Letture. Il treno dei bambini di Viola Ardone

LETTURE. Un’infanzia vissuta in un certo senso ai margini, nella miseria, osservando, quasi come in un gioco le scarpe degli altri

Letture. Il treno dei bambini di Viola Ardone. Un’infanzia vissuta in un certo senso ai margini, nella miseria, osservando, quasi come in un gioco le scarpe degli altri, una “ricchezza” che ad Amerigo, il protagonista, non era stata concessa, ma era come fosse abituato a non averla, perché ”una cosa bella fino a mo non mi è mai capitata”. Entrare in una scuola, circondato da bambini che non conosce, lo porta all’improvvisa consapevolezza della sua situazione di povertà e anche del suo essere diverso dagli altri: il suo cognome, Speranza, è lo stesso della madre e sembra quasi un paradosso. Amerigo non si sente ignorante, né in realtà lo è, perché ascolta le storie degli altri, mentre trascorre il suo tempo alla ricerca di pezze per venderle al mercato. Il suo mondo è costituito dai vicini, dalle persone che incontra per le vie del suo quartiere a Napoli, da coloro che incrociano il suo cammino. Essi sono accomunati da un elemento importante, il soprannome che identifica la persona e rimane talvolta nella memoria tanto che “il nome vero non se lo ricorda più nessuno”. L’ avvenimento che stravolge la vita di Amerigo e degli altri bambini è la proposta di un’associazione comunista di portarli al nord, affidandoli ad alcune famiglie per un progetto di solidarietà sociale. Significativo è il momento in cui Maddalena, la responsabile, che ha avuto una medaglia, perché ha salvato il ponte della Sanità, scorre l’elenco delle “criature dei treni”, davanti a file di bambini spaventati che non vogliono lasciare le proprie madri e, nel momento del commiato le abbracciano strette. E’ il gesto che fa anche Amerigo, qualcosa a cui la loro riservatezza non li aveva abituati, tanto da aver paura di lasciarsi andare alle effusioni, celando i propri sentimenti. La tensione è palpabile, anche perché questa partenza era avvelenata da sospetti e pregiudizi, come quello che avrebbero rapito i bambini per “ metterli dentro i forni”. Quando, dopo averli lavati, “con gesti simili a carezze” e aver sentito il fragrante “odore del sapone” salgono sul treno, avviene qualcosa di inaspettato e allo stesso tempo di forte pregnanza emotiva: i bambini si liberano improvvisamente dei cappotti, che avevano avuto in regalo e li lanciano verso le loro madri, per darli ai fratelli più piccoli. Bellissima è l’immagine di questa “folla” di cappotti che riempie la stazione e raggiunge le donne. Amerigo fa lo stesso e guarda sua madre che si stringe nello scialle in silenzio “ che è l’arte sua”, con le braccia incrociate sopra al cappotto, provando già nostalgia per la partenza del figlio. L’arrivo a Bologna pone Amerigo in una situazione di profondo senso di disagio e di solitudine, si sente escluso, perché i suoi due amici del cuore, Mariuccia e Tommasino, vengono accolti da due famiglie, che le portano a casa loro, mentre lui rimane solo, non c’è nessuno che l’ha scelto, si sente “come un dente caduto”: sarà poi affidato a una signora, Derna, perché la donna che ne aveva fatto richiesta, aveva partorito prematuramente. Amerigo si ritrova a vivere in un mondo diverso, sconosciuto, dove tutti i figli lavorano, per aiutare la famiglia. Si sente strano e comincia a raccontare episodi della sua infanzia per far vedere che aveva qualcosa anche lui; pian piano entra in confidenza con il nuovo ambiente e con i suoi “fratelli”, condivide momenti con loro, e comincia a sentirsi parte di quella nuova famiglia, anche perché nutre un immenso bisogno di affetto, nonostante le lettere che gli manda sua madre, facendole scrivere a un altro e cercando di “fare la sua firma”, come una sorta di abbraccio lontano. Il momento più bello e importante è quando, dopo aver aiutato in bottega il suo nuovo “babbo” a riparare strumenti, riceve un violino in regalo e si rende conto che ”non ho mai avuto una cosa mia”. Pieno di amarezza è il suo ritorno a casa, da sua madre: è cambiato tutto e riflette, parlando con il suo amico Tommasino, che ”ormai siamo spezzati in due metà” e che tutta la sua vita si è “ristretta di nuovo”. Si è creata ormai tra lui e sua madre una frattura irreparabile e quando egli le mostra i regali che ha ricevuto “dalla famiglia del nord” e soprattutto il suo violino, lei li fa sparire, perché si sente trascurata e non può offrirgli le stesse cose: il loro rapporto non si sanerà più ed egli fuggirà, abbandonando tutto.

Il treno dei bambini di Viola Ardone

”Casa mia dov’è?” è la domanda che egli si porrà, tanti anni dopo quando tornerà per la morte di sua madre: si sente straniero, cerca di riannodare i fili del suo passato, ricorda quando camminava insieme a sua madre ed, entrando nella sua vecchia casa, trova il cibo che lei aveva cucinato la sera prima di morire ed egli mangia, come se ella avesse cucinato per lui. Ripensa alla sua fuga improvvisa e si rende conto che “da qui sono scappato, questa volta sei tu che sei scappata senza salutare”. Egli ha voluto tagliare quel filo che lo teneva annodato a lei, aveva assunto il cognome della sua famiglia “di sopra”, ma non aveva potuto dimenticare le sue vere radici. Si ferma a cenare in un ristorante e si fa dare una mela annurca, come quella che gli aveva dato sua madre il giorno della partenza  e, rivolge, col cuore, un pensiero a sua madre: ”a te ero rimasto solo io, ma io ero la malerba”. Il tempo passato era stato una lunga lettera d’amore tra lui e sua madre, anche se “un amore fatto di malintesi”, vorrebbe tornare indietro, ma non può. La vita, tuttavia, gli dà un’altra possibilità: prendersi cura di Carmine suo nipote, ricreando un nuovo concetto di famiglia, diverso, ma basato sull’affetto. Tutto questo è il treno dei bambini.

Ilde Rampino


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