L’ALTRA IRPINIA di Giuseppina Volpe*

L’idea di dedicare una rubrica mensile a dei casi di disabilità presenti sul territorio irpino nasce dalla volontà di raccontare le vite di tanti nostri conterranei che quotidianamente devono fare i conti con degli ostacoli (burocratici, fisici, sociali, politici) alla loro piena realizzazione. Daremo voce a loro ed alle loro famiglie e racconteremo, attraverso le singole storie, cosa significa avere una disabilità se si vive in provincia di Avellino.

Manifesto della Associazione ‘Noi, un sorriso e gli autismi’

RAFFAELLA HA 11 ANNI E ANTONIO 8, FRATELLO E SORELLA ENTRAMBI AUTISTICI. Raffaella ha 11 anni ed Antonio 8, sono sorella e fratello e sono autistici. Sono la prova di come questo disturbo possa manifestarsi in una molteplicità di forme e modi. Raffaella è una bambina riflessiva, molto affettuosa, ha qualche stereotipia, ama i numeri e la precisione, non la confusione, parla e balla benissimo! Antonio è più vivace, comincia a parlare, ama la tecnologia e l’informatica, non molto le regole.

LA PRIMA DIAGNOSI. Quando Raffaella aveva poco più di un anno e mezzo – mi racconta Maristella, la madre – quello che ci ha preoccupato è stata l’assenza di linguaggio, il suo continuo estraniarsi, il dondolare, il lamentarsi per lunghi periodi, il camminare sulle punte, tutti sintomi che spesso si ricollegano ad una diagnosi di autismo. Ne abbiamo parlato con la nostra pediatra, ma lei ci ha tranquillizzato, dicendo che probabilmente era una cosa passeggera. Io e mio marito, però, abbiamo ritenuto necessaria una visita da parte di un neuropsichiatra e così ci siamo rivolti al dr. Vittozzi del Centro Australia di Avellino. Come spesso accade, la prima diagnosi è stata di disturbo multisistemico, vista la giovane età di Raffaella. Nonostante non vi siano delle certezze in merito, da un vasto studio condotto su circa 3 milioni di coppie di fratelli negli Stati Uniti è emerso che l’autismo avrebbe una base fortemente ereditaria.

La Giornata mondiale dedicata all’Autismo

DOPO RAFFAELLA, IL FRATELLINO. Con Antonio, pur avendo già avuto l’esperienza di Raffaella – racconta Maristella – inizialmente non abbiamo pensato ad un disturbo dello spettro autistico. E’ sempre stato un bimbo molto vivace, che ama uscire, molto diverso dalla sorella. Dopo i due anni, però, anche per lui è arrivata la diagnosi. Raffaella e Antonio sono due piccoli pazienti dell’Aias di Nusco ed hanno, purtroppo, scontato entrambi i ritardi della struttura convenzionata. Raffaella, in particolare, ha iniziato presto le sue terapie di psicomotricità, ma solo dopo due anni la logopedia.

INCERTO IL FUTURO TERAPEUTICO. Oggi sono in attesa di conoscere il loro futuro terapeutico (anche se le terapie non sono state mai interrotte, per loro), visto che ormai i terapisti della struttura non sono più disposti a lavorare senza stipendio (lo fanno ormai da 12 mesi) e non si intravedono soluzioni chiare per il futuro del centro.
Dal mese di novembre del 2017- dice Maristella – siamo venuti a conoscenza della situazione del centro, sebbene risalisse a mesi prima. Noi non abbiamo subito gravi conseguenze, al momento, ma ci sono famiglie che sono rimaste prive del loro terapista di fiducia. Se si fa una rapida ricerca utilizzando Google alla digitazione del nome “Aias” nella sezione notizie fa seguito la comparsa di una serie di articoli che ci raccontano di truffe, rinvii a giudizio, sequestri di conti, vertenze un po’ in tutta Italia. Per molto tempo sono stati i casi dell’Aias di Cagliari e di Palermo a riempire le cronache, con denunce, sequestri, situazioni molto gravi per pazienti e famiglie. Il caso dell’Aias di Nusco, quindi, si inserisce in una generalizzata cattiva gestione dei centri di assistenza, che in Italia – da Statuto – avrebbero il compito di garantire il rispetto della normativa in materia di handicap e di promuovere i servizi a favore delle categorie svantaggiate.

UNA SCUOLA MODELLO PER I DUE FRATELLINI. Anche Raffaella e Antonio, come Jacopo (leggi l’articolo) hanno la fortuna di vivere a Montella. Questo ha permesso ad entrambi di frequentare una scuola che è un modello di inclusività ed anche di partecipare a corsi in orario extrascolastico ed a laboratori di ceramica e musicoterapia voluti e portati avanti dall’associazione Ceframs. Come tutti i genitori di bambini autistici – mi dice Maristella – ho tante preoccupazioni legate al futuro. Mi piacerebbe che sia Raffaella che Antonio riuscissero ad essere autonomi, magari anche a trovare un piccolo lavoretto. Mi piacerebbe, soprattutto, che potessero continuare a vivere in società, ad essere inclusi come accade ora. Non mi piacerebbe saperli in un centro in cui ci sono solo altri autistici. Ho tanti dubbi legati alla loro adolescenza ed a certi temi delicati che dovremo affrontare ed anche alla graduale consapevolezza di loro stessi che vorrei acquisissero. Ma mi piace fare un passo alla volta.

CONCLUSIONI. Ancora una volta il racconto di un genitore irpino fa emergere due dati: in questi territori bisogna spesso fare i conti con la mala gestione del sistema sanitario e di assistenza. Partendo, però, proprio dalle piccole realtà dei nostri paesi è possibile immaginare di lavorare per il futuro di questi bambini.

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