Da Napoli a Calitri per studiare sartoria da Caruso

"LA MODA NON SI FA EMIGRANDO MA CON IDEE, LAVORO E BREVETTI". Intervista all'artigiano che ha reinventato il jeans classico ridisegnandone lo stile puntando sulla qualità e l'innovazione dei materiali. Le sue creazioni vestono i personaggi del cinema e della fiction dalla Rai a Netflix ma non si è mai spostato dall'Irpinia. Ecco perchè...

Da Napoli a Calitri per studiare sartoria da Caruso. Ritrova nelle Aree Interne il suo protagonismo l’artigianato della moda, quello che negli anni d’oro della “dolce vita” e dei colossal hollywoodiani a Roma si forgiava nelle botteghe, prima di affermarsi come atelier. Salvatore Caruso è l’artigiano di Calitri che ha trasformato l’antica sartoria di suo padre in concept store dei capi in jeans e cotoni pregiatissimi particolarmente apprezzati da Netflix. Ha traghettato il laboratorio fondato da suo padre prima del terremoto del 1980 nell’era della digitalizzazione e della internazionalizzazione senza muoversi dal suo paese. Esprimendo il suo estro creativo e la sua visione dell’artigianato artistico, spiega ai giovani che nella valigia è meglio mettere idee e brevetti, per uscire la mattina decisi, tornando la sera esausti ma soddisfatti. Ad oggi, il suo “Nelle grandi fauci” è un simbolo della capacità produttiva delle Aree Interne e dimostra che è possibile “fare impresa” anche in zone di montagna, e indipendentemente dai finanziamenti pubblici. Una rivoluzione culturale dirompente se pensiamo alle misure appena adottate dagli amministratori comunali di concerto con Asi e Regione Campania sull’ampliamento dei benefici delle Zone Economiche Speciali alle aree Pip coinvolte. “Calitri non è più un distretto tessile, come è stato connotato nel post sisma: tutto era legato alla presenza della CDI e di altre aziende che si occupavano dell’indotto. Le piccole aziende come la mia possono contare solo su loro stesse, e l’adesione ai programmi di incentivo rappresentano solo un enorme perdita di tempo” commenta.

Le grandi fauci, il Jeans di Calitri firmato Salvatore Caruso

L’azienda di Salvatore Caruso affonda da lontano le sue radici. “Mio padre era un sarto e aveva una sartoria molto tempo prima del distretto tessile. Io invece nasco con un piccolo negozio di abbigliamento, indipendente da mio padre ma con un bagaglio di esperienza già maturata nel suo laboratorio. Sono diventato cliente di mio padre, ma quando lui è andato in pensione ho deciso di assumermi la responsabilità della sua attività, con una visione diversa: nel 2007 ho creato il mio brand e da allora c’è stata una continua evoluzione” racconta. Oggi l’azienda artigianale di Salvatore Caruso conta due dipendenti, collabora con ragazzi per le tesi di laurea, insegna ad un corso di sartoria artistica a Napoli e ha aperto le porte a progetti di alternanza scuola-lavoro. Il legame con il contesto territoriale è la base delle sue creazioni: “Il nostro marchio è la mucca, che per noi rappresenta l’Irpinia” spiega.

Nelle Grandi Fauci, Calitri

Avendo la connotazione di produzione artigianale artistica, l’azienda lavora su nicchie di clienti. Il core business è il jeans cimosato, ovvero prodotto su vecchi telai degli anni ’60 che venivano utilizzati prima del lavaggio artificiale. Viene lavorato con tinture naturali, come i reflui del vino e i fondi del caffè, ed ha avviato una importante collaborazione con due aziende del distretto della concia di Solofra, per l’uso delle conce naturali (cortecce di albero utilizzate per la concia delle pelli) per i finisaggi. “Si tratta di un processo lungo costoso e laborioso, ma è naturale e non prevede l’utilizzo delle sostanze chimiche usate per accelerare i processi” argomenta. La sua azienda infatti, insieme ad un’altra di Amsterdam, è l’unica in Europa ad adottare questo metodo per la lavorazione dei tessuti. “Siamo molto attenti all’ambiente e al rispetto della natura: basti pensare che sono necessari 150 litri d’acqua per lavorare un pantalone, mentre noi lo mettiamo in freezer per evitare lo spreco d’acqua. Collaboriamo con l’università sul fronte della ricerca e dell’innovazione, e Netflix ci ha affidato il secondo lavoro che uscirà ad aprile.

Netflix, il logo

Puntiamo molto sull’ecologia e sulla produzione naturale e questo è sicuramente un ulteriore elemento a nostro vantaggio che porta qui i giovani da Napoli”. Il laboratorio è anche un punto vendita, che per ragioni di marketing è stato definito “Concept store”, ovvero un ambiente unico nel suo genere che narra l’esperienza e la sapienza della tecnica sartoriale tramandata da suo padre, e l’estro artistico che costruisce la cifra del prodotto finale. “Utilizziamo macchine a pedale e il nostro ‘fatto a mano’ è declinato in chiave contemporanea. Il nostro lavoro è una continua sperimentazione, come i jeans da lavoro usurati che sono stati fatti indossare ai muratori e ai contadini per testare soluzioni di resistenza. Poi c’è anche il lato artistico visibile nelle fodere, di riciclo e colorate. Senza contare che ho partecipato a mostre e ad eventi culturali” continua. Dal denim cimosato, Caruso cuce anche giacche e abiti su misura. Ha appena esposto un giubbotto lavorato con tessuti del Massaua, un cotone eritreo nobilizzato, per farne tute da metalmeccanici, con un gilet all’interno lavorato con le coperte militari russe, che consentono di resistere ad una temperatura fino a meno 20 gradi. “Dietro le mie lavorazioni e le mie creazioni c’è sempre un principio e una filosofia di vita. Ho dedicato molto tempo allo studio e spesso penso che se avessi voluto fare l’imprenditore avrei fatto scelte diverse nella vita: i numeri non mi interessano, io creo per altri motivi e oggi sono ampiamente soddisfatto perchè posso constatare l’apprezzamento di stilisti famosi che copiano le mie cuciture”.

Una suggestiva vista di Calitri

In Irpinia possibile scommettere sull’artigianato. “L’Irpinia è un buon laboratorio culturale per l’artigianato, le risorse ci sono. I ragazzi arrivano qui da Napoli per imparare la sartoria e Calitri riserva quella tranquillità che consente di immergersi nello studio. Gli artigiani invece, dovrebbero evitare di rincorrere kimere sui fondi pubblici, e organizzarsi autonomamente se davvero vogliono realizzare il loro sogno e lavorare con passione. Se ci fosse una cabina di regia provinciale sul comparto, dovrebbe investire sulla promozione e sgravare le piccole aziende di costi altissimi che ad oggi non tutti possono permettersi. Si continua ad investire solo sul vino e sui prodotti tipici, ma l’Irpinia è anche altro e anche un’azienda come la mia può creare visibilità ad un territorio e fare da cartina di tornasole per turisti e curiosi. Tutto dipenderà dalla capacità del territorio stesso di affidare la regia a persone del posto che abbiano esperienza e contezza delle potenzialità da rendere spendibili”. L’internazionalizzazione, così come la valorizzazione e la promozione, resta un nodo su cui è necessario investire. “Dall’internazionalizzazione siamo davvero lontani, e posso dire che i contatti che ho creato all’estero li ho costruiti da solo e a mie spese. Anche i percorsi di finanziamento previsti dai bandi regionali prevedono meccanismi sbagliati che non vanno in aiuto delle piccole imprese artigiane. Sarebbe utile organizzarsi in Associazione Temporanea di Scopo con sistemi snelli oppure fare quadrato intorno a Confartigianato, a cui sono iscritto e che cerca di sostenere al meglio le imprese”. Altro gap da colmare è la manca registrazione del marchio da parte delle aziende artigiane. “Non c’è ancora lo scatto culturale che ci serve per compiere il passo successivo e dare all’artigianato l’impalcatura di settore economico e produttivo: fra 20 anni non ci saranno più artigiani e bisogna fare presto”. Le aspettative nei confronti delle Zes e dei benefici annunciati dal Protocollo d’Intesa per lo Sviluppo non sembrano particolarmente entusiasmanti. “Il risparmio ipotetico dell’Irpef non risolverà i problemi degli artigiani, nè delle piccole imprese. Ci vorrebbero incentivi diretti. Io stesso ero nel contratto d’aria e avevo soltanto collezionato faldoni di carte in quantità, senza avere ottenuto niente. L’impresa deve partire dal basso, non ha niente a che vedere con i fondi pubblici” conclude.


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