“Tre gocce d’acqua” di Valentina D’Urbano

Un rapporto tra tre “fratelli”, tre anime legate tra loro da un sentimento fortissimo, quasi inconcepibile, che era “la nostra stessa radice” li conduce attraverso vicende e separazioni, dense di dolori di assenze e soprattutto di attese di una voce in un paese lontano che riannoda a poco a poco il filo delle loro esistenze in una rete inestricabile di silenzi e parole taciute

“Tre gocce d’acqua” di Valentina D’Urbano. Un rapporto tra tre “fratelli”, tre anime legate tra loro da un sentimento fortissimo, quasi inconcepibile, che era “la nostra stessa radice” li conduce attraverso vicende e separazioni, dense di dolori di assenze e soprattutto di attese di una voce in un paese lontano che riannoda a poco a poco il filo delle loro esistenze in una rete inestricabile di silenzi e parole taciute. La nascita di quella bambina, Celeste, bionda e quasi trasparente, il rapporto con Pietro, figlio maggiore di suo padre che va a vivere da loro e divide la stanza con lei, che pensava che si sarebbe fermato solo per il fine settimana e invece era rimasto per tanto tempo. Lei sentiva il bisogno di stargli vicino e imitarlo era l’unico linguaggio che conosceva, ma nonostante fosse più piccola e gli stesse sempre dietro, lui non la cacciava mai e lei comincia a nutrire per lui una sorta di adorazione.

Straordinario e particolare è il rapporto che lega Celeste a Lucrezia, una dottoressa, madre di Pietro, che si occupa della sua malattia, ma la tratta con amore, la porta nella loro casa al mare e quando conosce Nadir, suo figlio, nonostante sapesse che era ancora troppo piccola per fare domande, si rese conto che stava per scoprire qualcosa sulla propria famiglia, su quelle persone, le cui relazioni erano decisamente strane, ma
profondamente dense di affetto reciproco. Nascono tuttavia contrasti tra lei e Nadir, sono gelosi uno dell’altra, perché entrambi avevano il desiderio di avere una famiglia e un affetto solo per sé, ma soprattutto provavano un amore sviscerato nei confronti di Pietro, il “loro” fratello più grande. Celeste si sentiva protetta da Pietro, che la chiamava affettuosamente
“Riccio di mare”, mentre si sentiva emarginata dagli altri e dalle sue compagne perchè lei era sempre “l’anello debole” che non poteva fare le cose che facevano gli altri, avvertiva una profonda solitudine di bambina malata a causa del dolore continuo e la rottura frequente delle sue ossa che erano così fragili, si sentiva “un osso di seppia”, insignificante e lasciato lì sulla sabbia della propria esistenza.

Pietro sceglie una strada diversa da quella che i suoi genitori avevano scelto per lui e comincia ad occuparsi della situazione difficile della guerra in Medio Oriente. Va ad abitare in un vecchio appartamento e Celeste rimane a volte da lui e dormono insieme, stretti in un abbraccio fraterno, le sembrava di essere tornata bambina e si sentiva al sicuro. Nadir e Celeste litigavano continuamente, tuttavia non riuscivano a staccarsi, ma col tempo si sforzavano di accogliere quella vicinanza come una cosa innocente, ma essa “suggeriva cose a cui loro non volevano pensare”, condividevano un fratello e avevano provato anni a scardinare quel legame, ma non ci erano mai riusciti. Nadir va a trovarla in ospedale quando lei si fa male al ginocchio e non può camminare, si prende cura di lei, vorrebbe proteggerla, ma in lui vi è come una febbre che non riesce a tenerlo fermo in un posto,
lo spinge continuamente a partire: si rivedono dopo due anni, quando lei era cresciuta e aveva deciso di entrare nella sua nuova vita “a testa bassa, più disposta a giocare ad armi pari col mondo”, anche e soprattutto a farsi del male, ma sentirsi viva, anche cominciando a bere alcolici.

Il loro è un legame senza freni e Celeste si rende conto che avevano sbagliato tutto, tutti e tre, da sempre, a rinchiudersi in una rete che non dava loro scampo. La partenza di Pietro per andare a combattere nei Paesi in guerra , come la Siria, getta nello sconforto tutta
la famiglia, conoscevano gli ideali in cui credeva, ma nessuno lo avrebbe mai immaginato imbracciare un kalashnikov. “Partire per difendere, partire per proteggere”: quella era diventata la missione sua e degli altri volontari che avevano fatto quella scelta. Lo squillo del telefono alle quattro del mattino, il numero di un prefisso straniero, mentre lontano si sente l’urlo delle sirene , il silenzio disperato delle lunghe attese di notizie di Pietro, i dubbi e gli interrogativi senza risposta, le telefonate notturne di Nadir e il suo viaggio , per cercare notizie di Pietro, mentre Celeste gli fa giurare che sarebbe tornato, ma lei aveva promesso che non avrebbe detto a nessuno dove fosse, “sapeva tenere le redini del silenzio”, mentre tiene tra le mani la foto di loro tre, come per non perdere il contatto
tra le loro anime: tutto ciò segna le loro giornate con ombre pervase di malinconia.

Un amico e compagno di lotta di Pietro, Ege, viene ucciso in un agguato in Siria e Pietro continua a combattere, aggiungendo al proprio nome di battaglia il suo. Il sacrificio di Pietro, morto per salvare i suoi compagni è qualcosa che riempie di disperazione la sua famiglia, facendo provare loro un immenso dolore e un senso di impotenza, dilaniandola fin nel profondo, soprattutto alla notizia che a causa dell’esplosione, di lui non rimaneva più niente. Il dolore di Celeste è lancinante, vorrebbe rivederlo e si rende conto che l’ha
abbandonata per sempre, non è più tornato, “neanche nei sogni”. Ella non vuole che si celebri il funerale, perché lui non l’avrebbe voluto: il legame con Nadir, fatto di totale e indistruttibile appartenenza tra loro li fa avvertire un profondo senso di solitudine, ma poi, attraverso Leni, una compagna di lotta di Pietro, che voleva parlare di un aspetto della vita di lui che non conoscevano, comprese che lei e Nadir erano stati le persone più importanti della sua vita e ricevono una sua lettera in cui confessa di averla amata tanto, le chiede di perdonarla e la saluta con il nomignolo che usava sempre: “Riccio di mare” e lei comprende che in quel momento sono ancora in tre.

A cura di Ilde Rampino

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