“L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcia Marquez

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia uno dei più celebri romanzi dello scrittore colombiano insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982

“L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcia Marquez. Un amore durato più di cinquant’anni, o meglio, “cinquant’un anni, nove mesi e quattro giorni”, che Florentino Ariza provava per Fermina Daza; né il rifiuto del padre di lei, né l’iniziale indifferenza della donna, dietro cui tuttavia si celava un’ardente passione, né il suo matrimonio con il dottor Juvenal Urbino lo avevano potuto scalfire in qualche modo. Florentino, la cui immagine dimessa lo faceva apparire più vecchio della sua età, anche perché egli si sentiva diverso dagli altri e quasi invisibile al mondo, aveva per anni relegato questo amore nel suo cuore, appena offuscato tra le brume del ricordo, e lo aveva tenuto vivo attraverso innumerevoli lettere e biglietti indirizzati alla sua donna. Per un breve periodo il suo amore corrisposto gli aveva dato una certa sicurezza e forza.

La scoperta della loro tresca da parte di Lorenzo Daza, padre di Fermina, che era ancora una ragazzina, aveva provocato l’allontanamento della zia Escolastica, che l’aveva protetta e aiutata, ma ciò era stato considerato un castigo ingiusto da Fermina che aveva causato contrasti con suo padre che, irremovibile, la costrinse a partire “per un viaggio nell’oblio” e lei si tagliò la treccia e la mandò a Florentino, unita a una lettera, per rappresentare un distacco e una sorta di pegno d’amore. La determinazione di Florentino nel vivere a tutti i costi questo suo sentimento, lo spingeva a seguirla senza farsi vedere e, con l’aiuto di Hildebranda, cugina di Fermina, faceva di tutto per restare in contatto con lei, cercando il tesoro del galeone scomparso per conquistarla, o immergendosi nella lettura delle sue missive nel faro, eletto a suo rifugio d’amore. Florentino osservava la sua amata che “navigava nel disordine della via con una sua dimensione e un tempo diverso”, a causa dell’alterigia del suo modo di camminare, si avvicinava alle bancarelle del mercato e giocava a comprare, immergendosi  negli schiamazzi , ma Florentino  giudicava sbagliato questo suo atteggiamento, perché ”questo non è un buon posto per una dea incoronata”. Fermina è volubile, vuole sentirsi libera e ciò la porta a rifiutare l’amore di Florentino con una frase: ”se lo dimentichi” e gli chiede di restituirle le lettere e poco tempo dopo accetta la corte del dottor Juvenal Urbino, chiamato da suo padre perché egli teme che sua figlia possa aver contratto il colera, ma il medico, osservandola, afferma con naturalezza: ”Lei sta come una rosa appena sbocciata”. La rovina economica del padre spinge Fermina ad accettare il matrimonio con il dottore, anche se, nei suoi momenti di malinconia si rende conto che Florentino Ariza “era l’unica cosa che le fosse accaduta nella vita”. Egli si crogiola nel dolore per aver perso Fermina e continua a scriverle, ininterrottamente e quando la incontra, al braccio di suo marito, si accorge che lui e il dottore “erano vittime di uno stesso destino” e che Juvenal Urbino sarebbe dovuto morire, perché Florentino fosse felice.

Nonostante le sue relazioni con tante donne, alcune delle quali, liberatosi delle gramaglie della vedovanza, si abbeveravano agli istinti della passione sensuale, o addirittura ragazzine solo apparentemente innocenti, in cui non vi era quasi traccia di sentimento, Florentino si considerava il marito eterno di Fermina, infedele ma tenace nel ricordo. La casa abbandonata dal padre fornisce alla donna un rifugio in un momento difficile della sua vita matrimoniale, quando si trova ad affrontare un tradimento del marito e la trasforma in “un santuario del passato”. Juvenil Urbano provava per Fermina un profondo sentimento, che tuttavia aveva espresso poche volte, per una naturale ritrosia, ma col passare del tempo si era reso conto che “la parte di amore che lui voleva era quella che lei aveva dato ai figli ed egli imparò ad essere felice con i residui”. La sua spontanea rivelazione del tradimento le fa improvvisamente capire che lei stava vivendo “una vita prestatale dal marito” e decide di partire.

La morte accidentale di Juvenal Urbino, per una caduta da un albero per afferrare un pappagallo,  turba Fermina, che comincia a disfarsi di tutto ciò che le ricordava il marito, accumula oggetti e poi d’un tratto li brucia, perché si sente come un leone in gabbia, alla ricerca di una propria dimensione che forse in realtà non aveva mai avuto. Attraverso le pieghe del suo dolore, ripensa al giorno del funerale di suo marito, quando aveva rivisto, nella sala piena di gente che era venuta a testimoniare la stima nei confronti di quel medico insigne, Florentino Ariza, che le si era avvicinato e aveva pronunciato il suo “giuramento di fedeltà eterna e il suo amore perenne” e si rende conto che la voglia di dimenticarlo era lo stimolo più forte per ricordarlo.  Il loro incontro, tempo dopo, aveva rappresentato qualcosa di diverso: era come “ il ricordo di due giovani di cui avrebbero potuto essere i nonni”. Nonostante i pregiudizi degli altri, su suggerimento di Florentino, Fermina intraprende il suo primo viaggio lungo il fiume: è il loro primo viaggio insieme, stando in silenzio e fumando, tenendosi per mano anche se le “loro ossa erano ormai vecchie”. Osservando l’uomo che amava, che aveva lasciato gli abiti, grigi e dimessi di una volta e appariva in modo più luminoso, Fermina comprende che egli era stato sempre accanto a lei, ma lei non l’aveva “riconosciuto”. Issata la bandiera gialla del colera,sulla nave, per evitare ispezioni, quel viaggio diventa solo per loro due e lei finalmente si sente serena, per la prima volta, perché comprende che erano giunti all’essenza dell’amore.

A cura di Ilde Rampino

ARTICOLI CORRELATI