Da presidente di Confindustria Avellino e imprenditore impegnato nell’agroalimentare, Sabino Basso ha sempre auspicato una classe dirigente poco interessata a guadagnare consensi in campagna elettorale ma alla capacità di governare i processi. “Ma la politica sembra essersi dissolta di fronte all’onere delle sue responsabilità” spiega nell’intervista rilasciata a Nuova Irpinia. “Rilanciare l’economia significa investire nelle infrastrutture e sostenere le piccole aziende nel processo di industrializzazione”.

Dottor Basso, per fare il punto sull’Irpinia è necessario prendere il considerazione il rapporto 2018 licenziato dalla Svimez, che oltre a confermare la forbice che insiste fra Nord e Sud del Paese, accende i riflettori sullo svuotamento del Mezzogiorno.

“Purtroppo il problema è sempre lo stesso: perchè un imprenditore dovrebbe investire da noi? Quale sarebbe il suo vantaggio? Siamo un Paese poco attrattivo, con il cuneo fiscale più alto d’Europa, inefficienza della giustizia che offre risposte in un lasso di tempo che varia dai 9 ai 12 anni, e infrastrutture precarie o inesistenti”.

Alto cuneo fiscale, inefficienza burocratica e della giustizia, dotazione infrastrutturale insufficiente, penalizzano la capacità dei nostri territori di attrarre investitori esteri

Gli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno risultano ancora esigui, e non sufficienti a realizzare un concreto processo di unificazione dello stivale. 

“Il Sud ha fame di infrastrutture, che non sono soltanto gli assi viari e dell’alta capacità ferroviaria, ma anche i porti e gli aeroporti. Basti pensare che il porto di Rotterdam regge da solo un flusso commerciale superiore a quello di tutti i porti italiani messi insieme. La responsabilità va ricercata nel passato, quando non si è avuta una visione ampia del Paese, che merita di essere considerato porta aerei sul Mediterraneo, ma anche nodo strategico commerciale per l’India, la Cina, la Corea del Sud; l’alta capacità ferroviaria invece è la direttrice che ci conduce al cuore dell’Europa”.

Cos’ha però di speciale?

“Il nostro è un Paese orograficamente complesso, gode di una posizione vantaggioso per l’industria manifatturiera e il capitale umano di grande creatività e ingegno. I settori su cui è possibile scommettere sono l’automotive e l’aerospazio, senza contare che sul food l’Italia la fa da padrone. Bisogna occuparsi delle micro imprese, che devono essere sostenute nel grande passo, ovvero nell’internazionalizzazione e l’esportazione”.

Esistono decine di protocolli d’intesa siglati fra enti e istituzioni deputate all’accompagnamento dei processi economici.

“Tutto si traduce alla fine in poca roba e in atti mai veramente realizzati: le piccole aziende meritano un sostegno diverso”.

Per anni gli attori istituzionali locali hanno promosso protocolli d’intesa come cornice di politiche a sostegno dello sviluppo mai decollate…

La politica annunciata dal Governo guarda al reddito di cittadinanza e al consolidamento delle tutele del contratto di lavoro, più che a irrobustire il tessuto imprenditoriale.

“Questa è una politica anti-industriale: il nuovo Governo ha peggiorato le cose perchè il nuovo decreto sul lavoro penalizza ulteriormente le imprese. Non si può ambire al ritorno del ‘posto fisso’, perchè il mercato del lavoro persegue un’altra rotta, che è diversa da quella professata dall’estrema sinistra”.

Lei pensa che si possa raggiungere la tanto auspicata ‘meritocrazia’?

“Un personaggio di grande spessore che è scomparso da poco- Sergio Marchionne- sosteneva che in Italia non si considerano mai i doveri, ma soltanto i diritti. La scuola ne è un esempio lampante: i ragazzi non vengono bocciati perchè gli insegnanti temono le incursioni e le ritorsioni dei genitori, oppure perchè si teme che non si formino le classi. In passato per accedere al pubblico impiego bastava un santo in paradiso, mentre oggi i concorrenti devono essere formati perchè i non meritevoli emergerebbero subito”.

Il nuovo Governo professa una politica che è chiaramente anti-industriale. Come correttamente sottolineava Sergio Marchionne, purtroppo l’Italia è il Paese dove si vogliono diritti, rifuggendo i doveri

Fra la vecchia e la nuova generazione impiegatizia intanto esiste un divario netto e insanabile.

“La vecchia classe impiegatizia non ha subito l’innovazione dei processi e non si è aggiornata. Il passaggio generazionale ha incontrato grandi difficoltà, che sono fisiologiche, ma che devono essere azzerate con l’aggiornamento da un lato, e con il ricambio della forza lavoro dall’altro”.

L’evoluzione tecnologica ha di fatto aperto l’evo della digitalizzazione sociale, che ha fortemente condizionato l’andamento dell’economia, l’informazione, le priorità della politica e infine la famiglia.

“Scrivere la storia di questi anni è davvero difficile: la metamorfosi evolutiva è stata talmente rapida da avere modificato anche la concezione della famiglia stessa. Le battaglie che si consumano in queste settimane non sono altro che una resistenza al cambiamento che sarà inevitabile”.

Un cambiamento che in Irpinia potrebbe tradursi nell’abbandono del sogno della grande fabbrica allestita con fondi pubblici, come sta avvenendo per l’ex Irisbus in Valle Ufita.

“Da presidente di Confindustria Avellino sono stato dall’ex Ministro De Vincenti ma senza ottenere garanzie sulla riorganizzazione dell’industria. Oggi la storia non è cambiata di molto: l’imprenditore vorrebbe la garanzia che sia lo Stato ad acquistare i pullman. Ogni azienda per poter stare sul mercato ha bisogno di clienti”.

Sull’ex Irisbus poco è cambiato. Chi investe chiede commesse pubbliche per sostenere l’attività industriale. Il punto è solo questo

Qual è la sua proposta per impedire la chiusura definitiva degli stabilimenti della nuova Industria Italiana Autobus?

“Gli stabilimenti possono avviare un progetto di rigenerazione dell’intero parco autobus italiano. Ci sono tantissime aziende che hanno bus dismessi e che potrebbero affidare commesse all’industria. Senza contare che ci sarebbero tante altre soluzioni”.

Che opinione ha della classificazione in Zes – Zona Economica Speciale – dell’area industriale della Valle Ufita voluta dalla Regione Campania? Teme o sostiene la teoria dello ‘spezzatino’?

“L’area industriale di Valle Ufita è talmente vasta che è ipotizzabile addirittura la costruzione di nuove strutture, indipendentemente dalla ex Irisbus. Per supportare la Zes credo che la concentrazione dovrebbe essere massima sulla capacità infrastrutturale, come l’alta capacità ferroviaria e la piattaforma logistica. Offrire sgravi fiscali e creare strumenti per consentire il trasporto delle merci è una ricetta che si dovrebbe applicare sull’intero Meridione. Il problema è che la politica è concentrata soltanto sugli immigrati, mentre i giovani vanno via”.

L’area industriale della Valle Ufita, Zes a parte, non dipende strettamente dall’ex Irisbus. Le potenzialità ci sono

Lei è sempre stato in prima linea per la promozione del territorio e in particolare nel processo di valorizzazione della produzione vitivinicola irpina. Cosa ne pensa della battaglia contro il biodigestore di Chianche?

“Io non sono mai stato contrario all’istallazione dei biodigestori: ho visitato quello di De Vizia a Udine e trovo che sia un salotto. Il problema è che i cittadini da noi non hanno più fiducia nelle istituzioni e temono che l’impianto possa trasformarsi e dare spazio all’illegalità. In prossimità di vigneti Docg, come nell’areale del Greco non possiamo correre questo rischio, perchè il vino subirebbe un deprezzamento e la fatica di costruzione del marchio sarebbe stata vana. E’ necessaria una maggiore lungimiranza degli amministratori locali. A Tufo, ad esempio, mi sono accorto che davanti ad una miniera insiste un sito industriale: una scelta troppo poco strategica al fine della valorizzazione”. 

L’imprenditoria del vino in questo momento è impegnata a promuovere i marchi irpini all’estero. 

“La promozione dei marchi e delle Docg è una cartina di tornasole soprattutto per la valorizzazione del territorio, che ad oggi non ha particolari attrazioni turistiche. Il turismo legato al vino è ancora esiguo, perchè l’offerta del territorio è inesistente, mancano strutture all’altezza ed è tutto da costruire”. 

Il presidente della Città dell’Alta Irpinia, il sindaco di Nusco Ciriaco De Mita, ha dichiarato pubblicamente il suo ‘rammarico per non essere riuscito nel processo di ricostruzione della comunità’. Lei concorda con la necessità di un recupero delle comunità come fattore di coesione sociale?

“L’Italia è il Paese dei campanili, che è l’emblema del senso di appartenenza ad una comunità. Il rancore emerso dagli istituti di ricerca che profilano gli umori degli italiani ha prodotto una profonda spaccatura che deve essere sanata. Nelle crepe di questa frammentazione trovano terreno fertile le parole di Salvini e Di Maio, che non hanno ancora chiarito alle persone qual è la visione del Paese che prospettano fra 20 anni. Io dico che non ce l’hanno. Un leader visionario guarda al lungo periodo”.

In Italia troppo spesso le famiglie accumulano risorse per i propri figli, che altrove a 18 anni sono autonomi. Il risparmio sottrae risorse agli investimenti

I leader di Governo parlano alla pancia delle persone, che vivono condizioni di precarietà e smarrimento per la mancanza di lavoro, pressione fiscale, inefficienza dei servizi.

“Il nostro Paese presenta condizioni di vivibilità dignitose: le ambizioni sono legittime per tutti, ma è pur vero che si conserva una qualità della vita buona, e una grossa fetta di popolazione deposita risorse in banca o in posta, congelando la possibilità di investimenti e far circolare l’economia. In Italia i genitori accumulano per i figli e per garantire loro il benessere, mentre altrove i figli sono autonomi a 18 anni”.

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