Michela Arricale, insieme a Tony Della Pia e Roberto Montefusco

L’idea di Europa della sinistra e le ricadute delle politiche economiche di Bruxelles sui territori, sono alcuni dei temi affrontati in campagna elettorale da Michela Arricale, candidata indipendente della lista “La Sinistra”, nella circoscrizione Italia meridionale.

Avvocato, membro dei “Giuristi Democratici”, componente del direttivo dell’associazione internazionale “European Lawyer for Democracy and Human Right”, è candidata anche alle amministrative del Comune di Avellino, per la lista Si Può, guidata da Amalio Santoro.

Ci parli del progetto elettorale promosso da Sinistra italiana e Rifondazione comunista.

«E’ l’unica lista che fa riferimento al Gruppo Gue/Ngl, la Sinistra unitaria europea. E’ una formazione antifascista, femminista, ambientalista, antiliberista. Parole spesso ripetute senza consapevolezza, che vogliamo riempire concretamente di significato, mettendo in campo proposte da spendere nel Parlamento europeo».

Quale è il filo conduttore del vostro programma?

«Il leitmotiv è l’attenzione all’uomo e ai suoi diritti, sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Un bagaglio inalienabile di tutte le persone. La destra vuole far passare l’idea che ci siano esseri umani che valgono meno rispetto ad altri. Una visione aberrante, che respingiamo nettamente».

Rispetto al dibattito sull’Unione europea come vi collocate?

«Siamo una forza europeista, ma vogliamo riformare e democratizzare l’istituzione europea, portando avanti una vera e propria battaglia per l’insediamento di un’assemblea costituente».

Che ruolo può giocare il Mezzogiorno d’Italia nell’Ue e come gli interventi di Bruxelles possono incidere nel ridurre il divario economico e sociale di quest’area rispetto a quelle più sviluppate?

«Pensiamo che la ricostruzione dell’Europa, soprattutto in termini di valori, debba partire dal Mediterraneo, trasformando anche nell’immaginario collettivo un mare teatro di drammi umani e di morte, in luogo di dialogo tra Paesi e popoli. L’arretratezza del Sud purtroppo rischia di diventare come uno stato di fatto di cui prendere semplicemente atto. In realtà, però, è una condizione determinata da precisi fattori, sui quali si può e si deve intervenire, per invertire la tendenza. Ma va detto che le difficoltà e gli elementi che frenano la crescita del Mezzogiorno, si ritrovano anche nelle aree interne degli altri Paesi del Mediterraneo: spopolamento, servizi inadeguati, presenza della criminalità organizzata».

Quali interventi sarebbero necessari?

«La soluzione va trovata insieme. Non solo attraverso finanziamenti per gli interventi, distribuiti semmai con progetti che non hanno ricadute reali e durature sul territorio. La maggior parte delle risorse, peraltro, non vengono utilizzate, perché gli enti locali non sono attrezzati per gestire la pianificazione. Ci sarebbe bisogno di un’adeguata formazione degli uffici e dei tecnici per cogliere le opportunità. Ma c’è dell’altro».

Dica pure…

«E’ il modello di sviluppo, la visione generale corrente che andrebbe modificata. Non si può subordinare la condizione di vita delle comunità a valutazioni esclusivamente ragionieristiche. Servizi essenziali, come i presidi sanitari o la scuola, sono stati tagliati perché non rispondevano agli stringenti parametri finanziari imposti negli ultimi anni. Altrimenti si desertificano i territori e si rischia di compiere passi indietro nella qualità della vita. In questo quadro, davvero i migranti possono diventare una risorsa, per rivitalizzare i centri abitati, in via di spopolamento, e rimettere in equilibrio il sistema. I casi di Riace o di Petruro, per stare alle nostre realtà, sono indicativi».

La gestione dei flussi migratori è uno dei temi caldi. Non è così?

«E’ una questione che andrebbe analizzata lucidamente e senza mai far venir meno la dimensione solidaristica. Non bisogna dimenticare che stiamo parlando di un movimento che non può essere arrestato perché riguarda la sopravvivenza di persone che fuggono da condizioni di vita difficili, da guerre o da situazioni di forte instabilità. Senza contare che non siamo di fronte ad un esodo gigantesco, come si vuol far strumentalmente credere. Tutt’altro. Ma talvolta a prevalere sono i pregiudizi».

Torna, su base globale, la questione dello squilibrio tra nord e sud del mondo, insieme al modello di sviluppo.

«Il punto centrale del dibattito è che il sistema economico neoliberista determina forti squilibri. Le politiche neocoloniali dell’Occidente impoveriscono interi continenti. Non sono fenomeni che accadono per caso, ma sono la conseguenza strutturale di un modello di sviluppo consumistico, che privilegia il benessere di pochi, immiserendo e compromettendo addirittura la sopravvivenza della maggioranza della popolazione mondiale, inquinando l’ambiente, creando drammatici squilibri climatici. Non è una situazione ineluttabile. C’è la possibilità di scegliere una strada alternativa, un sistema economico diverso, equo e solidale. Oggi una ristretta parte del pianeta, sta consumando le risorse degli altri, che per giunta non sono inesauribili».

Il percorso unitario avviato per le europee da pezzi della sinistra potrebbe essere riproposto anche in altri contesti politici?

«Direi proprio di sì. Siamo sulla strada giusta. I principi per i quali ci battiamo sono gli stessi, anche se espressi in forme diverse. Il riferimento ad un livello organizzativo sovranazionale aiuta a ridurre i conflitti ed assorbe le differenze. L’unità va trovata sulle cose da fare».

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