni e degli storici locali; testimoniata da Tonino nelle frequentazioni giornaliere di amici che condividevano la sua sensibilità, perché anch’essi profondamente legati alla comunità. Penso a persone scomparse come Vittorio Sellitto, Remigio La Bruna, Domenico Cucciniello, Giovanni Pionati e tanti altri avellinesi che Tonino frequentava, in un rapporto meraviglioso di condivisione di un particolare legame con le proprie radici.
Tonino, alla fine, con le cartoline prima e poi con i dipinti della maturità, ha svegliato o risvegliato negli avellinesi l’orgoglio e l’amore per la propria comunità, un sentimento di legame forte ed indissolubile con il passato, e con le radici e la storia della città.

La Bella Avellino di Antonio Forgione: Rampa Macello – Avellino

E mi piace credere che se Avellino ha smesso di abbattere le vestigia del passato, cercando di conservare e valorizzare quei pochi monumenti che restano; se l’Avellino del dopo terremoto ha realizzato strumenti urbanistici conservativi, di restauro e non di sostituzione del patrimonio edilizio, anche modesto, ma meritevole di attenzione ed amore; se Avellino ha conservato la memoria viaria, che è il tessuto fondamentale per ricordare la comunità, lo dobbiamo anche all’insegnamento di Tonino.
Anche nella trasmissione del suo insegnamento e della sua sensibilità nel rapporto con gli altri, Tonino ha espresso doti particolari. I suoi discorsi con gli amici, le sue riproduzioni pittoriche sono sempre improntati ad una tenerezza esternativa, ad un modo sorridente ed al contempo pudico nel trasferimento dei suoi sentimenti. Non si è mai trasformato in cattedratico osservatore di “anticaglie” che gli altri non potevano capire. Non si è mai isolato, ha sempre cercato di rendere partecipi i suoi amici e conoscenti delle sue scoperte, di quelle che egli riteneva fossero vere e proprie conquiste di tesori nascosti o ignorati, conquiste di ricordi e di visioni di monumenti e persone del passato, cercando di donare agli altri la sua sensibilità di osservatore ed amante del bello, ricevendone una gratificazione spirituale indescrivibile. È come se egli godesse della gioia degli altri, si compiacesse per aver trasferito ad altri avellinesi le sue sensazioni, il suo acuto spirito di osservazione e, quindi, l’amore per la sua, per la nostra Città. Quei personaggi, quelle donne dai vestimenti eleganti o umili, presenti nella riproduzione di piazza Libertà parlano un linguaggio universale, sono quel che rimane nell’istantaneità della memoria visiva di ciascuno di noi, utilizzando le cartoline, ed ancor più i dipinti di Tonino Forgione. È il ricordo di una comunità, la visione romantica di momenti raccontati e vissuti da altri, rappresentativa di una comunità, che Tonino ha trasferito per sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori. Noi dobbiamo ringraziare Tonino per il dono che ci ha fatto. Cari Stefano e Paola, cara Clelia, siate orgogliosi di quanto Tonino ha fatto per la sua città. È una città che condivide con voi l’affetto e la riconoscenza per un uomo, che nella sua grande bontà si è fatto amare da quelli che hanno avuto, come me, la fortuna di essergli amici, e di chi ha ammirato ed ammira la sua raccolta di cartoline e le sue opere pittoriche. Non lo dimenticheremo. Rubo una bellissima espressione presa a prestito da Cesare Pavese, per il tramite dell’amico Max De Francesco “L’uomo mortale non ha questo che di immortale. Il ricordo che porta ed il ricordo che lascia”.


Questo è il libro che Tonino Forgione non ha avuto il tempo di finire

di Matteo Claudio Zarrella

Questo è il libro che Tonino Forgione non ha avuto il tempo di finire.
Una “eredità” impegnativa lasciata ai figli Paola e Stefano, che hanno sentito il dovere di mettervi mano e portare a termine. Ed è con questo libro che Tonino rimane con noi, ancora in vita. Tonino Forgione è la sua Avellino. Avellino come voleva che fosse. Eternata nei suoi quadri, ritratta dal vero e a colori. Una Avellino popolata e viva. Il bianco e nero della fotografia proietta nel passato l’immagine, con i colori Tonino la ravviva. Dipingeva Avellino ed era come volerci abitare, attraverso l’apertura di un sogno. Nei frequenti incontri che ho avuto con Tonino, l’argomento cadeva quasi sempre sulla città. Si dispiaceva al pensiero che non era l’Avellino bella e ordinata di una volta, la città che tratteneva la memoria dei Padri, delle antiche tradizioni, capace di infondere negli abitanti il senso morale della vita collettiva. Si parlava della fontana “a tre cannuoli”, depredata della statua del Bellerofonte. Si parlava del piccolo Re di bronzo che s’era dovuto allontanare dall’obelisco della Dogana per lasciarvi un suo simulacro e riparare in un più sicuro e custodito Museo, della Dogana stessa, guastata soprattutto dall’incuria. Unica eccezione di meraviglioso recupero: la Torre dell’Orologio, ristrutturata e ripresa, esaltata dai colori di Tonino come rassicurante simbolo dell’Avellino di sempre. L’urbanistica dovrebbe consultare scrittori, artisti, poeti, pittori appassionati come Tonino Forgione che prediligono il senso del bello, del vero, del giusto. Una nostalgica malinconia prese Carlo Muscetta quando tornò ad Avellino. Giovanni Pionati gli fece da guida; a lui confidò, nella lettera intitolata “Avellino perduta”, le sue tristi impressioni: “Lungo le vie del cemento ben rari spazi erano stati lasciati alla vecchia Avellino: pochi alberi di un lussureggiante parco, “il vasto Capozzi”, e qualche rudere di tufi. Si inseguivano i micrograttacieli e le variopinte insegne dove si esalta il consumismo e si sfoggia tutto l’extra-italiano che si può nella periferia dell’impero americano. Tornai a casa affranto. Non ne potevo più di andare in giro tra quegli sconci edilizi, dove sarebbe difficile valutare chi abbia prodotto più danni, se i bombardamenti a tappeto dei liberatori, o il terremoto, o le rifiorenti camorre dei ricostruttori. Solo l’indignazione mi fermò le lacrime e mi restituì la limpidezza di sguardo, che richiedono le serene rievocazioni suggeritemi dal menabò di un volume che Antonio Forgione e tu state preparando, preziosa raccolta di rare vedute della vecchia Avellino”. Tonino si rammaricava delle sue precarie condizioni di salute solo perché gli inceppavano il pennello, gli impedivano di portare a termine l’opera intrapresa che sapeva l’ultima, conclusiva: il libro sulla sua Avellino ritratta nei suoi quadri. Il libro ci fa da guida per l’Avellino di tutti i tempi. La prima immagine. Una Avellino agreste.

La Bella Avellino di Antonio Forgione: Piazza Castello

La montagna di Montevergine è nello sfondo. Eterna. Sempre identica, salda ed immutabile nel girare vorticoso del mondo e della storia. È raffigurato il primo insediamento abitativo. Un addensarsi di case da cui si eleva un campanile che punta verso il cielo, al fianco della montagna, quasi a somigliarle nell’altitudine della sua vetta a cuspide. Una Avellino primitiva: in mostra la bellezza suggestiva di ruderi inselvatichiti. Pare di sentire Pasolini: “Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi delle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati degli Appennini”. Siamo già vissuti prima d’essere nati. Croce avrebbe detto: noi siamo il prodotto del passato, nel senso che “ci siamo dentro”. È ritratta la prima Avellino, sulla collina fortificata della “Terra”, sollevata a fare da pluviale per alimentare le acque del Rio Cupo e del Fenestrelle. Si ammira l’immagine del prestigioso Palazzo De Peruta che introduce via Mancini e la sollecita a proseguire in direzione del monte di Montevergine che pare piantarsi in fondo ad aspettarla. Il Palazzo De Peruta è stato sede del Comune di Avellino e pare conservarne il titolo: ancor oggi ostenta l’insegna municipale. Così il Palazzo Caracciolo è ritratto come la prestigiosa sede del Tribunale, con la grande arena della Corte d’assise. Tonino ne esalta la bellezza e l’imponenza architettonica. Si inerpicano verso Montevergine le carovane festose dei pellegrini. Bellissimi i ritratti dei cavalli, taluni inghirlandati a festa. Tonino esalta la mansuetudine e la pazienza di un cavallo che, con lo sguardo quasi umano, adempie alla sua missione. I quartieri popolari di “Sant’Antuono”, di Rampa Macello. Nella città, un mondo a parte. Lungo la via a forte pendenza, vediamo sostare sdraiate e in riposo le capre. È il “popolo basso”, felice di esserlo. Piazza del Popolo. Una piazza che rivendica la sua vocazione “popolare” che del popolo prende l’aspetto schietto e vivace. Ritratta con personaggi veri, recuperati da un’antica immagine fotografica. Tonino cura in ogni particolare le ceste, le verdure, le cipolle ramate. Sfumati i volti delle persone che affollano la piazza. L’immagine pare evocare un fitto vociare di gente. Montevergine. Pare coordinarsi in un insieme architettonico con il Carcere borbonico, il Duomo, il Colletta, il palazzo De Peruta. Piazza Libertà.

La Bella Avellino di Antonio Forgione: Piazza della Libertà e la Chiesa di San Francesco

Ripresa nei vari suoi aspetti. La “corsa” delle carrozze trainate dai cavalli. Immaginiamo lo scalpitio dei cavalli, le grida dei cocchieri, il conversare degli abitanti, lo schiamazzo dei fanciulli. Il ritratto delle chiese, prima tra tutte la Cattedrale, quindi la Chiesa della Trinità, la Chiesa di Costantinopoli: in bella mostra, animate da gente riversa nella via con il piacere di incontrarsi e ritrovarsi. Questo libro prosegue, come una costante d’amore verso Avellino, la via tracciata da altri due libri ai quali ha dato mano Tonino Forgione: Avellino. Memoria e Immagini, cui ha prestato la penna Giovanni Pionati, e Avellino e l’Irpinia. Settembre 1943. Per quest’ultimo libro mi ha chiamato a collaborare unitamente a Remigio La Bruna, ad Andrea Massaro e all’esperto storiografo Angelo Pesce. Tonino ha messo a disposizione il suo prezioso materiale fotografico su una Avellino distrutta che si ricostruisce. Condivise questo mio commento ad un’immagine sui lavori di rimozione delle macerie di edifici bombardati: “A forza di braccia, senza il supporto tecnologico che sarà negli anni ’80 in dotazione dei ricostruttori del dopo terremoto, procede costante l’opera di ricostruzione della città che, nel complesso, quasi senza accorgersene, si ritroverà – non passerà molto tempo – pulita, moderna. Come tirata a lucido”. Antonio Forgione confrontava l’Avellino del dopoguerra, ricostruita e “tirata a lucido”, con l’Avellino del “dopo terremoto”, sfigurata dalla speculazione edilizia e da un conseguente degrado morale. Tonino Forgione, chiamato a restaurare “santi, angeli e Gesù Bambino”, mi confidò con allegra ironia e sottile compiacimento che gli era capitato di vedere uno stimato professionista di Avellino, starsene inginocchiato in devota preghiera sotto la statua del Santo o del Gesù Bambino che aveva provveduto a restaurare. Tonino mi aveva sempre parlato del progetto di un libro di rievocazione della sua indimenticabile Avellino, quasi a voler fare per la sua città un’opera di restauro, per rimuovere i guasti prodotti dall’usura dei tempi passati e dal cattivo gusto dei tempi moderni. Ogni quadro documenta la vita dell’Avellino di un tempo. Tutto a colori, con predilezione per il colore azzurro che Paola e Stefano dicono da lui preferito, nel segno del suo modo sereno e felice di vedere le cose. La sua casa era per lui l’officina della sua arte, il luogo di una mostra anticipata per gli amici fidati. Sono stato più volte a casa sua. L’ultima volta pochi giorni prima della sua morte, una morte precoce, nonostante l’età. Perché è sempre precoce la morte dell’artista, di una persona creativa come Tonino.

La Bella Avellino di Antonio Forgione: Piazza Duomo. Cattedrale e Seminario

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