L’Albergo dei poveri di Tahar Ben Jelloun

LA LETTURA. Questo libro è un viaggio per allontanarsi da qualcosa che lo rende insoddisfatto, contrariato nei confronti di una vita in cui le proprie ambizioni sono frenate e si ha il segreto desiderio di vivere una grande passione

L’Albergo dei poveri di Tahar Ben Jelloun è un viaggio per allontanarsi da qualcosa che lo rende insoddisfatto, contrariato nei confronti di una vita in cui le proprie ambizioni sono frenate e si ha il segreto desiderio di vivere una grande passione. Un’esistenza basata sull’accettazione di norme che la regolano, soggetta alle decisioni degli altri, mentre egli si sente “invaso” dalla presenza della famiglia della moglie e la mancanza di attenzione nei suoi confronti lo ha reso ormai un’ombra agli occhi degli altri e di se stesso. E allora la decisione di abbandonare la sua terra, il Marocco e di partire per Napoli per raccontarla. Lo accoglie una città brulicante di rumori e suoni, sconosciuta e irreale, piena di luci e ombre. E l’Albergo dei Poveri, edificio “mostruoso”in cui si annidano i segreti e le ombre di una città indescrivibile, rappresenta un microcosmo di varia umanità, il ricettacolo di qualsiasi cosa, una sorta di corte dei miracoli, di cui la Vecchia costituisce l’elemento cardine attorno a cui si intrecciano le varie vicende e i vari personaggi, come Gino o Momo, esseri alla ricerca di una propria identità. La Vecchia è “un sacco pieno di storie”, aiuta tutti e viene a contatto con ogni genere di persone e conserva le parole degli altri in “scatole di cartone” per riempire la propria solitudine e per “liberarle dal fardello che le grava”. Incarna tutti i contrasti di una “città con tante facce”, la miseria e la risata di Napoli. Sente che deve liberarsi della sua storia e comincia a raccontare la sua parabola discendente da un’esistenza piena di lussi alla schiavitù di una passione “intensa e bruciante” in cui a poco a poco forse consapevolmente si perde, sprofondando nella miseria e abbandonandosi a una vita di stenti. L’Albergo dei Poveri diventa il solo rifugio, l’unico baluardo contro la disperazione, in cui accorrono “scarti umani” e “rottami di vita”, privi ormai di dignità. Il disagio che sconfina con la nausea del protagonista a contatto con una realtà assolutamente diversa fa scaturire in lui qualcosa, egli comincia a cambiare impercettibilmente e ad immaginare “una vita al contrario” per ritrovare la libertà di essere se stesso, trasformando anche i sentimenti verso sua moglie e anche la sua immagine. Il loro rapporto era scandito dal silenzio- “le parole circolavano tra noi senza mai incontrarsi” – e decide di scriverle, dandole un altro nome “Ouarda”, che significa “fiore” ad esprimere una sorta di contrasto con l’aridità del suo carattere. Nelle storie di cui la Vecchia è la custode silenziosa, si percepisce una profonda solitudine, in cui le vite spezzate sono il risultato dell’amore inteso come follia. Il desiderio di vivere pienamente fino all’ultimo rimpianto per la fine di ciò che si credeva un grande amore, lottando continuamente contro i vecchi demoni fa comprendere che “col destino non si discute” e che “essere povero vuol dire non essere amato”. Il dolore muto che il protagonista percepisce nel viso pieno di rughe della Vecchia, ma in cui lo sguardo è ancora vivo e intenso fa nascere in lui il bisogno di raccontare la sua storia, il sogno di una donna sconosciuta solo per lettera, che rivela tuttavia le cicatrici della sua anima. Egli, per paura,  trasforma la realtà in finzione, costruisce una storia immaginaria con Isa e, lasciandosi coinvolgere dalle storie degli altri, diventa anch’egli “un mercante di sogni infranti”, finchè attraverso l’incontro con Ava è come se le donne immaginarie si concretassero in lei. La Vecchia, simbolo di un’umanità intensa, viene alla fine festeggiata, con amore e vitalità, circondata da relitti umani che improvvisamente fremono di vita nascosta, con la testa piena di frammenti di sogni. Quando il protagonista tornerà al suo Paese, scoprirà che niente è cambiato: invece in lui è avvenuta una metamorfosi, che ha le proprie radici nell’insegnamento trasmesso dalla Vecchia, “luce di una stella cadente”. E’ come se il passato rifluisse nei pensieri e a volte l’immaginazione di riveste di volti sconosciuti, di incontri sbagliati e le storie si intrecciano, fino a formare una ragnatela di sentimenti, ammantati di mistero.

Ilde Rampino

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