Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la conferenza stampa di fine anno presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio a Roma

Crollo M5s. Salvini è di fatto il premier morale. Il Governo Conte non c’è più, assediato dai numeri, dagli errori, dalla troppa propaganda. Oggi la Lega può, sulla carta, staccare la spina e tentare la strada del monocolore o quasi. Ad elezioni politiche dove tra Forza Italia e Fratelli d’Italia può anche scegliersi l’alleato, potrebbe tentare l’azzardo che Matteo Renzi non ebbe il coraggio di provare n 2014, con il 40,8 per cento dei consensi on tasca. Certo, i numeri veri dietro le percentuali non sono rosei come sembrano in questi anni di profonda crisi della democrazia italiana. Non lo sono per nessuno. I 9 milioni di voti del Carroccio non sono gli 11 che prese Luigi Di Maio nel 2018, nè i 16 di Silvio Berlusconi nel 2008. Il 34 per cento in queste condizioni di sofferenza dell’elettorato non dà garanzia di durata. E, soprattutto, con regole diverse non necessariamente deve ripetersi. Anche perchè adesso ci sono le responsabilità.

Tra poche settimane c’è da delineare una legge di bilancio che richiede 30 miliardi a crescita tecnicamente zero. Ma proprio per questo Di Maio è soci dovrebbero aprire la crisi e dare pieni poteri all’alleato nella cabina di regia finanziaria, là dove gli italiani giudicano: i conti.

Nella Prima Repubblica il presidente del Consiglio si sarebbe dimesso questa mattina alle 10, preceduto dai titoli dei giornali, che ne avrebbero anticipato mosse e scenari. Proprio Conte non può restare al suo posto. I numeri di ieri hanno certificato ciò che è sempre stato, un notaio. Ma se fino ad ora svolgeva la funzione all’interno di una maggioranza, oggi lo sarebbe di un partito che è l’azionista del governo con l’alibi di essere minoritario in Parlamento.

Come già ha fatto per un anno, la Lega continuerà a prendersi i meriti dei successi mediatici e a scaricare sul rigido protocollo pentastellato le insufficienze, a cominciare dalla manovra lacrime e sangue ormai inevitabile in autunno.

Gli equilibri europei sono peggiorati per questo governo, che non può aspettarsi sconti sul rigore nemmeno dai presunti alleati orientali, i primi a imporre all’Italia il rispetto degli impegni.

Il Movimento Cinque Stelle ha perso tutto. Non può più continuare a pretendere di farsi una reputazione a spese del Partito Democratico, che un Salvini forte farà crescere inevitabilmente in un Paese che rischia di passare dalla logica tripolare al pensiero unico.

I numeri delle europee dicono che M5s e Pd insieme valgono uno scarso 40%. Una percentuale pari al primo partito italiano, quello che continua a non votare. Una percentuale oggi impercettibile. Ma lo scenario nuovo rischia di concretizzare una parte della visione culturale paventata da Aldo Moro.

L’inversione nel rapporto con la Lega, dal 32 contro 17% di un anno fa al 17 contro 34 oggi, dicono che il governo Conte è stato finora letale per i pentastellati, certo non per responsabilità della Lega. Non è un caso che nel Nord delle infrastrutture, degli investimenti e del lavoro il Movimento sia appena sopra il 10%. Serve un cambiamento dell’agenda e dei Ministri bocciati da questo voto.

Non c’è alternativa alla crisi di governo subito. Chi ha vinto deve governare e scegliere. O continuerà a crescere. Tocca a Giancarlo Giorgetti assumere la guida del governo. L’alternativa è il voto.

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