Il ‘Campiello’ consacra la Gesualdo del Principe tra le capitali della cultura europea

Nel romanzo saggio premiato a Venezia, 'Madrigale senza suono', protagonista con il principe di Venosa è il borgo irpino, ponte tra il '500 in cui visse il madrigalista e il '900 in cui Ivor Stravinskij decise di rivelare la grandezza del madrigalista, favorendo la nascita del mito

Il Campiello a Tarabbia consacra la Gesualdo del Principe tra le capitali della cultura europea. Premiato con l’ambito premio un romanzo che è anche un saggio dedicato alla figura, alla storia e al mito di un personaggio che si lega indissolubilmente con la provincia di Avellino. E non è esagerato parlare di mito, a questo punto. Il profilo del principe e del compositore fanno i conti in quest’opera con i limiti dell’uomo, con la fragilità che sfocia nel delitto. Genio e follia, miseria e mito di una figura centrale nella vicenda musicale europea che si consuma nel luogo dell’Irpinia che porta il nome dei Gesualdo D’Este. Vincendo il Premio Campiello 2019 con il suo ‘Madrigale senza suono’ (Bollati Boringhieri), non dà luce e forza solo al mito di Carlo Gesualdo, già riscoperto secoli dopo la sua morte dallo straordinario e celebrato compositore russo Igor Stravinskij, ma nel rilanciarne la complessità della figura accende i riflettori sul teatro della sua vicenda di uomo e compositore, di marito e principe, sul borgo irpino di Gesualdo. La lotta tra il bene dell’armonia creativa e il male dell’omicidio passionale si mescolano nel libro con il tempo della riscoperta ad opera del compositore russo, il ‘500 e il ‘900 si incontrano a Gesualdo, ribalta appunto di questo mito, luogo dove le radici culturali europee si intrecciano con la tragica esistenza di un uomo oltre il madrigalista. Gesualdo, il borgo e il principe, vengono così risarciti da un destino avverso, che li aveva privati dell’omaggio cinamatografico d’autore che Bernardo Bertolucci avrebbe voluto realizzare. Altre opere hanno già apprezzato Carlo Gesualdo in passato, comunque. Se Stravinskij lo definì “uno dei più personali e originali musicisti mai nati”, nel 1996 lo scrittore polacco Gustaw Herling, affascinato dalla figura di Carlo Gesualdo scrisse su di lui un racconto: “Madrigale Funebre”. L’anno prima il cineasta tedesco Werner Herzog dedicò al principe un film documentario per la televisione tedesca ZDF, dal titolo: “Gesualdo, Death for five voices”. Al suo secondo Premio Campiello, la prima volta era stato in cinquina nel 2016 con ‘Il giardino delle mosche’, Tarabbia ha trionfato con un soggetto controcorrente in un momento di transizione del gusto culturale italiano, superando proposte autorevoli, come quella giunta al secondo posto nella preferenza dei 300 giurati anonimi, il ‘Carnaio’ (Fandango Libri) di Giulio Cavalli, scrittore e autore teatrale che dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie.

«Madrigale senza suono» di Andrea Tarabbia, Premio Campiello 2019

QUARTA DI COPERTINA. Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico. Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito? Per vendicare l’onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D’Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto. Questa storia − è ciò che il lettore scopre sbalordito − ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio. Con un gioco colto e irresistibile, tra manoscritti ritrovati e chiose di Igor’ Stravinskij − che nel Novecento riscoprì e rilanciò il genio di Gesualdo − Andrea Tarabbia, scrittore tra i migliori della sua generazione, costruisce un romanzo importante, destinato a restare. L’edificio che attraverso Madrigale senza suono Tarabbia innalza è una cattedrale gotica da cui scaturisce la potenza misteriosa della musica. È impossibile, per il lettore, non spingere il portale. E, una volta entrato, non restarne intrappolato.

Andrea Tarabbia

ANDREA TARABBIA, L’AUTORE. Andrea Tarabbia è nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, i romanzi La calligrafia come arte della guerra (2010), Il demone a Beslan (2011), Il giardino delle mosche (2015; Premio Selezione Campiello 2016 e Premio Manzoni Romanzo Storico 2016) e il saggio narrativo Il peso del legno (2018). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov. Madrigale senza suono è il suo primo romanzo per Bollati Boringhieri. Vive a Bologna.

IL MITO EUROPEO DEL PRINCIPE, DEL MADRIGALISTA E DELL’UOMO VIVE (NON SOLO) NEL SUO CASTELLO. Il borgo di Gesualdo è un museo naturale e diffuso che materializza nelle pietre, nelle opere d’arte, nelle tracce tante e insospettabili, il mito del madrigalista, Gesualdo da Venosa. Il borgo Nella Chiesa della Madonna delle Grazie si conserva la testimonianza autentica di un capitolo chiave per la riabilitazione morale del principe. Vi si conserva il celebre dipinto dal titolo “Il perdono di Carlo Gesualdo” di Giovanni Balducci (1609). L’opera rappresenta e rievoca il pentimento di Carlo Gesualdo per l’assassinio della moglie. La tela raffigurerebbe la richiesta di perdono, così come si legge sulla lapide antistante la Chiesa. Il recente restauro del castello di Gesualdo, consente oggi al visitatore di immergersi nella dimensione storica del principe di Venosa e della sua famiglia, che mutarono le sorti del borgo rifondandolo come corte della cultura e delle arti, trasfigurando nel cuore dell’Ufita i riflessi di un mito che oggi si identifica nel luogo dove ebbe a vivere contribuendo all’identità europea. Con Carlo Gesualdo la fortezza del XII secolo, con le sue quattro torri circolari attorno al cortile centrale, divenne cenacolo artistico dove erano invitati artisti e musicisti dell’epoca e contemporanei, tra i quali mezzo millennio dopo Igor Stravinskij, giunto a Gesualdo con il suo collaboratore Robert Craft.


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