Avellino sta perdendo l’Irpinia

Incapace di offrire un disegno, una visione o anche solo una suggestione sta perdendo il contatto con il suo territorio, dove sono in tanti a non aspettarsi più alcun segnale

Avellino sta perdendo lentamente ma inesorabilmente l’Irpinia intorno a sè. Il declino della città, iniziato nella prima metà degli anni 2000, non si è più arrestato. A giustificarlo non sono i bilanci più o meno attendibili di cose fatte oppure no, a prescindere se da questa o quella amministrazione, dal partito o dallo schieramento, sebbene molto potrebbero dirci il livello e il profilo di tentativi fatti e non riusciti, come vedremo. Quello che si può osservare riguarda la mancanza di una tensione, l’assenza di un’emozione per una immagine di un luogo proiettata nel futuro, non c’è una visione. Ecco il riferimento ai tentativi non riusciti, che celano alla radice in orizzonte. Negli anni più intensi della ricostruzione post sisma, tra le tante suggestioni circolò quella di affidare la rivisitazione di piazza Libertà ad un grande nome di livello internazionale quale Zevi. Erano i tempi in cui il Consiglio comunale tirava fino all’alba, dividendosi tra chi puntava a far espandere la città e chi riteneva si dovesse amministrare lo spazio disponibile con migliori servizi. Non era ancora arrivato Augusto Cagnardi a spiegare che i processi economici urbani non accadono se non panificati con il dialogo e la partecipazione, offrendo a mercati e investitori pubblici e privati le opportunità della migliore efficienza. Ma si operava comunque per rimodulare l’habitat cittadino su modelli allora ritenuti moderni, competitivi rispetto a Napoli, a Roma, si guardava alla lezione urbanistica delle realtà più evolute d’Europa. Oggi la politica non attrae i giovani e chi teme di restare indietro nella vita, dedicandosi ad un ambiente instabile, non spreca il proprio talento. Non offrendo margini per realizzare un cambiamento che non può essere solo enunciato in un talk show o con un tweet, la politica risulta tra gli obiettivi residuali delle nuove generazioni. La politica resta comunque uno strumento per risolvere i problemi e il nodo da sciogliere resta per chi ha responsabilità.

Pur ammettendo di poterlo conseguire rapidamente, non basterebbe un combinato disposto di servizi, efficienza della pubblica amministrazione, sgravi, senza inserire la città in una visione precisa proiettata venti anni avanti. La trasformazione urbana, somma della riqualificazione, della qualificazione e della espansione ponderata finalizzata, in questo senso inquadrabile come evoluzione, richiede la capacità di guardare in avanti, oltre l’immediato, armonizzando il passato al futuro.

Ecco, se il Capoluogo conquistato nelle elezioni del maggio 1995 da Antonio Di Nunno doveva trovare la sintesi dopo tanta ricostruzione in parte frutto dell’emergenza, esigenza che un abile comunicatore come lui tradusse nella parola anima, quello di oggi a partire dal 2009 deve comprendere che la parola chiave è diventata la responsabilità.

È più o meno da allora che il nuovo quadro normativo e regolamentare europeo della programmazione negoziata, l’obbligo imposto dall’Europa di aggregare intorno alle città medie e grandi i progetti di trasformazione territoriale, ha riscritto le regole sullo sviluppo urbano.

La città di oggi non può completarsi nella sua dimensione contemporeanea, se non in accordo con tutti gli altri ambiti di una provincia molto più dinamica di quanto non appaia Avellino.

Non può rendere efficienti i servizi locali, risolvere i nodi del trasporto e della sanità pubblici senza condividere visione e orizzonte, legittimando il proprio ruolo di Capoluogo, facendosi carico delle esigenze e delle criticità di un territorio che va inquadrato almeno su tre livelli, provinciale, comprensoriale e meridionale.

La capacità di vedere un polo di ricerca e formazione biomedica, genetica e molecolare in un piano di insediamento produttivo come quello di Camporeale ad Ariano, in un contesto peraltro decentrato dalla stessa città del Tricolle, si è evidentemente basata sulla pianificazione di sinergie e convergenze accademiche, economiche e industriali, tali da capitalizzare risorse già disponibili, a partire dalla posizione geografica del futuro Campus sull’asse Napoli-Bari.

Nel giorno in cui l’Italia ha trovato ad Ariano una istituzione di livello nazionale sviluppata in meno di tre lustri, suona l’ultima chiamata per una città troppo piccola per definirsi ancora tale se non assumerà la responsabilità di essere sul campo un Capoluogo.

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