Mariangela Capossela: ripartire dai rapporti umani. Lo Sponz Fest?
Un tramite tra la gente

L'INTERVISTA ALLA CURATRICE DI SPONZ-ARTI. Nata a Milano e cresciuta in Emilia, residente in Francia ma innamorata di Calitri e dell'Alta Irpinia "luoghi dove occorre ritrovare la vis salvatica", spiega.

Calato il sipario e spente le ultime luci sul palco da circa un mese, l’edizione 2018 dello Spozfest continua ad animare il dibattito: sull’integrazione degli ospiti dei centri Sprar altirpini, sulla capacità delle arti di aggregare popoli diversi e le comunità, ma anche sui progetti di respiro turistico che guardano ai grandi attrattori culturali e al riutilizzo delle stazioni ferroviarie dismesse. Il parterre di ospiti di Vinicio e Mariangela Capossela hanno lasciato impronte rilevanti e solcato tracce che potrebbero rivelarsi determinanti nei prossimi mesi. Da Giusy Nicolini a Marcello Fonte, da Angelo Branduardi a Tonino Carotone, dai riti e le tradizioni millenarie dei Mapuche ad Alfio Antico, la settimana agostana dedicata ai “salvataggi dalla mansuetudine” ha prodotto la sua eco. “Il mondo non è come è, ma come lo raccontiamo” ha sintetizzato il cantautore e direttore artistico della rassegna calitrana Vinicio Capossela all’Abbazia del Goleto di Sant’Angelo dei Lombardi. Quindi abbiamo chiesto A Mariangela Capossela, ideatrice di Sponzarti la narrazione delle grandi contraddizioni di questo mondo che sono venute fuori attraverso la lente del cinema, del teatro e dell’arte contemporanea.  “Quello che rimane è la restanza, il desiderio di agire e di fare, che chiama in causa ognuno di noi” ha spiegato.

Mariangela Capossela, la recente edizione di Sponzarti ha focalizzato il dibattito su uno dei temi più dibattuti dall’antropologia e dalla sociologia moderna: la corruzione della cultura della società che ha costruito robuste gabbie e pesanti filtri, e la sopravvenuta necessità di una ri-umanizzazione, fino alla primordialità. Su questo tema si sono alternati a Calitri accademici, artisti internazionali, istituzioni e scrittori. Qual è l’eredità che ha colto da questi confronti?

Lo Sponz 2018 “Salvagg’ salvataggi dalla mansuetudine” pensato da Vinicio Capossela ha aperto un ampio territorio di possibilità. Reinventando alcuni luoghi dell’Alta Irpinia in queste sei edizioni, lo Sponz ha messo in valore i caratteri salienti di un’identità “ostica” (perché poco conosciuta) che in quel suo essere “salvaggia” ha le risorse per scuotere dalla mansuetudine. Non è una cosa di poco conto. E’ importante anche se si iscrive in una dimensione simbolica e in un evento effimero, poiché senza questi elementi che possono apparire labili, la realtà non può reinventarsi. Lo Sponz è una miracolosa congiunzione di visionarietà e di spirito selvatico, tanto nell’ideazione che nella realizzazione. Penso che mai come in questa edizione questi due elementi si siano sposati così bene e nutriti vicendevolmente raggiungendo apici di riuscita”.

“La restanza è il desiderio di agire e di fare, che ci chiama in causa”

Qual era l’obiettivo di Sponzarti?

“Sponzarti si è proposta di cercare il selvaggio che è in noi o che è nell’altro da noi, annunciandolo nel titolo provocatorio “Selvaggio, io o tu?” servito inizialmente a lanciare il bando di selezione per gli artisti. In effetti, in questo momento storico “pensare l’altro” appare come una dinamica che si è inceppata. E se l’io non esiste senza l’altro le conseguenze identitarie, come si sente dire tutti i giorni, sono alla deriva nel senso figurato ma purtroppo anche nel senso proprio dell’espressione. Lasciando l’altro alla deriva, è la struttura primaria dell’io che naufraga. Lasciando in silenzio tutta la retorica sull’umano che facilmente si impregna di ideologia che, nel tentativo di riaffermare l’umano, finisce per cancellarlo, ripartiamo dall’io: cosa faccio io quando ti parlo? Cosa faccio per la strada quando ti incontro? I social che invadono il quotidiano di tante persone, ci sgravano da questa responsabilità del confronto dell’io rispetto all’altro, perché l’altro sul social non è più un essere umano intero e integro. L’intero progetto di Sponzarti mirava a creare questo confronto e ogni opera ha restituito non solo un oggetto estetico, bensì una dinamica di interazione plurima tra i luoghi e gli abitanti”.

Il bando di selezione degli artisti aveva questa finalità: unire attraverso l’arte, culture e pensieri differenti, che pur vivendo sullo stesso lembo di terra, quasi mai si incontrano su un unico terreno di convivialità e condivisioni.

“Lo Sponzfest in questo territorio un po’ dimenticato e abbandonato (non solo dai politici ma anche dalle persone – con un problema notorio sulla responsabilità) ha la ricchezza di creare delle reali situazioni di incontro tra persone che in carne ed ossa sudano ballando, scambiano idee, partecipano ai dibattiti, offrono la loro disponibilità per la riuscita della manifestazione alimentando l’energia del festival, che va così ben oltre un’idea artistica ed una fruizione passiva. Questo confronto contagioso è altrettanto forte tra gli invitati, artisti o partner istituzionali. Per rispondere alla domanda sull’eredità (dato che il Festival non è ancora morto), mi piace pensarlo nei termini di quel che resta, che fa pensare al neologismo di Vito Teti col quale si designa uno dei pensieri più interessanti che si sono diffusi allo Sponz, la restanza. Quello che rimane è, a mio sentire, il desiderio di agire e di fare, dunque un altro elemento che appartiene alla sfera della transitorietà e che per questo chiama ognuno di noi in causa. Un’eredità più aperta che mai, e non solo agli artisti”.

“La collaborazione con i Centri Sprar è stata un’esperienza altamente positiva. Ho incontrato professionisti impegnati, capaci e dinamici. Grazie a queste persone gli Sprar sono integrati col territorio”

‘Adamo ed Eva’ di Mariangela Capossela 2018 – Foto Giuseppe Di Maio

Lei ha collaborato con i centri Sprar dell’alta Irpinia. Quanto queste realtà si sono integrate col territorio?

“La creazione di cinque Centri di accoglienza in un perimetro ristretto e nell’arco di pochi anni mi sembrava un dato molto interessante e imprescindibile nella riflessione sui movimenti migratori di cui sono figlia. Nella città in cui vivo, lo “straniero” è invisibile, si confonde nella folla multietnica, ma non si confonde certo nell’organizzazione sociale che pratica impietosamente e in modo dissimulato esclusioni a tutti i livelli, da quelle razziali a quelle di genere a quelle di ceto, che sono forse le più sostanziali. Nella campagna irpina, il richiedente asilo è innanzitutto una persona che spicca nella sua diversità visiva: quella del colore della pelle che fa di lui uno straniero di un’altra razza e articola senza mezze misure l’alterità come alterità radicale. Volevo misurare questa distanza apparentemente insanabile e osservare l’opera dell’arte nel suo lavoro alchemico. La collaborazione con i Centri Sprar è stata un’esperienza altamente positiva. Ho incontrato professionisti impegnati, capaci e dinamici. Grazie a queste persone gli Sprar sono integrati col territorio perché funzionano bene e assolvono egregiamente al loro compito. Ma l’integrazione delle persone ospitate dagli Sprar è cosa ben più complessa del funzionamento di una struttura. L’integrazione è un processo che può realizzarsi solo se intercorre nei due sensi di chi arriva e di chi accoglie: uscito dalla porta dello stabile del Centro, l’Ospite deve entrare in contatto col mondo circostante. Questo è un compito che il Centro non può assolvere da solo. Entrano infatti in causa ben altri fattori paralleli ad un’organizzazione che sono legati alla dimensione simbolica dell’identità. Ed è questo un territorio in cui l’arte ha tutte le chances di poter prendere in conto e trasformare. Se solo avesse più occasioni di farlo”.

La fotografa Francesca Zagni durante la realizzazione di ‘Radici’. SponzArti 2018 – scatto di Giuseppe Di Maio

Quali sono gli aspetti che a suo avviso devono essere migliorati?

“Credo che vada potenziato questo esercizio di uscire ed entrare dal Centro per incontrare il mondo circostante e viceversa, in modo da preparare l’uscita dal sistema di protezione da ambo le parti. Per i minori è relativamente più semplice perché la scuola dà reali occasioni di incontro su diversi piani. Per gli adulti è più problematico, ma non per questo impossibile”.

“Giusi Nicolini è una persona straordinaria, un vero esempio a cui ispirarsi per trovare la motivazione civica, l’energia e per cogliere la banalità non del male bensì dell’impegno”

Fra gli ospiti dello Sponz di quest’anno c’è stata Giusi Nicolini, un riferimento per le politiche di accoglienza che inquadrano strategicamente il ruolo dell’Italia. Cosa le ha lasciato questo personaggio?

“Giusi Nicolini è una persona straordinaria, un vero esempio a cui ispirarsi per trovare la motivazione civica, l’energia e per cogliere la banalità non del male (come recita un titolo sul nazismo di Hannah Arendt) bensì dell’impegno. Per lei le cose tornano ad essere quello che sono “banalmente”, cioè semplicemente: non si può lasciare morire l’altro, non si può non prestare soccorso, non si può non accoglierlo. La forza del suo esempio sta nell’azione e non nella retorica. E questo dato, in questo momento di pura propaganda fondato solo su parole vane, cambia radicalmente la prospettiva di come approcciare l’immigrazione. Purtroppo oltre la spinta del suo esempio, rimane anche tutta la frustrazione e l’impotenza di fronte a chi detiene il potere”.

“Quel mare non esiste” di Voltolina-Scarlatella-Manfredi. Riscrittura selvaggia de “La tempesta” di W. Shakesperare

Lo Sponzfest, e la sezione Sponzarti concorrono alla crescita dell’intero territorio, dal punto di vista dell’offerta culturale, ma anche della promozione turistica e sono annoverati come ‘grande evento’ o ‘grande attrattore’ su scala regionale.

“Lo Sponzfest ha creato le condizioni per guardare i luoghi di questo territorio in altro modo, ha fatto riscoprire parti selvatiche o abbandonate, ha ricreato un legame d’affezione per gli emigrati dando ai luoghi di provenienza una nuova dignità denigrata da anni di razzismo interno, o esterno. Ha mostrato come la cultura alta non sia solo l’appannaggio di pochi quando riesce ad essere partecipativa. Ha fatto vivere sulla pelle che la bellezza fa bene. Ha aperto tante finestre: ad ognuno di decidere se stare a guardare, a volte nascosti dietro la tenda, oppure scendere in strada ed intraprendere un cammino”.

“Lo Sponzfest ha creato le condizioni per guardare i luoghi di questo territorio in altro modo, ha fatto riscoprire parti selvatiche, ha ricreato un legame con gli emigrati”

La damiera, di Livia Paola Di Chiara – SponzArti 2018 – Foto di Giuseppe Di Maio

Il connubio fra l’evento agostano e la linea ferroviaria Avellino- Rocchetta è stato determinate per la riapertura della tratta. Qual è la sua opinione sulle prospettive legate al treno storico?

“Credo che la riapertura della tratta ferroviaria sia uno degli eventi Sponz che più ha creato emozioni profonde per i locali, emigrati e non. Anche per il pubblico dello Sponz proveniente da altri luoghi d’Italia, l’esperienza del treno è un modo originale per scoprire il territorio e coglierne aspetti estetici specifici a questo particolare mezzo di trasporto. Per il Festival è stato un altro spazio di ricreazione per inventarsi occasioni di arte esperienziale, come le letture di Ascanio Celestini l’anno scorso o la performance Passa-porti di Ilaria Demonti quest’anno. E’ un inizio che apre tante prospettive che tra l’altro cominciano a delinearsi concretamente. Ci sono tante volontà in campo e professionalità, dalla Fondazione FS Italiane all’associazione InLocoMotivi che lasciano ben sperare”.

“Passa-porti”, di Ilaria Demonti – SponzArti 2018 – Giuseppe Di Maio

L’utilizzo della stazione di Conza della Campania- adibita a saloon e scenografia del selvaggio west- ma anche le stazioni di Calitri e Lacedonia come palcoscenico di eventi, ha costruito la cifra turistica attribuibile a siti dismessi e abbandonati. Sponzarti intende farsi carico delle stazioni e aderire al bando?

“La potenzialità dei siti abbandonati sta nell’essere un grande mezzo per dispiegare l’immaginazione, funzionando da motore aggregativo perché servono proprio ad accendere un immaginario collettivo e non certo individualistico. Chiaramente sento anche io questo richiamo, che richiede però di interagire con altri sognatori. Non sono le idee che mancano, ma le persone. Approfitto quindi dello spazio mediatico di questo bellissimo giornale, a cui auguro ogni bene, per lanciare una bottiglia in mare e raccogliere diponibilità per re-immaginare insieme questi luoghi che da banditi vengono messi al bando, questa volta non per uscire bensì per tornare nella civiltà”.


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