Rosato: dopo dieci anni al timone,
lascio un’eccellenza

Dal 1990 in prima linea, ha concluso il percorso alla guida dell’Azienda San Giuseppe Moscati di Avellino che ha contribuito a far crescere a livello nazionale

Raggiunta l’età pensionabile, Pino Rosato, direttore generale dell’azienda ospedaliera di Avellino “San Giuseppe Moscati”, lascia l’incarico. Prima di passare il testimone ad Angelo Percopo, al quale è stata affidata dal governatore Vincenzo De Luca la guida della struttura, il manager analizza con “Il Corsivo” punti di forza e criticità della realtà sanitaria del capoluogo e dell’intero settore in Campania. Ma nel futuro del cardiologo potrebbero esserci nuovi impegni.

Giuseppe Rosato nel suo ufficio fino al luglio 2016 nell’Azienda San Giuseppe Moscati

Direttore Rosato, dopo oltre 10 anni si chiude la sua esperienza al vertice del “Moscati”. Proviamo a fare un bilancio.

«Sono stati dieci anni di risultati importanti per il ‘Moscati’, per i professionisti ed i dipendenti che hanno lavorato nella struttura, oltre che per la città e la sanità campana. Molti degli obiettivi che ci eravamo prefissati si sono realizzati, determinando ovviamente ricadute positive sugli utenti e sul territorio».

Esaminiamoli nel dettaglio.

«In questo tempo la città ospedaliera ha inaugurato 3 dei suoi 4 plessi, accorpando in un’unica struttura più funzionale e moderna il ‘Capone’, il ‘Maffucci’, la sede di Viale Italia ed il ‘San Giacomo’ di Monteforte Irpino. Qui la ricezione dei pazienti è notevolmente migliorata, grazie a camere con servizi adeguate e spazi per la socializzazione dei ricoverati con i parenti. Si è puntato insomma su una ospedalizzazione più umana».

In che modo?

«Soprattutto sono stati effettuati importanti investimenti tecnologici per l’acquisto di attrezzature, per un importo complessivo di 16 milioni di euro. Solo per citarne qualcuna: due risonanze magnetiche e tre Tac. Ma ci sarebbe molto altro da dire».

Prego.

«Disponiamo di un blocco operatorio altamente organizzato, dove si compiono interventi chirurgici per ogni tipo di patologia, con tecniche avanzate. Il vero punto di forza del ‘Moscati’ è sicuramente la competenza dei nostri professionisti. Inoltre è stata data grande attenzione all’approvvigionamento farmaceutico, con l’acquisizione dei più avanzati rimedi terapeutici disponibili in Italia».

Come si colloca oggi la Città ospedaliera nel panorama sanitario regionale e nazionale?

«Il Moscati è un’azienda di rilievo nazionale e di alta specialità. Un centro di eccellenza di primaria importanza, in grado di dare risposte di qualità alla domanda che proviene dai cittadini utenti del nostro territorio provinciale e non solo. Il 25% dei ricoverati infatti proviene dalle altre province della Campania ed il 5% da fuori Regione. Siamo quindi in controtendenza rispetto alle dinamiche che purtroppo vedevano nel Mezzogiorno, soprattutto prima, i pazienti spostarsi verso altre realtà del Centro-Nord. Per quel che riguarda la struttura posso dire che ci viene invidiata da molti manager del settore che sono venuti in visita qui».

Giuseppe Rosato nei corridoi dell’Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati

Cosa vede nel futuro del “Moscati”?

«Il prossimo obiettivo dovrà essere la chirurgia robotica in Oncologia, Urologia, ma anche Ostetricia e Ginecologia. Una tappa per la quale stavamo già lavorando. Bisognerà poi attrezzare una sala operatoria ibrida per la chirurgia vascolare a cielo aperto ed endovascolare».

Il complesso ospedaliero è in fase di completamento.

«Si prevede la realizzazione di una foresteria per i parenti dei pazienti, di un asilo nido per i figli dei dipendenti, di un parcheggio e di un piano commerciale a disposizione dell’intero quartiere. Il cantiere è già stato avviato. Attendiamo invece l’autorizzazione per i lavori di sopraelevazione».

Resta anche da risolvere il problema dell’accesso al Pronto soccorso.

«Sulla questione è stato raggiunto un accordo con il Comune di Avellino per l’intervento necessario, che prevede la dislocazione del nuovo accesso da Via don Giovanni Festa ed il varco di deflusso da Via Quattro Cancelli».

Non c’è dubbio che l’azienda ospedaliera sia diventata una consolidata realtà sanitaria, ma ovviamente non mancano delle criticità. Ne parliamo?

«Non siamo l’Eden. I risultati ottenuti però sono verificabili e confermati dal Piano esiti dell’Agenas, l’agenzia sanitaria nazionale, che pubblica un rapporto sulla qualità ed il volume delle prestazioni. L’azienda infatti in 44 unità operative su 52 è in linea con gli standard nazionali relativi agli interventi di maggiore complessità ed in alcuni settori si colloca anche al di sopra della media. Non c’è comunque nessuna intenzione di nascondere le criticità esistenti, che sono il blocco del turn-over del personale e la durata eccessiva delle liste di attesa».

Nella gestione della struttura quanto ha pesato la carenza di personale?

«Ha pesato moltissimo. Il turn-over è rimasto bloccato per 9 anni. è stato davvero difficile mantenere lo stesso livello e la qualità dei servizi. Ma ci siamo riusciti, grazie ad uno sforzo da parte di tutti e con un accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali. Così la struttura è stata tutelata dal rischio chiusura».

Ora la situazione sta cambiando?

«Nell’ultimo anno finalmente c’è stato un parziale sblocco delle assunzioni. L’unità operativa che ha maggiormente risentito del problema è stato il Pronto soccorso».

Come avete fronteggiato le difficoltà?

«Il Pronto soccorso è di per sé un settore delicato, ma anche il punto più avanzato di contatto con i bisogni sanitari della comunità. Si determina però un ingolfamento delle attività quando la domanda dell’utenza va oltre le competenze specifiche dell’unità operativa. In alcuni casi è diventata una postazione di ricovero breve di pazienti in attesa di essere traferiti nei reparti. I nuovi arrivi di personale, quindi, sono stati impiegati lì».

E le liste di attesa?

«Vanno sicuramente accorciati i tempi d’attesa per le prestazioni, ma c’è una ragione per la quale si sono create disfunzioni».

Dica pure…

«Ci siamo concentrati soprattutto sull’alta specializzazione, perché i servizi ambulatoriali vengono erogati anche da altre strutture, i presidi sanitari territoriali (la Asl n.d.r.) ed i centri privati convenzionati. La priorità di risposta l’abbiamo offerta ai pazienti ricoverati. Dietro questa scelta c’è una strategia ed una filosofia d’intervento».

Quale?

«Evitare di trasformarci in un esamificio, ma essere un complesso ospedaliero che segue il paziente in tutto il suo decorso. Una visione moderna ed efficiente della sanità richiede la piena integrazione delle strutture per dare risposte adeguate ai cittadini a seconda delle esigenze. C’è bisogno di servizi sempre più articolati e complessi. La nuova frontiera della medicina è la multipatologia. Con una popolazione che tende all’invecchiamento vanno affrontati contemporaneamente più disturbi».

L’atrio principale dell’ospedale Moscati di Avellino

In che modo in futuro si potrà soddisfare con efficienza le richieste che arrivano al “Moscati”?

«Lo sblocco definitivo del turn-over, previsto per il 2017, permetterà di dare risposte in tempi brevi alle richieste ambulatoriali di primo livello».

In questi anni la sanità irpina ha subito tagli consistenti in termini di posti letto e di finanziamenti. C’è stata una penalizzazione rispetto ad altre province campane?

«Non si può dire che la provincia di Avellino sia stata trattata bene nei Piani ospedalieri, anche se bisognava rispondere ad una esigenza di razionalizzazione e soprattutto di risparmio per appianare lo spaventoso indebitamento che si era creato in Campania».

Un indebitamento determinato soprattutto dagli sprechi o dalla cattiva gestione di ospedali ed Asl napoletani.

«Effettivamente è così. Le realtà irpine sicuramente erano più sane sotto il profilo gestionale e della spesa, ma anche meglio organizzate. Non è un caso che gli obiettivi individuati sono stati raggiunti in breve tempo. In questi anni l’azienda ha chiuso i bilanci sempre in pareggio o con piccoli avanzi. La gestione oculata dei budget però non ha avuto ricadute negative sui cittadini».

Come è cambiata la Sanità in Campania?

«Si è andati, come avviene anche altrove, verso un’organizzazione a rete. Ogni ospedale non può occuparsi indistintamente di tutte le esigenze. C’è una struttura hub, in provincia di Avellino il ‘Moscati’, che funge da riferimento per gli altri presidi. Ma il sistema per funzionare richiede, come dicevo una piena integrazione».

Come valuta il nuovo piano ospedaliero?

«Sostanzialmente si introduce un modello, che fa riferimento alle recenti normative di settore, secondo il quale non esistono più situazioni immutabili. In base alle valutazioni della Regione compiute per ogni unità operativa si determinano i finanziamenti e le programmazioni triennali. Ma le verifiche sono semestrali. I parametri sono i posti letto, i volumi di attività e gli esiti degli interventi».

Di cosa ci sarebbe effettivamente bisogno per compiere un salto di qualità?

«Direi di una legge specifica sull’interazione tra ospedale e territorio. Alcuni servizi ed attività è opportuno che dipendano, per ragioni logistiche, da più strutture, ad esempio i centri trasfusionali. L’obiettivo è seguire il paziente in tutte le sue fasi, per evitare la riacutizzazione delle patologie successivamente alla dimissione dall’ospedale, che poi richiederebbe un nuovo ricovero. Così i servizi sarebbero più efficienti ed i costi verrebbero ridotti, senza penalizzare l’utenza».

Da manager di una grande realtà pubblica e sulla scorta della sua pregressa esperienza politica, quale modello di sviluppo ritiene che debba seguire l’Irpinia?

«è necessario puntare sulle risorse del territorio dall’agroalimentare alle eccellenze industriali, salvaguardando il significativo patrimonio ambientale di cui disponiamo, che può fungere da volano per il turismo. Occorre però uno sforzo nella programmazione».

Come giudica le aggregazioni in cantiere?

«Giudico positivamente esperimenti come l’Area vasta di Avellino ed il Progetto pilotta dell’Alta Irpinia, ma occorre una visione strategica complessiva. Dobbiamo impegnare tutte le energie e le competenze della comunità per imprimere una svolta».

Giuseppe Rosato l’ultimo giorno al timone dell’Azienda San Giuseppe Moscati

Cosa suggerirebbe per il rilancio della città di Avellino?

«La città ha bisogno di un sussulto d’orgoglio. Avellino deve tornare ad essere un vero capoluogo, senza temere confronti anche con altre realtà. Vanno valorizzate le potenzialità, le attrattive e le strutture esistenti. Penso al Teatro, alla stessa azienda ospedaliera, ai trasporti, al verde. Serve però il contributo di tutti. Non si può soltanto criticare, bisogna essere protagonisti attivi del cambiamento».

Terminato l’impegno con l’Azienda “San Giuseppe Moscati”, sta facendo programmi per il futuro?

«Vedremo. Sono aperto ad ogni discorso. Se potesse essere utile, sarei pronto a mettere a disposizione la mia esperienza. In ogni caso, dopo 29 anni dedicati alla Cardiologia e quasi undici alla Città ospedaliera, non vorrei uscire del tutto dall’ambito medico-sanitario».

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