Il Pd di Avellino tramonta una sera di Maggio. Giocando con il nome del neo presidente dell’assemblea, si potrebbe commentare così l’esito della seduta inaugurale del Consiglio comunale di Avellino

Si dissolve un gruppo, quello del Pd di Avellino, per un quarto di secolo forza egemone prima come Ulivo poi come partito unificato del Centrosinistra. Ma ad averlo spinto ai margini non sono stati i Cinque Stelle, che non hanno i numeri in aula per sostenere il sindaco Vincenzo Ciampi, ma gli alleati interni ed esterni al partito di Martina e Gentiloni.

Il nome del medico avellinese si presta bene per fissare l’inizio e la fine di un’esperienza, quella del Centrosinistra di governo nel Capoluogo. Maggio, inteso come mese, riporta la mente al 7 maggio 1995, alla elezione di Antonio Di Nunno. Quella sera di oltre ventitré anni fa lo spoglio delle schede al ballottaggio ratificò la fine della lunga stagione dell’egemonia democristiana, sostituita con l’inedito asse politico e programmatico tra i Popolari e gli ex comunisti di Pds e Rifondazione. Avellino si allineava in quella fase alle grandi città del Mezzogiorno e del Centronord, dove la riscossa dei sindaci eletti direttamente dai cittadini apriva la strada l’anno successivo all’approdo di Romano Prodi a Palazzo Chigi, inaugurando la lunga stagione de L’Ulivo, terminata nel novembre 2007 con la nascita del Partito Democratico.

Il Presidente del Consiglio comunale di Avellino, Ugo Maggio

Oggi con l’elezione di Ugo Maggio, espressione della società civile e dell’impegno politico maturato in ambienti lontano dai partiti, si certifica il declino del Pd avellinese erede di quella esperienza, mortificato dalla irrilevanza in un Consiglio comunale dove a causa delle sue spaccature non è in grado di interpretare il ruolo di maggioranza relativa. Di fronte alle difficoltà evidenti di un sindaco vincitore senza una maggioranza numericamente in grado di sostenerne linea e scelte, le rappresentanze elette nelle liste approvate da via Tagliamento non hanno saputo assumere alcuna iniziativa politica, rinunciando a proporre e ricercare quelle solidarietà e convergenze che ai più parrebbero naturali tra le forze di uno stesso schieramento, quello che fino a poche settimane fa ha sostenuto la candidatura a sindaco di Nello Pizza.

Come il segretario provinciale, hanno occupato gli scranni dell’aula da spettatori, lasciando che tutto si compisse. Sotto gli occhi del massimo rappresentante dei Democratici, ha incassato il risultato politico la lista che dal 2009 Gianluca Festa, consigliere provinciale del Pd ma autonomo al Comune di Avellino, propone agli elettori, ‘Davvero’. E lo ha fatto sconfiggendo alla terza votazione l’esponente di un’altra forza alleata dei Dem, riferimento autonomo dentro un Centrosinistra dove il Pd è diventato un oggetto misterioso. In realtà, Maggio appare il candidato voluto da quello che un congresso ancora contestato in sede giudiziaria ha eletto come il gruppo dirigente del partito, affidato ad un leader che, consapevolmente o no, si muove ben in sintonia con l’ex vicesindaco di Giuseppe Galasso.

IL “PD DAVVERO”. Al di là di Stefano La Verde e Ivo Capone, alla riunione convocata dal segretario provinciale in via Tagliamento erano presenti soltanto i consiglieri espressione delle liste alleate, come Gianluca Festa, Giuseppe Negrone e Adriana Percopo, cioè i sostenitori in buona sostanza della candidatura di quello che è poi divenuto il Presidente, Ugo Maggio. Assenti quattro consiglieri Dem su sei, così come il candidato sindaco sconfitto Nello Pizza (più vicino ai Popolari), nelle dichiarazioni rese alla stampa al termine dei lavori il segretario provinciale ha motivato la riunione come un momento doveroso di discussione con gli eletti, in vista di un confronto in aula con i Cinque Stelle, definita forza alternativa. Il risultato di quel briefing ha spianato la strada ad un candidato di minoranza, favorito dalla mancanza di una indicazione unitaria. Con l’elezione di Ugo Maggio alla presidenza, si può ben dire che l’asse Festa-Di Guglielmo (al netto dei suoi consiglieri fidati fuori dai riflettori) garantisca all’ex esponente dei Verdi la golden share, il ruolo di riferimento in un Coordinamento di via Tagliamento sempre più lontano dalla gente e dai territori.

L’allora premier Matteo Renzi al teatro Carlo Gesualdo saluta in platea il sindaco di Avellino Paolo Foti

RISCHIO ‘FOTI-BIS’ ALLE ELEZIONI PROVINCIALI. La situazione attuale rafforza il ruolo di Gianluca Festa come ago della bilancia dei destini amministrativi del sindaco. Dettando l’agenda dei lavori consiliari attraverso la conferenza dei capigruppo coordinata da Maggio, orchestrando un asse tra partito e una parte dei consiglieri eletti nella Coalizione Pizza, Festa quasi ostenta la debolezza di un sindaco al quale ricorda sovente di poter staccare la spina in qualsiasi momento. Del resto non ne ha fatto mistero nemmeno in aula. Nel pronosticare una durata breve per la consiliatura, pur esortando il primo cittadino a misurarsi sui problemi, si è posto come regista di una possibile coabitazione armata tra un Consiglio frammentato e ingovernabile e una giunta svuotata di ogni effettivo peso, anche agli occhi di una dirigenza comunale che nell’ultimo quarto di secolo ha ben imparato a prescindere dalle stagioni della politica. In questo scenario, nel Consiglio comunale di Avellino può aggregarsi sulle ceneri dell’egemonia dei Democratici una nuova compagine in grado di influenzare con l’aiuto dell’attuale leadership di via Tagliamento l’esito delle prossime elezioni provinciali. Questo, almeno, sembra un trasversale disegno possibile di chi punta a mettere fuori gioco i Democratici nel caso (al momento ancora probabile) di elezioni comunali anticipate il prossimo anno.

Maria Elena Boschi ad Avellino nel novembre del 2016 per la campagna referendaria costituzionale

L’INCOGNITA DEL NAZARENO. Uno scenario, quello descritto, condizionabile dalle evoluzioni romane, dove non è escluso che il Partito Democratico cambi l’attuale linea in Irpinia. In questo senso le parole pronunciate dall’ex ministro Maria Elena Boschi, intervistata da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera, aprono spiragli. «Noi un congresso lo dobbiamo fare sul serio», ha spiegato la Boschi. «Martina guida il partito perché era il vicesegretario, l’assemblea ha fatto una scelta però abbiamo bisogno del congresso il prima possibile». E ha spiegato le ragioni di una assise rapida: «Non perché sia la soluzione di tutti i nostri problemi, però è l’unico modo per rilanciare il Pd e soprattutto per chiarire quale sia la visione del partito. E una volta che si sceglieranno la linea e i leader dovranno finire tutte le divisioni. È l’unico modo per essere credibili. Perché noi l’opposizione non la dobbiamo fare a Renzi e Gentiloni ma a Di Maio e Salvini». Questa esigenza, a detta di numerosi esponenti e rappresentanze istituzionali del partito ad ogni latitudine del Paese, vale soprattutto sui territori.

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