“Il colibrì” di Sandro Veronesi

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia il libro vincitore del Premio Strega 2020 assegnato lo scorso luglio. Con questo lavoro lo scrittore incassa per la seconda volta il più importante e ambito premio letterario italiano

“Il colibrì” di Sandro Veronesi. Un libro in cui si sviluppano varie vicende intorno alla figura del protagonista, Marco, un uomo che vive un disagio e nasconde una sofferenza interiore che rimanda alla sua fanciullezza, quando veniva chiamato “colibrì”, perché era molto piccolo di statura, ma anche delicato nei lineamenti e veloce: in realtà prendeva tutt’ad un tratto decisioni improvvise, spesso non valutando le conseguenze. La sua vita in famiglia era segnata da estrema solitudine, poiché si rendeva conto dei silenzi che intercorrevano tra i suoi genitori e non si sentiva sostenuto dall’affetto dei suoi fratelli Giacomo e Irene, né era coinvolto nella loro vita. Era come se ognuno di loro fosse racchiuso nel proprio mondo e non volesse che gli altri vi prendessero parte. Il rapporto con Duccio “l’Innominabile”, chiamato così perché si diceva che portasse sfortuna, era improntato a una serena amicizia ed egli lo difendeva, quando si facevano allusioni sul suo conto. Egli tuttavia lo frequentava, accettando in un certo senso la “teoria dell’occhio del ciclone”, avanzata dai suoi coetanei, secondo cui, standogli molto vicino, non lo avrebbe colpito – una prova è il disastro aereo da cui si salva. Marco deve fronteggiare molti problemi, come il difficile rapporto con sua figlia Adele, che, a un certo momento della sua crescita, vive un particolare disagio: percepisce un filo immaginario che le impedisce il contatto con gli altri e che la costringe a camminare rasente ai muri, è una sorta di gabbia che si è costruita e che per lungo tempo la pone in una situazione di estrema difficoltà. Un colloquio con uno psicanalista, nei cui confronti Marco pone tuttavia poca fiducia, gli consiglia di riallacciare un rapporto più profondo con sua figlia, che la porterà pian piano a liberarsi da quella “rete” in cui si è avviluppata la sua vita.

La sensazione perenne di tristezza che diventa la cifra distintiva della vita di Marco è la conseguenza della serie di problematiche o eventi tragici che coinvolgono i suoi affetti più cari, come quello di sua sorella Irene che si lascia andare tra le onde trovando la morte, forse a lungo inconsapevolmente cercata o la malattia di sua moglie Marina che sembra allontanarsi dalla propria vita, rifugiandosi in mondo tutto suo. Marco allora inizia una sorta di relazione con Luisa, che conosce da tempo, ma i loro sentimenti, spesso espressi attraverso le lettere, non riescono a creare un vero e proprio rapporto, che si rivela fragile ed è messo in pericolo dall’attrazione che anche Giacomo, suo fratello, comincia a provare verso di lei e con cui Marco avrà contrasti anche per la vendita della casa paterna, poiché egli vorrebbe disfarsi di tutto, persino della “collezione Urania del padre”, che per Marco rappresenta quasi un simbolo della sua famiglia.

Un momento di apparente serenità si avrà quando sua figlia Adele aspetta un bambino, che lei è convinta sarà “l’uomo nuovo”, ma in realtà è una bambina e la chiamerà Miraijin. Ne tace la paternità, ma per lei quell’esserino rappresenta una sorta di faro per un reale cambiamento. Marco accetta, anche se a malincuore, la scelta della figlia, si legherà moltissimo a Miraijin e quando egli dovrà subire un ennesimo lutto, la morte di Adele in un incidente, sarà proprio la bambina a dargli coraggio, mentre se la porta sempre dietro nei suoi spostamenti, facendola riposare in un’amaca per bambini che un amico gli ha regalato. Marco è come il colibrì, sta fermo, mentre intorno a lui tutto gira e si trasforma, poi ad un tratto egli fa qualcosa di eclatante come rinunciare ad una vincita favolosa. La sua esistenza è cambiata: egli e sua nipote hanno un piccolo neo tra il mignolo e l’anulare della mano destra ed è proprio quello che lei sfiora negli ultimi momenti, quando Marco, gravemente malato, decide di rinunciare alla vita, aiutato dall’infermiere e avendo tutte le persone amate intorno a sé. Negli ultimi momenti, non si sente più solo e disperato, ma si affida ai ricordi e si chiede: ”Quante persone sono seppellite dentro di noi? “, lasciando tracce nella nostra anima.

A cura di Ilde Rampino

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