Il Carnevale di Montemarano continua (tra tradizione e innovazione). La perdurante pandemia impedisce quest’anno di rinnovare l’appuntamento secolare, ma il Presidente della Promontemarano, Mino Mastromarino, è già proiettato sull’edizione 2022. «Gli auspici sono di poter – già dall’anno prossimo – celebrare il Carnevale di Montemarano», scrive in una nota di seguito integralmente riportata. Nel frattempo, lascia spazio ad una riflessione su uno dei più celebrati e conosciuti eventi identitari della terra irpina.


Il Carnevale di Montemarano non si tradisce

di Mino Mastromarino, Presidente della Promontemarano

Il Carnevale di Montemarano

Si è soliti far risalire la nascita della tradizione carnevalesca ai Saturnalia dell’antica Roma. Essi – come è noto – consistevano in un periodo di straripante euforia durante il quale le scuole erano chiuse, le liti di ogni tipo e le esecuzioni capitali erano sospese, gli affari erano rinviati e gli schiavi erano trattati alla pari dei padroni e addirittura potevano prendersi gioco di questi, potendo finanche abbigliarsi come loro. Altri, invece, hanno ritenuto che le manifestazioni carnevalesche, così come vengono celebrati ai giorni nostri, abbiano avuto origine nel Medioevo. Ma il senso profondo del Carnevale è stato svelato solo nel secolo scorso, in virtù dell’iniziativa teorizzatrice di eminenti studiosi, quale, in particolare, Michail Bachtin. Questi, con il fondamentale libro «L’opera di Rabelais e la cultura popolare», ha illustrato il mondo carnevalesco di Rabelais, fondato sulla « lingua originale e complessa del popolo che ride». Ha coniato la definizione di «realismo grottesco» per le immagini della cultura comica popolare, sottolineando la valenza positiva e innovativa del corpo così affrancatosi da ogni riferimento «basso» e materiale. La parodia, il rovesciamento di valori, i riferimenti agli aspetti corporei della vita, con la loro valenza rigeneratrice costituiscono i caratteri permanenti e universali del riso carnevalesco. Il Carnevale è la Festa Popolare per eccellenza, è la festa dell’Inversione. Come festa, è una pausa, una parentesi del tempo ordinario, cioè della quotidianità. E il rito simbolico dell’antiquotidiano. E’ il momento della gioia, della socializzazione esasperata e totale, dell’abbondanza e dello spreco.

Montemarano durante il Carnevale

Nel corso dell’intervallo carnevalesco, insomma, attraverso l’uso sfrenato del grottesco, i ricchi diventano poveri, i poveri si trasformano in ricchi; i potenti vengono sbeffeggiati per essere ridotti a servitori, gli umili si erigono al rango dei potenti. Perciò, la fase conclusiva del Carnevale si risolve in un parodico funerale e, soprattutto, nella lettura del ‘testamento’, che è e deve essere un documento di satira irriverente e di gradevole scurrilità. I Montemaranesi hanno esercitato e rispettato da sempre l’appena descritto spirito costitutivo della tradizione carnevalesca, fino al punto di far diventare – meritatamente – il Carnevale di Montemarano paradigma della cultura popolare, segnatamente carnevalesca.
Essi, infatti, hanno saputo introdurre e mantenere tratti originali, anche grazie all’autoctona Tarantella. Ad esempio, coerentemente con le regole del Mondo alla Rovescia ( icastico titolo del celebre testo di Giuseppe Cocchiara ) , hanno trasformato la figura giullaresca per antonomasia del «Pulcinella», nella maschera, completamente rivoltata, del «Caporabballo», riformulando il tipico costume napoletano con i segni distintivi del comando, quali il mantello e il bastone. Come andiamo ripetendo da tempo, contro ogni banalizzazione e vuoto stereotipo, il Carnevale di Montemarano è, forse, l’unico carnevale di partecipazione nel senso che non è uno spettacolo, non è una esibizione; ma è aperto all’«extraneus» , desideroso di immergersi per tre giorni e tre notti consecutive in un ritmo di disinibita deroga alle emozioni convenzionali.

I colori del Carnevale di Montemarano

A Montemarano non si viene per assistere alla sfilata di carri allegorici o di balletti organizzati. Il carattere trasgressivo è affidato al camuffamento e al movimento dei corpi delle ‘mascarate’. Una volta si lanciavano pure i confetti, come segno di benvenuto, di amicizia e di accoglienza. Il Carnevale Montemaranese è dunque – sotto il profilo antropologico – la sintesi del delirio dionisiaco tipico dei Saturnali con l’istanza di rivalsa popolare che è cominciata a maturare in epoca medievale. O, meglio, è un carnevale sinestetico, capace cioè di suscitare esperienze multisensoriali. La vista, infatti, è paradossalmente il senso meno (e comunque non l’unico ad essere) sollecitato. La sonorità pervasiva della Tarantella cattura allo stesso modo il Montemaranese e i suoi ospiti interessati alla contaminazione emotiva carnevalesca. Fissa e somministra il tempo della Festa, disegnando un flusso crescente di estasi profana dalle ore mattutine, dedicate alla meticolosa predisposizione dei costumi, fino all’ebbrezza sensoriale, propria della notte di baccanale. Le sfilate processionali partono ordinate e concentrate sotto la luce diurna del primo pomeriggio invernale, affettando la rutilante creatività delle maschere. Al crepuscolo, al contrario, assumono traiettorie sinusoidali, incontrollate e sinistre secondo la contraddittoria metamorfosi dionisiaca; confluiscono nei vicoli del centro storico, appropriandosi degli spazi dominati per tutto il resto dell’anno, invece, dalle numerose Chiese e dalle Immagini sacre. E’ questo il momento più coinvolgente e ineffabile del Carnevale montemaranese, quando gli occhi riescono a malapena a scorgere i pennacchi dei Caporabballi e il clarino impennato dai satireschi suonatori, non potendo più distinguere i costumi delle maschere dai rispettivi corpi impegnati in un movimento . E’ la fase della penombra, della soglia tra finzione e realtà, dell’ibridazione sensoriale, che solo alcuni quadri di Aldo de Francesco hanno figurativamente saputo afferrare, con accenti cromatici cremisi, quasi cruenti, ossia di sanguigna vitalità: «Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno», appunto! Già, perché la sinestesia del carnevale montemaranese è assicurata dall’Aglianico, che scandisce insieme alla Tarantella i tornanti della Festa sublimando e fuorviando tutti i cinque sensi.

Promontemarano all’EXPO di Milano nel 2015

La Tarantella, che pure nasce come danza contadina ispirata al ricorrente tema del corteggiamento, si è evoluta in una danza corale e processionale, connotata dalla costante ritmica del ‘dentro e fuori’, dell’avvicinamento/allontanamento la cui irresistibile musicalità si espande e si compie solo in ambienti acusticamente ristretti come i vicoli degli antichi borghi. Si sa che «tradizione» ha la stessa radice di «tradimento», derivando entrambe le parole dal verbo latino «tradere». Anche il Carnevale di Montemarano non sfugge al dilemma conservazione/innovazione. In proposito, la «Montemaranese» è stata grande protagonista delle «storiche» esibizioni dei Zompacardillo della Promontemarano ad EXPO2015 in Milano e al Museo dell’Arte di Vienna per la presentazione del Calendario Artistico Di Meo nel novembre 2016. Sono state due felici contaminazioni di cultura «alta» e «bassa», in particolare la seconda, che testimoniano della duttilità innovatrice e della capacità rappresentativa della Montemaranese. Non a caso i media raccontarono l’evento culturale viennese sottolineando con enfasi come «ad accogliere gli ottocento blasonati ospiti è stato un tocco di storia e cultura irpina: la tarantella di Montemarano». Non deve temersi la pausa imposta quest’anno dalla pandemia. La linfa vitale del Carnevale Montemaranese (e irpino) si riprenderà la Festa senza alcuno strascico. Piuttosto, i rischi di un progressivo snaturamento risiedono nella dimenticanza e nell’ignoranza del significato della tradizione carnevalesca in generale, e della sua declinazione montemaranese in particolare. C’è infatti da preoccuparsi seriamente, quando a organizzare una manifestazione del genere, il cui canone fondativo è la spontaneità popolare < dal basso > , sono proprio le istituzioni locali; quando l’esercizio della funzione simbolica delle maschere e delle parole carnevalesche tende a normalizzare il grottesco e a sterilizzare la satira e la burla; quando il riso carnascialesco è minato da uno stolido e sempre più diffuso conformismo, secondo cui non si può né scontentare né attaccare nessuno di coloro che impersonano il potere e che hanno influenza sociale; e quando, infine, si lascia di fatto morire il museo etno-musicale, ideato da Luigi D’Agnese, l’unico presidio culturale per la valorizzazione e la documentazione della tradizione carnevalesca monte maranese.
La recente introduzione del «guanto di sfida», il sabato che precede l’inizio dei cortei, è funzionale più alla spettacolarizzazione, che al senso proprio del Carnevale montemaranese.

Montemarano

Da molto tempo, poi, non viene più realizzata una intelligente e ironica raffigurazione burlesca, come quella concepita dal mai abbastanza compianto ‘Tonino Mezzacapo’ . Da vero erede dell’arguzia montemaranese ( cui ha attinto ampiamente il Basile per la stesura de «Lo Cunto de li Cunti»), lo stesso ebbe la sfrontatezza di mettere in maschera l’intero consiglio comunale in carica della prima metà degli anni novanta, composto da ben venti membri, rappresentando come una quercia («la cerza») l’allora Sindaco di infecondo corso ultratrentennale, e, come pecore, tutti i consiglieri di maggioranza, evidentemente non avvezzi al pensiero critico. Allo stesso modo, le disposizioni testamentarie di Carnevale moribondo da diversi anni vengono redatte e lette in maniera inintelligibile, banale e insulsa; sono prive di freddure e di qualsivoglia riferimento ai naturali bersagli della satira carnevalesca. Gli auspici sono dunque quello di poter – già dall’anno prossimo – celebrare il Carnevale di Montemarano; quello di approfittare della necessitata sospensione per riflettere sul pericolo di un suo insopportabile tradimento; e quello, più di tutti attuale, pronunciato da Don Cosè, l’emblema della “montemaranesità”: dare «spazio all’intelligenza!».


LEGGI ANCHE:

Positivi al coronavirus in Irpinia 24, con 5 a Morra e 4 a Montella. Morta 67enne di Avella. In Campania 1.274 casi

La Campania è zona gialla fino al 14 febbraio. Dpcm, stop mobilità tra regioni fino al 15. Le regole

 

 

ARTICOLI CORRELATI