“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone

Un percorso di dolore e di indicibile amore è quello che fa la scrittrice alla ricerca delle proprie radici, un viaggio a ritroso nel tempo, per ritrovare segni di esistenze travolte dalla vita

“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone. Un percorso di dolore e di indicibile amore è quello che fa la scrittrice alla ricerca delle proprie radici, un viaggio a ritroso nel tempo, per ritrovare segni di esistenze travolte dalla vita. L’autrice compie questo percorso interiore, alla disperata ricerca di notizie per ”affondare le mani nella cecità del tempo, senza sapere cosa troverò”: la accompagna sua figlia, in cui ritroverà una somiglianza con i lineamenti di sua madre, un ponte tra un passato ignoto e inconsapevole e il presente, in cui le notizie su sua madre sono
“acqua nel deserto di un’assenza cui lei si abbevera, cercando requie e ristoro.
Scorrendo le pagine di questo meraviglioso libro, significativa è la foto che ritrae il giorno del matrimonio di sua madre: lei ha 22 anni, ma non sorride, era la quarta femmina era indesiderata in quella povera famiglia contadina, la cui vita in campagna era scandita da momenti sempre uguali, si occupava degli animali, era circondata dalla miseria e dall’indifferenza, che le faceva provare un profondo senso di solitudine: era come
la “vita di una figlia abbandonata da due genitori vivi”.

Sua madre Lucia ha sempre fame, che in realtà è fame d’amore e tutti i giorni percorre quasi un’ora a piedi di cammino verso la scuola: l’unico barlume di umanità lo avverte in Tonino, il suo primo amore semplice e ingenuo, che poi perderà di vista, ma egli non
la dimenticherà ”quella ragazzina è nel mio cuore finchè vivo”, confesserà in seguito.
Lucia subisce l’onta di un matrimonio combinato, a causa della vicinanza dei loro terreni, con Luigi, “Centolire”, un infelice e un obbediente che non si oppone, nonostante non provi interesse per lei e il simbolo di quel rapporto sbagliato e crudele sono i guanti bianchi da sposa che conserverà sempre, retaggio e simbolo di purezza e ingenuità. Una stanza senza finestre, senza luce e senz’acqua sarà il luogo in cui sarà costretta a vivere, ma rappresenterà il buio interiore della sua anima, il suo grande amore per i bambini che diventerà rimpianto e sofferenza, la violenza che subisce in casa anche dal marito , che la
picchiava in nome di una sorta di possesso che non esisteva e di cui egli non era consapevole.

Lucia si sentiva diversa, voleva altro, non si arrendeva a vivere quei giorni inutili e l’umiliazione profonda di non rimanere incinta dopo quattro anni. L’esistenza di Lucia subisce una svolta importante attraverso l’incontro con Giuseppe, che lavora come capomastro e muratore per una piccola impresa locale e dà lavoro ai ragazzi del posto, la sua vitalità e l’allegria la attraggono, nonostante egli fosse sposato. Nasce tra loro un rapporto che diventa sempre più profondo, ma che la porta ad essere accusata di adulterio da parte del marito. Uno stigma per quei tempi in cui era diversa la condanna da parte della società e anche penalmente se era l’uomo o la donna a tradire. Tuttavia Lucia è determinata a vivere la sua vita, nonostante tutto e, quando si accorge di aspettare un bambino, raccoglie al volo le sue poche cose e si trasferisce a casa di Giuseppe: le
difficoltà di trovare lavoro li fanno decidere a trasferirsi a Milano.

La vita tuttavia è irta di difficoltà, lei si sente immersa tra incertezze e paure e si sente sola mentre svolge “il filo incandescente dei suoi pensieri”: quando partorisce, è costretta a lasciare la bambina in ospedale per otto giorni: è una figlia illegittima, riconosciuta dalla sola madre. Il dolore di separarsi è terribile, ma Lucia resiste e non si piega alle ingiustizie
e alle prevaricazioni di nessuno: riesce a riprendersi la bambina e a tenerla con sè, attraverso una menzogna e andando al di là della falsità che non ha mai sopportato. Le parole sgrammaticate della lettera di Luigi che nega la paternità sono simbolo di ignoranza e malcelato senso di onore, anche se in fondo anche lui era una vittima delle circostanze . Le difficoltà di Giuseppe nel trovare lavoro, costringono Lucia a scelte difficili, ma non lo abbandona mai perché ”la sua vita è legno da tempesta”, chiede aiuto a sua madre
e a Tonino, ma deve fuggire, perché ha una denuncia pendente.

​Il ritrovamento di una bambina su una copertina in mezzo al parco di Villa Borghese, mentre si vede una giovane donna che si allontana di corsa dà vita a una serie di interrogativi. In quegli anni tuttavia molti figli di ignoti e di bambini abbandonati venivano affidati alle suore dell’istituto per l’assistenza all’infanzia. La bambina ha otto mesi e sua madre Lucia lascia una lettera, in cui indica la data di nascita di Maria Grazia e dice di averla abbandonata: una sorta di confessione, con una scrittura apparentemente senza turbamenti emotivi, ma con una estrema dignità e forza interiore. La scrittura particolare con pause e spazi vuoti rende le pagine di questo libro un coacervo di emozioni che
coinvolge il lettore nella storia, ma soprattutto scandaglia la sua anima, dando vita a riflessioni profonde che riprendono le fila di un’esistenza difficile e intensa: un libro che non si dimentica.

A cura di Ilde Rampino

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