L’Irpinia d’Oriente narrata e raccontata come un luogo magico, incantato e incontaminato dove il tempo si è perso. In una Campania dalle bellezze straordinarie,
forgiata da quattromila anni di storia, che hanno lasciato sul territorio un patrimonio architettonico e culturale di inestimabile valore, un giornale americano in lingua italiana, La ‘Voce di New York’, individua quella che chiama l’Irpinia orientale tra le mete possibili per un viaggio in Europa. Accanto ai grandi tesori che in Campania ritiene patrimonio dell’umanità (il centro storico di Napoli, la Reggia di Caserta, gli Scavi di Pompei, Ercolano ed Oplonti, la Costiera Amalfitana, il Parco Nazionale del Cilento e il Complesso di Santa Sofia a Benevento), straordinaria sintesi di una eccezionale collezione di testimonianze della vicenda umana in Europa e nel mondo, ci sono le zone interne e, in questo caso, profonde, al confine tra Irpinia, Basilicata e Puglia. Vista da New York “le zone del nord est della provincia di Avellino sono bellezze da scoprire, nel cuore di un’Italia incontaminata e spesso poco considerata”. Attenti al settore Travel/Viaggi e alla cultura del nostro Paese, i redattori e i giornalisti de La Voce di New York sono attenti osservatori del mondo italiano, analizzato fuori dagli stereotipi, con laica curiosità. “L’Irpinia nella sua parte orientale, oltre i monti del’Appennino, vicino alle pianure pugliesi è infatti un mondo a parte, lontano dalle moderne frenesie, raccolto tra colline silenziose e piccoli villaggi antichi, che rientrano nella lista dei borghi più belli d’Italia”, si legge.

Un territorio visto con maggiore romanticismo, contemplato per il dominio della natura sulle costruzioni, dove è il paesaggio a dettare i ritmi di una società moderna con la tecnologia, nella quiete e nel silenzio di uno spazio dominato dal cielo. Un luogo dove ritrovare una dimensione universale dell’esistenza, tra territori sterminati estesi solo apparentemente all’infinito e quello vero sopra le teste del viaggiatore di ventura o per ritrovare il senso delle cose.

Il treno sul Lago di Conza della Campania, scatto di Pietro Mitrione, in mostra a cura della Soprintendenza nel 2016

Di seguito l’articolo firmato da Angelo Perone, pubblicato nel marzo scorso, come si può riscontrare nel link.


Viaggio alla scoperta dell’Irpinia d’Oriente, dove il tempo s’è fermato

di Angelo Perone


da La Voce di New York | 2 marzo 2018

L’Irpinia nella sua parte più orientale, oltre i monti dell’Appennino, vicino alle pianure pugliesi è infatti un mondo a parte, lontano dalle moderne frenesie, raccolto tra colline silenziose e piccoli villaggi antichi, che rientrano nella lista dei “borghi più belli d’Italia”.
Distese di grano a vista d’occhio, circondate dal vento, immerse in spazi inesplorati. Non ci sono fabbriche, o grandi officine, né strade di traffico frenetico. Solo grano, uliveti o vigneti, e qualche trattore al lavoro, con il suo lento cigolio tra le zolle. Nessun rumore molesto arriva a scuotere i borghi sulle colline lontane. La maggior parte, piccolissimi e distanti tra loro, eppure simili l’uno all’altro, ciascuno specchio della vita degli altri paesi. Mancano grandi insediamenti urbani. L’Irpinia, oggi compresa soprattutto nella provincia di Avellino, nella sua paarte più a nord-est, detta “d’Oriente”, è terra che vive in un silenzio rarefatto e sonnolento, scandito dal ritmo delle campane della chiesa, dal vociare delle donne alla finestra, dai sussulti dei crocchi radunati davanti ai pochi bar. Da quei volti segnati nel tempo, conosciuti da tutti con i loro soprannomi, che ricordano radici profonde. Vi regna la calma di un clima aspro, lontano dal mare, che non è scosso dal clamore del nuovo, da ritmi eccitati, se non in certi momenti dell’anno, con il ritorno di chi è già andato via.
È un territorio prevalentemente montuoso, inciso da valli, e rilievi, tra i quali serpeggiano torrenti e fiumi, collocato in alto, tra due pianure, campana e pugliese, ad oriente della catena appenninica e della vallata napoletana. Orientamenti geografici – questo essere nello stesso tempo “in alto” e “ad oriente” – che segnano il carattere della gente. Si dice che ciascuno assomigli a chi gli sta accanto, e allora l’Irpinia dovrebbe possedere i tratti propri dei territori con cui confina, la Puglia, la Basilicata, il napoletano stesso con le sue perle Capri ed Ischia, ma la differenza con queste zone è piuttosto marcata.
L’essere in alto rispetto ai centri abitati campani distribuiti sulla costa ne accentua la lontananza e pone l’Irpinia “fuori gioco” rispetto alle convulsioni napoletane, d’altra parte questo trovarsi ad oriente di qualcosa, nella parte più a levante della Campania, e soprattutto oltre l’Appennino, la proietta verso un altrove, che è un mondo diverso: le fotografie di un secolo fa, chissà perché, riprendevano uomini e donne dai profili balcanici se non asiatici.
La posizione geografica lascia dietro di sé una eterna sensazione di sentirsi in sospeso. Difficile, per l’altitudine e la lontananza, riconoscersi un’appartenenza emotiva alla costa campana. La barriera dell’Appennino fa volgere inevitabilmente lo sguardo ancora più ad est, un orizzonte mai effettivamente raggiungibile, una meta che non c’è. Prende corpo una sospensione emotiva che provoca un sentimento di immobilismo, come se il tempo, privato di ogni vibrazione, si fosse fermato del tutto.
L’Irpinia d’Oriente è luogo di mancanze più che di presenze, per quel non trovarsi dove la vita potrebbe sorriderle più dolcemente, o forse anche travolgerla superando le deboli difese che possiede. Un ambiente che dà vita a piccoli paesi, solitari nel verde e incantevoli forse anche per questa solitudine, spesso indicati, tra “i borghi più belli d’Italia”, capaci di raccontare la storia del difficile insediamento umano in una zona agraria, in gran parte rimasta incontaminata.
Da gustare quei panorami: nessuno potrebbe dire che ogni casa pur piccola non abbia il suo sguardo sulle vallate, o addirittura non possa illudersi, con le visuali offerte da una piccola finestra, di possedere spazi ampi di terra; per questo, molti, a prima impressione, potrebbero anche finire per immaginare questa terra come proprio habitat ideale dove fermarsi almeno un po’ di tempo, dimora per il presente al di fuori degli stereotipi che corrodono la contemporaneità. Senza cemento e veleni, a Monteverde può nidificare la rarissima cicogna nera, un animale schivo e selvaggio insieme, che ha bisogno di essere lasciato in pace per sopravvivere, e che sembra essere così simile ai suoi abitanti per quell’amore verso una terra di confine. Con le sue case e terrazze coltivate che si arrampicano lentamente verso l’alto, Nusco forma una sorta di sciame di antica pietra, imperturbabile ai venti capricciosi. La montagna che scende in contrafforti e declivi offre un paesaggio inesauribile di vecchi casali e di antiche fontane. La valle del Cervaro, un insieme di campi coltivati a grano e fieno a testimonianza della vena agricola della zona, trova in Savignano il suo rifugio di montagna. Un borgo di origine mitica, risalente secondo la leggenda ad una migrazione del popolo sabino, ma di consistenti e attualissimi sapori, regalati dalle magiche orecchiette affogate nel ragù di carne. I turisti nonostante le possibili attrattive però sono rari; arrivano a fatica tra valli, torrenti, montagne; pesa la lontananza dai movimentati e popolosi centri sulla costa. Così gli abitanti di questi luoghi non hanno modo di perdersi in cerimonie con loro e trascorrono le giornate con altri ritmi.
A chi abita tra queste alture, al riparo dalle parole, sembra quasi che non ci sia nulla da fare se non osservare i campi all’orizzonte e il cielo. Meditare, passeggiando nelle valli. Non è una questione di età, né di ispirazione romantica, se a tanti capita di attardarsi a guardarle, quelle nuvole così in alto, sfumate o color pastello, che sembrerebbero stampate o ricamate su una tela, se il vento non le rendesse tanto guizzanti.
Pare che il presente, dopo tante partenze, sia fatto di poco e che la vita mostri il suo lato più parco. Quel minimo, che però fa ascoltare meglio i profumi e le voci di sempre: il bucato appena steso dalle lavandaie, il miagolio dei gatti tra i vicoli, la minestra di legumi che cuoce sulle vecchie cucine a legna. Ora però, sulle creste dei colli circostanti, qualcosa cambia e si sente il ronzio insolito delle pale eoliche in movimento. Che tanto disturba proprio la cicogna nera.

Viaggio alla scoperta dell’Irpinia d’Oriente, dove il tempo si è fermato

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