“L’albergo delle donne tristi” di Marcela Serrano

Un Albergo metaforico che rappresenta una sorta di unione di tante solitudini di donne che, a un certo punto della loro vita, vogliono fermarsi a riflettere, ma non hanno del tutto perso la speranza che rimane nel loro animo

“L’albergo delle donne tristi” di Marcela Serrano. Un Albergo metaforico, che rappresenta una sorta di unione di tante solitudini di donne che, a un certo punto della loro vita, vogliono fermarsi a riflettere, ma non hanno del tutto perso la speranza che rimane nel loro animo, poiché si rendono conto che non basta parlare o confrontarsi, perchè la vita di tutte è legata alle circostanze e un attimo può cambiare tutta un’esistenza. L’albergo è gestito da Elena, era amata in quel luogo, l’isoletta dell’arcipelago di Chloè, nel sud del Cile, anche se all’inizio la vedevano con un po’ di diffidenza: aveva deciso di prendersi cura di donne, i cui legami con la propria realtà sembrano spezzati irrimediabilmente.

Costanza, Tonia, Olguita, Angelita, Olivia e le altre avevano ognuna una storia difficile alle spalle, difficoltà familiari e di relazione con gli uomini, in alcuni casi problemi di droga: spesso non riuscivano ad aprirsi tra loro, a raccontare le proprie debolezze e paure, la devozione di alcune nei confronti dei propri mariti, altre che preferivano l’umiliazione all’abbandono. Tutte cercavano una fonte di tranquillità, perché si sentivano ferite, ”donne che dormono raggomitolate perché il dolore è così forte che non riescono più a sdraiarsi”. Vi era il disperato tentativo di trovare un varco nel marasma delle sensazioni, la necessità di piangere il proprio lutto, nonostante il senso di colpa che le perseguitava. Alcune di loro erano donne realizzate, persino famose e forse erano le più solitarie, talvolta avvertivano il desiderio di una maggiore leggerezza,  scrollandosi di dosso i pesi che le vicende della vita avevano creato per sforzarsi di vedere ciò che si nascondeva dietro la luce, il proprio lato nascosto. Tutte si portavano addosso “le cicatrici del disamore” e per alcune era l’unica volta che prendevano tempo per se stesse, perché erano state ferite ed erano convinte che l’amore confonde e destabilizza, si sentivano tutte vulnerabili e talvolta facevano uno sforzo immenso pur di non vedersi sfiorire. Davanti alla distesa infinita del mare,  si rendevano conto a poco a poco che bisognava imparare a convivere con altri fantasmi, spesso impronunciabili.

Floreana, la protagonista, una ricercatrice storica, che ha fatto della precisione e della razionalità la sua cifra distintiva, si sentiva la nota stonata tra loro, non sapeva a che categoria appartenesse.  Viene a conoscenza della storia di quell’albergo, costruito dal padre di Elena per un amore irrealizzato che era divenuto ora un luogo per accogliere donne in cerca di un proprio riscatto. Floreana incontra il dottor Flavian perché accorre in aiuto di dona Fresia, a cui la  nuora vuole sottrarre il nipote e comincia a sentirsi attratta da quell’uomo strano, schivo, eppure affascinante. Il cuore di Flavian è pieno di dolore, ma non lascia trapelare nulla. Ha scelto , per paura di soffrire, di rinunciare alla sua parte più intima: il suo animo è pieno di rancore ed è difficile per chi non è stato amato o tradito poter ricominciare a baciare. Floreana cerca in tutti i modi di penetrare quella rete di silenzi, ma non sempre ci riesce: per lei “le parole erano come aquiloni, sfuggivano al suo controllo e lei le perdeva”: si rendeva conto che le donne sentono e vivono attraverso quanto viene detto, mai attraverso ciò che viene taciuto o tenuto segreto.

Nella storia di Floreana la “Quarta di Brahms” ha una valenza particolare, le ricordava la sua giovinezza e l’affetto profondo che provava per sua sorella Dulce, che si era ammalata gravemente, anche a causa  di un profondo dolore interiore:  aveva abbandonata la sua anima, sembrava che il suo corpo non le appartenesse più. Le sofferenze che affioravano ascoltando quella musica la facevano tornare indietro nel tempo e ripensava anche a suo figlio e a sua nipote, al suo concetto di maternità legato al senso di isolamento.

Dopo tre mesi Floreana pensa a come sarà il ritorno alla vita di sempre, non voleva partire, era consapevole che il tempo trascorso in quell’Albergo l’aveva ripulita dalle scorie del suo passato. L’ultima sera, prima di partire, Floreana e Flavian ballano il tango con passione in mezzo alla gente che applaude, un momento di condivisione, ma anche di libertà dalle convenzioni e dai giudizi, per poter esprimere realmente se stessi. Alla fine Floreana si rende conto che la vita deve essere vissuta e che chiudere il proprio cuore non preserva dalle delusioni e dal dolore: non è più il tempo di chiedersi dov’è la patria, ha imparato che “la patria è dove non si sente freddo” e corre a fare un’azione perfetta: ascoltare il proprio cuore.

A cura di Ilde Rampino

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