“L’estate dell’incanto” di Francesco Carofiglio

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia il volume del 2019 edito da Piemme dello scrittore, architetto e illustratore italiano

“L’estate dell’incanto” di Francesco Carofiglio. L’estate del 1939, l’inizio della Seconda guerra mondiale, una linea di confine tra due vite, densa di ricordi indelebili per la protagonista Miranda, che vive la sua infanzia andando a trovare il nonno in campagna, in quella grande casa, Villa Ada, in cui c’è tanto silenzio. Era come se in quella famiglia ognuno vivesse in un mondo a sé stante, senza nessuna traccia di sorriso sui loro volti: il nonno dipingeva tutto il giorno, la madre di Miranda era sempre impegnata per commissioni, la governante Elda, la trattava con indifferenza. Nei suoi ricordi di bambina,  vi era una “abitudine all’essenziale”, tutto era eseguito secondo un certo ordine, persino durante il pranzo i contatti erano limitati a piccoli gesti e all’assenza di parole. La porta del laboratorio del nonno in cui egli si ritirava a dipingere, era sempre chiusa e quando Miranda, spinta dalla curiosità, vi entra di nascosto, si vede circondata da quadri di animali, che incutono paura. Esse sono la rappresentazione delle sue paure inconsce, raffigurate sulla tela, completamente diverse dalla serenità che prova durante le sue scorribande per la campagna con Lapo, nipote del fattore del nonno, a cui lo lega una profonda amicizia, forse l’unica della sua vita. Lapo le fa vivere tante avventure, la porta nella Foresta delle Creature Parlanti, a contatto con i suoni della natura e Miranda impara a sentire “il ruscello che ride” e questa realtà le regala un senso di serenità. Nella casa del nonno, invece, si sente come una bambina invisibile, avverte il distacco emotivo tra la mamma e il nonno, ma il suo disagio più profondo nasce dalla figura assente di suo padre, mai in realtà chiaramente spiegata, ma nascosta dentro di sé e rivelata attraverso gli innumerevoli quaderni pieni di minute indirizzate a lui, conservate gelosamente nei cassetti, alla ricerca continua della sua presenza e del suo affetto.

Miranda è consapevole di “aver attraversato le vite e di aver visto il mio corpo invecchiare” e i suoi incontri con le sue amiche Carolina e Nives sono densi di rimpianto, “mi mancheranno i libri mai letti”,  ma anche di una incredibile voglia di vivere, per recuperare in un certo senso gli anni di solitudine che ha vissuto. Non si rende conto di quale sia il suo tempo, se quello presente o quello perso nella nebbia della memoria e si sente “in equilibrio su una vita infinita e appartengo a quello che è andato”. Attraverso il ricordo dell’infanzia, , “l’ultima cosa che terrò con me è l’odore delle cose” rincorre le immagini di un’altra vita, va indietro nel tempo, ai suoi segreti, alle paure, rivede quel “sipario rosso che nasconde un segreto” nel laboratorio del nonno, avverte quella sorta di “sospensione dei sensi” che aleggiava tra i fantasmi delle vite trascorse. Era difficile decifrare le emozioni sul viso del nonno, egli era desideroso di parlare, di ascoltare, ma incapace di farlo; la scoperta della passione per la pittura li avvicina in qualche modo, egli la spinge ad esprimersi attraverso il disegno e la bambina si sente finalmente apprezzata. Sua madre va via per alcuni giorni e Miranda riscopre il contatto con il nonno che le rivela alcuni episodi della sua vita e accenna al suo più grande dolore: la morte di Lorenzo, suo fratello, che si è tolto la vita.

Alla fine Miranda e sua madre saranno costrette a lasciare la casa del nonno, che per la bambina è ormai divenuta familiare: tra lei e il nonno si crea un patto invincibile perché egli, nonostante i suoi silenzi e la sua apparente indifferenza, ha compreso tutti i suoi segreti e il timore che la bambina prova per Luana, la Tigre del Nord, una sorta di immagine delle sue paure più profonde. Il ritorno in quella casa, dopo la guerra, è denso di emozione  e Miranda, ormai grande, nota il suo ritratto dietro l’immagine della tigre, un regalo del nonno, un ponte tra le loro vite che egli ha tracciato attraverso le pennellate sulla tela, come un ricordo indelebile.

A cura di Ilde Rampino

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