“Un popolo di roccia e di vento”, di Golnaz Hashemzadeh Bonde

LETTURE. È un romanzo di dolore e di sofferenza, ma ha in sé profondo il germe di una lotta per la vita

"Un popolo di roccia e di vento", di Golnaz Hashemzadeh Bonde

“Un popolo di roccia e di vento” di Golnaz Hashemzadeh Bonde è un romanzo di dolore e di sofferenza, ma ha in sé profondo il germe di una lotta per la vita che inizia proprio nel momento in cui Nahid, la protagonista, apprende la notizia terribile che le mancano pochi mesi da vivere: le lacrime di un pianto disperato, che cerca invano di reprimere, scavano dentro di sé. Si rende conto che attraverso gli anni, ha raccolto i pezzi della sua vita per costruire un futuro che non esiste, perché “è stata abituata a sopravvivere”; ora la aspetta “un tempo malato”. Nahid non riesce a provare conforto in sua madre, perché lei è ormai incasellata in una vita sempre uguale, lei che era andata sposa a nove anni e ha cresciuto sette figli da sola. “Un dolore riassume tutti i dolori del mondo” è quello che Nahid dice a se stessa, lei che veniva dalla sabbia di una terra come l’Iran, da un popolo forte “di roccia e vento”, mentre ora è circondata da cielo e mare, in una nuova realtà, la Svezia, che non sente sua. Vi è giunta da profuga, ma in essa ha dato origine a una nuova famiglia. Il suo è un dolore sordo, così è consapevole che sua figlia deve sapere della sua malattia, non può sfuggire all’ineluttabilità del suo destino, ma pensa che, in un frammento dei suoi battiti, continuerà ad esistere una parte di sé. Non vuole scomparire nel ricordo, né ridursi a un’ombra custodita nel corpo di un’altra. La sua esistenza è stata difficile, ha dovuto conquistare un’indipendenza economica sin da piccola, come anche le sue sorelle che avevano iniziato presto a lavorare.

Un popolo di roccia e di vento” di Golnaz Hashemzadeh Bonde è un romanzo di dolore e di sofferenza, ma ha in sé profondo il germe di una lotta per la vita

Un momento fondamentale della sua giovinezza è stata la festa per la sua ammissione all’università, in cui ha avvertito l’orgoglio che provava sua madre nei suoi confronti, mentre forte era in lei il desiderio di diventare una donna libera, “un fascio di idee e di pensieri”. La realtà difficile dell’Iran in cui viveva e l’incontro con Masood la spinse ad interessarsi di politica e la rivoluzione diventò il loro sogno e il loro scopo, in cui si immergevano e si sentivano “soldati della giustizia”. Questa loro passione non aveva limiti, dovevano agire e coinvolgono inconsapevolmente, nelle trame della rivoluzione, anche sua sorella minore, Noora, che appena quattordicenne, prese parte alla rivoluzione, distribuendo volantini. Durante una manifestazione, in cui si tenevano uniti per mano, creando in un certo senso una catena di desiderio di cambiare, ci fu una sparatoria in mezzo ai manifestanti e tutto cambiò. Il suo arresto, la sua successiva liberazione diventavano solo gesti senza senso, perché Noora era scomparsa. Il loro senso di colpa nell’aver trascinato Noora nelle loro azioni rivoluzionarie, provocò una frattura insanabile,fu come se essi fossero morti in quel momento. Nahid si trasformò quindi dal rappresentare l’orgoglio della sua famiglia nella sua maledizione e sua madre non dimenticò mai quella perdita, trincerandosi nel suo dolore. La vita di Nahid è stata funestata dalla violenza del marito, ma le ha sempre protetto sua figlia Aram, avrebbe voluto sentirsi amata, perché “amare è fatica e delusione”, ma in quel momento, guardando allo specchio la sua esistenza in bilico, capisce che “ha più paura di morire che di vivere sino in fondo”, perché è terribile per lei “l’attesa senza fine della morte”. Nahid, alla notizia che diventerà nonna, sente di non essere più una persona di cui poter fare a meno, che trasmette tristezza, ma si sente immortale, nonostante il cancro e le terapie a cui deve sottoporsi, perché vuole vivere per proteggere quella creatura. E’ consapevole che sua nipote avrà radici e libertà grazie alla sua fuga dall’Iran e che la grandezza della vita va oltre la fragilità dell’essere umano. Per qualche istante Nahid sente come se sua figlia la tradisse, perché è proiettata verso la vita che ha in grembo, ma Aram ne ha bisogno, per ricostruire qualcosa ormai sfuggente. A poco a poco si ricrea un mondo che unisce madre e figlia e si irradia a quel nuovo essere, Noora, che crea un ponte tra le loro vite, mentre continuano a cantare le loro canzoni, in cui erano immerse le proprie radici e finalmente non si sentono più sole.
Ilde Rampino

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