“Rampa Santa Maria: una risposta è dovuta”, replica Vespasiano

Replica di Michele Vespasiano alla illustrazione del progetto di recupero e valorizzazione dell'abitato di Sant'Angelo dei Lombardi inviato dall'architetta Benedetta Verderosa

“Rampa Santa Maria: una risposta è dovuta”. Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Michele Vespasiano, che interviene a seguito della pubblicazione di una nota inviata a questa redazione dall’architetta Benedetta Verderosa per illustrare la progettualità di “recupero e valorizzazione” di Rampa Santa Maria a Sant’Angelo dei Lombardi.


Un mio post su facebook è servito a svelare una progettualità messa in cantiere dall’Amministrazione comunale di Sant’Angelo dei Lombardi che, seppure già in avanzata fase, era restata nascosta sia ai cittadini che ai consiglieri comunali di minoranza. Riprendo ora il discorso per dire che se capisco che per ottenere un incarico professionale occorre lottare con la lama stretta tra i denti, una qualche buona ragione a sostegno di tale compito occorre pure portarla. Non basta avere alle spalle la “fama” dello studio di fiducia. Se ad Avellino si contesta un incarico dato a Fuksas sarà consentito pure di mettere in dubbio i fondamenti concettuali di un disegno che non mi convince da nessun punto lo analizzi.

Mi riferisco all’idea di “spianare” Rampa Santa Maria, così come viene motivata in un articolo comparso su questo giornale. Cerco di andare per punti, dopo aver premesso che, non avendo una specifica formazione, nulla dirò sotto il profilo tecnico, anche se qualche rilievo sarei in grado di farlo anche io. E dunque vediamo se riesco a rendere il mio pensiero in merito.

Sostenere che la desertificazione è dovuta in gran parte alla carenza di accessibilità con mezzi motorizzati è assai furorviante, poiché, se fosse vero l’assioma, per rimediare a un problema nazionale la conseguenza immediata sarebbe quella si spianare qualunque centro storico, soprattutto quelli della dorsale appenninica, che vivono più di altri il drammatico e inesorabile problema dell’abbandono. Mi chiedo, ad esempio, se abbiano adottato questa soluzione i cittadini di Cairano, Castelvetere sul Calore (quest’anno celebrato dalle Giornate del FAI), o dello splendido borgo di Quaglietta. E se l’angusta viabilità nei rioni storici di paesi come Monteverde, Calitri o Nusco facciano patire a quelle comunità un deficit di “valori culturali e sociali” dei quali l’articolista invoca la difesa. Ma non serve allontanarsi da Sant’Angelo, poiché basta farsi un giro nei vicoli di San Rocco o in quelli che confluiscono nella processionale che conduce in Cattedrale, per vedere che sono tutti assolutamente pedonali e tutti abitati e ben tenuti. Di contro si può verificare la irrilevante densità abitativa. Ad esempio, nella scorrevolissima via Criscuoli, dove gli insediamenti di case popolari sono per gran parte disabitati.

Sono invitato a constatare che urbanistica e architettura dei centri storici avrebbero completamente rivisto i loro capisaldi se a distanza di qualche decennio dalla ricostruzione del nostro si evocano i mezzi di soccorso o quelli dello spazzamento delle strade per pretenderne la loro carrozzabilità. Sant’Angelo ha già vissuto un tempo in cui si cercava di affermare la teoria della “ricostruzione di un vicolo sì ed uno no”; solo che allora si metteva avanti la necessità di consentire agli autocarri che trasportavano il gasolio mentre di arrivare davanti alle porte delle case, ora, invece, ci si riferisce alle ambulanze o ai camion dei netturbini.

Si accenna, poi, a un’opera di restauro e messa in sicurezza. Ottimi intendimenti. Ma che c’entrano con il voler spianare la rampa? Il già realizzato “Parco della Memoria” (io lo direi della memoria violata), ad esempio, ha coniugato male questi proponimenti, poiché dove si sarebbe dovuto intervenire con opere di consolidamento e valorizzazione, finora non lo si è fatto, mentre gli spiazzi vicini all’area ex conventuale sono divenuti un coacervo di buoni propositi, disgiunti l’uno dall’altro (una gigantesca panchina blu, casse di un semenzaio, una gradonata senza rampa per disabili e uno sproposito di pericolosissimi angoli vivi in metallo, ecc.).

Nella sua lunga nota, la progettista rileva che la rampa conduce oggi a “un giardino incolto”. Vorrei dirle che ha ragione ma che è per colpa delle Amministrazioni comunale e provinciale, proprietari dell’intera area, che non si sono mai occupati della regolare manutenzione degli spazi. Ne sanno qualcosa la Pro loco di Sant’Angelo e i volenterosi concittadini che di frequente si sono fatti carico o di provvedere in proprio o di sollecitare il Comune perché si ripulissero gli spazi. Mi chiedo pure: è sicuro che, spianata la rampa, poi verrà costantemente mantenuto il verde pubblico e tagliata l’erba spontanea? In passato, quando l’area era accessibile e sufficientemente ripulita dalle sterpaglie, i turisti e i cittadini che vi potevi incontrare erano anche numerosi. Per informazioni rivolgersi sempre alla Pro loco!

La progettista promette che per la realizzazione di questo sciagurato progetto verranno coinvolti i funzionari della Soprintendenza. Ci mancherebbe, chioso! Ricordo a tale proposito che nelle disposizioni generali del Piano di Recupero del 1982, fondamento di tutta la ricostruzione a Sant’Angelo dei Lombardi, sta scritto che “l’operazione di riconnessione del tessuto urbano del centro storico, considerato come organismo avente unità formale e strutturale, si attua con il metodo del restauro urbanistico”, quest’ultimo teso “alla conservazione della inscindibile unità formale e strutturale dell’antico organismo urbano, alla conservazione dell’impianto viario e dei rapporti volumetrici preesistenti, alla ricostruzione delle parti del tessuto edilizio distrutto”. Ripeto, non sono né un urbanista né un tecnico, però a lume di naso credo che gli estensori del PdR e il consiglio comunale del tempo intendessero precludere ogni successiva forma di alterazione. O no?

Quando, a mo di minacciosa previsione, si sostiene che se non si provvedesse allo spianamento della rampa equivarrebbe a far andare via gli ultimi cittadini che abitano il borgo e vedere gli edifici divenire via via fatiscenti, non posso non replicare che si finge di non vedere che non sono gli edifici (la cui costruzione è relativamente recente) ad essere in avanzato degrado, quanto piuttosto l’area che li circonda, come si potrà vedere nelle foto, la cui manutenzione è di totale pertinenza del Comune. In quanto alle case ora chiuse, esse appartengono a cittadini che o sono morti oppure sono emigrati altrove. Se poi si pensa che, rimosse le scale, si verificherà il miracolo di un’improvvisa impennata del mercato edilizio, voglio ricordare che tanti luoghi di Sant’Angelo, certamente più centrali e meglio tenuti di Santa Maria, sono parimenti abbandonati.

Consentitemi, infine, uno sprazzo di ironica leggerezza. Leggo che si pensa di riutilizzare le pietre esistenti. Mi sento più tranquillo… per un attimo avevo creduto che si volesse sostituirle con un più pratico manto di asfalto. Resta però un dubbio: considerata la notevolissima pendenza (oltre 20 metri di dislivello) con la neve o con lo strato di ghiaccio che si formerà d’inverno, si potranno svolgere le gare di discesa libera o di slittino? Sarebbe certamente un’attrazione, in grado di richiamare turisti ai quali la mezza dozzina di abitanti del borgo potrebbero vendere souvenir, rimpolpando così l’economia del rione.

Per concludere, considerata la evidente peculiarità orografica del nostro abitato, non posso non evidenziare come il disegno urbanistico e architettonico che prefigura il progetto di spianare Rampa Santa Maria non sia tanto lontano dall’idea avanzata nel dopo terremoto, e per fortuna almeno in parte rigettata, di abbandonare il cocuzzolo e portare a valle l’abitato. Fosse avvenuto allora si avrebbero avuto strade in piano e perfettamente carrozzabili. Ma fu proprio per scongiurare ciò che si adottò il richiamato piano di recupero, firmato da tecnici autorevoli e rappresentanti del mondo ambientalista, come l’allora Presidente nazionale di Italia Nostra, Antonio Iannello, oltre che da intellettuali e storici dell’arte. Voglio ricordare che quella scelta meritò all’allora sindaco Rosanna Repole il prestigioso Premio Nazionale “Zanotti Bianco”, per la tutela del patrimonio storico e urbanistico di Sant’Angelo.

Se ora la prof.ssa Repole, capogruppo di maggioranza dell’attuale Amministrazione comunale, avallasse l’idea progettuale di cui ragioniamo, mi vedrei necessitato sommessamente ad invitarla a restituire il premio poiché sarebbero andate totalmente disattese le ragioni che le meritarono il prestigioso riconoscimento.

A cura di Michele Vespasiano

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