Arminio scrive al Premier Conte: il Governo pensi alle Aree Interne

Il poeta paesologo di Bisaccia pubblica sul sito del Corriere della Sera il suo appello perchè l'Italia recuperi la sua umanità

Il poeta di Bisaccia Franco Arminio scrive al Premier Conte una lettera, pubblicata ieri sera dal Corriere della Sera nel giorno in cui il quotidiano economico di Confindustria Il Sole 24 Ore scrive che sono scomparsi dal Def i soldi per il Mezzogiorno.

Con una lettera piena di garbo, ma decisa, il paesologo Arminio sollecita il Presidente del Consiglio ad agire per un cambio di rotta del suo Governo, facendo leva sui due Ministri nominalmente suoi vicari, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, dalla linea dei quali Arminio chiarisce di essere molto lontano.

Al contrario, chiarisce fin dall’inizio della sua lettera di stabilisce una vicinanza col Premier per il comune ancoraggio all’entroterra meridionale.  Nato in un piccolo paese dell’interno pugliese, Giuseppe Conte ha radici molto simili a quelle di chi è nato ed è cresciuto in un contesto  simile a quello della sua Bisaccia.

“L’idea di scriverle questa lettera mi è venuta a Carlantino. È un paese che forse lei conosce, non dista molto dal suo. Pensavo a lei percorrendo la strada da Carlantino a Colletorto, dalla Puglia al Molise”, si legge proprio all’inizio della lettera.

Ma questa cordialità iniziale non mitiga la chiarezza brutale del giudizio politico sull’operato dei Ministri che si intestano la responsabilità della linea materiale del Governo. “I suoi ministri più importanti sono diventati molto noti e questo grazie alla politica delle dicerie a cui si è ridotta la politica in Italia: quasi sempre non si commentano provvedimenti legislativi, ma dicerie”.

Una evidente allusione alla politica della verosimiglianza di fatti e circostanze, agli annunci, alle fake news, alle polemiche fondate sui ‘si dice’, che allontanano l’attenzione dell’opinione pubblica dai provvedimenti effettivi.

Arminio si scaglia contro le ‘dicerie’, variante molto più precisa e comprensibile del generico ‘fake news’. Da poeta e scrittore, invita a considerare il peso che esercita sulla formazione dell’opinione pubblica ciò che si rappresenta e il modo in cui si descrive la realtà, il cosiddetto storytelling.

“Forse il suo governo potrebbe invitare i ragazzi a considerare le opportunità legate all’agricoltura”, scrive in un altro passaggio Arminio. “E non mi stanno bene le storie di chi dice che non si guadagna abbastanza. È che l’agricoltura porta sacrifici, ma è un sacrificio anche fare il cameriere a Londra o il presunto artista a Berlino. Quello che manca è una diceria che porti i ragazzi a vantarsi di restare piuttosto che di partire”.

Per Arminio, senza una prospettiva reale di sviluppo sociale e culturale, i piccoli paesi sono destinati a diventare controfigura dei centri urbani, riflesso al ribasso di ciò che solo al centro si può ottenere. Arminio lo chiama il rischio «discount».

Nel finale della sua lettera, il poeta cede il posto al paesologo, all’intellettuale che recupera vis politica, assumendo la responsabilità di una posizione netta.

“Una nazione non si costruisce cacciando i neri o pensando ai portafogli delle varie corporazioni”, premette. “Nel caso dei paesi è davvero solo questione di porre un minimo di attenzione, è come se il governo dovesse solo dare un cenno di saluto, una pacca sulla spalla”. E qui c’è la proposta politica. “Se poi volete fare di più, le ricordo che c’è una strategia nazionale delle aree interne, concepita a suo tempo da Fabrizio Barca. È uno strumento importante per dare risposte concrete ai paesi più in difficoltà”. La conclusione è irriverente, ma sincera: “Ci mette mezz’ora a informarsi e a informare anche Di Maio e Salvini. Buon lavoro”.

Un messaggio forte nella formulazione. Sono le parole di un intellettuale che ha fondato la sua fortuna di poeta e scrittore sulla schiettezza delle sue idee spesso controcorrente, sul coraggio di affermare e difendere posizioni anche scomode, quando l’etica si traduce in testimonianza dal valore civile.

Di seguito il testo integrale della lettera di Franco Arminio al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, così come riportata dal Corriere della Sera e il link per leggerla sul quotidiano milanese.


Da corriere.it | link all’articolo

Lettera da un paese che si spopola

Il governo potrebbe creare un po’ di attenzione intorno a questi luoghi a costo zero, non lasciate che diventino discount della vita civile

di Franco Arminio

(pubblicata su corriere.it)

Caro Conte,
l’idea di scriverle questa lettera mi è venuta a Carlantino. È un paese che forse lei conosce, non dista molto dal suo. Pensavo a lei percorrendo la strada da Carlantino a Colletorto, dalla Puglia al Molise. Ora in questa strada non accade nulla di eccezionale, a parte le buche: sono pochi chilometri di un’Italia senza capannoni e officine e palazzine e pompe di benzina. Ma è anche un’Italia senza vacche e senza trattori, è una sorta di limbo inoperoso, un punto cieco. Come sanno tutti, il mondo è pieno di luoghi di questo tipo, in Italia sembrano particolari, diventano quasi luoghi solenni, lirici, perché siamo abituati a territori sempre in qualche modo urbanizzati: ormai il vuoto è la merce più rara che abbiamo. A Carlantino c’era un ragazzo di quindici anni che mi ha parlato di Di Maio e Salvini. Per lei sarà una notizia confortante: i suoi ministri più importanti sono diventati molto noti e questo grazie alla politica delle dicerie a cui si è ridotta la politica in Italia: quasi sempre non si commentano provvedimenti legislativi, ma dicerie.
Le «buone dicerie»
Ecco, io non le chiedo leggi per i piccoli paesi, non credo siano necessarie. Forse non è necessario neppure dare i soldi ai ragazzi disoccupati o alle anziane che vivono da sole nei piccoli paesi. Io penso che sia necessario mettere in giro delle buone dicerie su questi luoghi. Le sembrerà paradossale, ma credo che servano più fiori che opere di bene. Lei, per esempio, potrebbe indire un consiglio dei ministri a Carlantino. E se le sembra troppo di parte, può scegliere un luogo dell’Aspromonte o dei Sicani. Se poi non vuole irritare la Lega può pensare al Friuli Venezia Giulia o alla provincia di Cuneo. In Italia i paesi spopolati sono equamente distribuiti. Una buona idea sarebbe anche fare un consiglio dei ministri a Camerino. A me sembra incredibile che un paese tanto importante sia stato chiuso dopo il terremoto e non ci sia nessuna idea di quando verrà riaperto. Le dicerie che le chiedo non avrebbero nessun peso sul debito pubblico. Io penso a cose come un invito ai cittadini a comprare casa nei paesi: al mio paese è in vendita per 25.000 euro una bella casa a tre piani, nuova e ammobiliata. Lei sa bene che settembre è un mese difficile nei paesi: si sente il vuoto di chi se n’è andato e di chi continua a non venire. Forse il suo governo potrebbe invitare i ragazzi a considerare le opportunità legate all’agricoltura. E non mi stanno bene le storie di chi dice che non si guadagna abbastanza. È che l’agricoltura porta sacrifici, ma è un sacrificio anche fare il cameriere a Londra o il presunto artista a Berlino. Quello che manca è una diceria che porti i ragazzi a vantarsi di restare piuttosto che di partire.
Il rischio «discount»
Caro Conte, lei e il suo governo potrebbero supplire, a costo zero, a creare un poco di attenzione intorno ai paesi. Quando ho chiesto al ragazzo di Carlantino chi era venuto a cantare questa estate, lui mi ha risposto Jovanotti. Quando ha visto lo stupore sul mio viso subito ha aggiunto: il sosia. È brutto che questi paesi diventino una specie di discount della vita civile. Luoghi che erano focolare e grembo di tutti e ora rischiano di apparire il museo delle porte chiuse, dove ci vuole un’ora per andare a scuola o per trovare un ospedale, luoghi dove gli scoraggiatori militanti trovano ogni giorno conferma della loro poetica. Ecco, i paesi italiani hanno diritto a essere percepiti per quello che sono: luoghi del mondo, che non stanno né avanti, né indietro, luoghi che possono avvilire ed esaltare, che contengono opportunità e pericoli, come tutti i luoghi del mondo. Nella miseria spirituale dilagante e nella penuria di risorse economiche, un buon governo è quello che produce visioni, sentimenti, passioni civili. Quello che mi colpisce del cosiddetto governo del cambiamento, è l’assoluta mancanza di quelle che una volta si chiamavano spinte ideali. Una nazione non si costruisce cacciando i neri o pensando ai portafogli delle varie corporazioni. Nel caso dei paesi è davvero solo questione di porre un minimo di attenzione, è come se il governo dovesse solo dare un cenno di saluto, una pacca sulla spalla. Se poi volete fare di più, le ricordo che c’è una strategia nazionale delle aree interne, concepita a suo tempo da Fabrizio Barca. È uno strumento importante per dare risposte concrete ai paesi più in difficoltà. Ci mette mezz’ora a informarsi e a informare anche Di Maio e Salvini.
Buon lavoro.

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