Alto Calore: conta sulla gestione pubblica

E' il giorno della verifica del piano di risanamento proposto dall'amministratore unico della società idrica, Michelangelo Ciarcia. Obiettivi: aumento di capitale e apertura a investori esterni. L'esito della riunione resta ancora incerto.

Michelangelo Ciarcia, amministratore unico dell'Alto Calore Servizi spa, in audizione parlamentare sulla gestione idrica

Alto Calore: i sindaci sono chiamati ad esprimersi sul futuro dell’azienda ed in particolare sulla ricapitalizzazione e sull’apertura ad investitori esterni.

Cresce l’attesa per l’assemblea dei soci dell’azienda idrica, convocata per questo pomeriggio. All’ordine del giorno il piano di risanamento proposto dal presidente Michelangelo Ciarcia, che prevede la sottoscrizione di nuove quote da parte dei 125 Comuni irpini e sanniti che fanno parte della compagine aziendale e della Provincia di Avellino, per l’ammontare complessivo di 25 milioni di euro (pari al 48% del capitale programmato), ad integrazione dell’attuale capitale sociale di 27 milioni di euro. Nel piano però si parla anche di una seconda tranche da versare nel 2021, per ulteriori 25 milioni di euro.

I conferimenti servirebbero a ridurre la massa debitoria dell’Acs (134 milioni di euro in base all’ultimo bilancio), per lo più attraverso un sistema di compensazione tra gli importi delle nuove quote azionarie sottoscritte ed i crediti vantati dall’azienda, sinora mai riscossi. Diversi Comuni però hanno espresso difficoltà ad aderire all’operazione, a causa delle ristrettezze economiche in cui versano gli enti, che comunque utilizzano le poste in gioco per mantenere in equilibrio i bilanci, anche se non si tratta di liquidità concretamente disponibili, ma di voci costantemente inserite tra le spettanze da incassare.

Per superare tale ostacolo, Ciarcia ha paventato la possibilità di immettere sul mercato, attraverso un bando di evidenza pubblica, le quote eventualmente non sottoscritte dagli attuali soci. Questo significherebbe l’ingresso nell’azionariato di altri investitori, aziende pubbliche, miste o private già operanti nel settore o di società interessate ad entrare in un nuovo segmento.

Per rendere possibile una tale operazione sarà necessario non solo il via libera alla ricapitalizzazione della maggioranza dei soci, ma anche una modifica statutaria che trasformi l’Alto Calore in azienda mista.

Ciò significa di fatto l’apertura ai privati. Tra gli interlocutori con i quali negli ultimi anni l’Acs si è già confrontata ci sono l’Acquedotto Pugliese, società interamente pubblica che opera in alcuni Comuni dell’Alta Irpinia, e la Gesesa, società che gestisce il servizio a Benevento, partecipata del gruppo Acea, multiservizi con un fatturato di 2,8 miliardi di euro, che svolge attività a Roma ed in diverse regioni italiane, il cui pacchetto azionario è nelle mani del Comune capitolino (51%), della multinazionale Suez (23,3%) e del gruppo Caltagirone (5%).

La Gesesa recentemente ha pubblicamente confermato il suo interesse ad entrare in Alto Calore, anche con investimenti consistenti, pur avendo un fatturato nettamente inferiore a quello della società irpina.

Nel caso di ingresso di soci esterni, comunque, sarà necessario scorporare la gestione del servizio idrico dalle altre attività dell’Acs. Il che significa, in linea di massima, sdoppiare nuovamente la società.

Le posizioni in campo sulla strategia da adottare al momento appaiono piuttosto articolate e, nonostante le disponibilità incassare da Ciarcia, soprattutto sul fronte dei sindaci Pd, l’esito finale non è affatto scontato e probabilmente nemmeno le procedure. Non mancano primi cittadini che si sono già espressi contro il piano di risanamento, come ad esempio Ferruccio Capone, capo dell’amministrazione comunale di Montella, che ritiene ormai impossibile il salvataggio dell’Acs e che non sarebbe sfavorevole ad una gestione completamente privata. Altri, invece, a cominciare dal sindaco di Altavilla Irpina, Mario Vanni, non ha condiviso la strategia del presidente dell’Acs, ritenendola rischiosa per il futuro dell’azienda e si è schierato in difesa della gestione pubblica, diffidando i vertici di Corso Europa dal proseguire l’iter avviato. Da parte sua, è giunta una proposta alternativa: aprire una vertenza con la Regione sui costi di manutenzione della rete acquedottistica, formalmente di proprietà di Palazzo Santa Lucia, limitandosi ad una attività esclusivamente distributiva.

Disponibili ad aumenti di capitale il presidente della Provincia, Domenico Biancardi, ed il sindaco di Ariano, Mimmo Gambacorta, esponenti di diverso segno politico rispetto a Ciarcia, ma che hanno chiesto un approfondimento delle questioni sul tavolo. Resta da vedere, invece, quale posizione eventualmente assumerà il commissario prefettizio di Avellino, Giuseppe Priolo.

Anche il governo nazionale, rappresentato dai sottosegretari Andrea Cioffi e Carlo Sibilia, si è interessato della questione, convocando il vertice dell’Acs, ad un tavolo di confronto pressi il Ministero dello Sviluppo Economico, chiedendo che fosse rispettata la volontà dei cittadini, emersa con il referendum sull’acqua, a favore della gestione pubblica, e sollecitando l’individuazione di soluzioni alternative, tese ad evitare il fallimento dell’azienda.

 

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