Equilibri saltati, nel Pd appelli al congresso

La stagione renziana iniziata nel dicembre 2013 è finita I Democratici sono al bivio drammatico storico a Roma come nel Paese, in particolare in un Mezzogiorno colonizzato da Cinque Stelle e Lega

Ormai nel Pd gli appelli al congresso non si contano più. Sono saltati tutti gli equilibri in quella che è stata la forza egemone della politica italiana per oltre un lustro. Incapace di incidere nell’opposizione ad un governo che ogni giorno sbanda per contrasti interni alla maggioranza gialloverde, il Pd non rappresenta un riferimento per il suo elettorato, né per una pubblica opinione frastornata. Domenica è toccato al governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, lanciare un drammatico appello per la celebrazione di un congresso che faccia chiarezza sul futuro, dopo le polemiche per la segreteria unitaria indicata dal segretario provvisorio, Maurizio Martina. “Subito la svolta o questo partito rischia di non esistere più”, ha scritto su twitter, infiammando la domenica dei Democratici.

Al di là delle sue ambizioni di assumere la guida del partito, Zingaretti interpreta il sentimento di sgomento  che attraversa la base, il gruppo dirigente territoriale e la fetta di opinione pubblica che continua a sperare in un segnale di ripartenza del Centrosinistra. In questo contesto, in particolare la Campania rappresenta con la Basilicata e le altre regioni del Mezzogiorno l’area di maggiore sofferenza per un Pd in declino perfino nelle roccaforti della Toscana e della Emilia Romagna. Il distacco tra partito e territori dal 2010 ad oggi è andato accentuandosi nell’area metropolitana di Napoli, dove le elezioni regionali del 2020 potrebbero polarizzare il consenso delle periferie sulle forze antisistema, escludendo il Pd dalla corsa per il governo, come avviene sistematicamente dal primo successo di Luigi De Magistris nel giugno 2011, con la sola eccezione della vittoria di Vincenzo De Luca alla Regione Campania tre anni fa.

AVELLINO CASO EMBLEMATICO. La nuova Direzione provinciale, frutto di un congresso disertato dalla larga parte degli iscritti, non ha affrontato i temi del rilancio politico del partito o della crisi di linea e leadership che sta mettendo a rischio la tenuta dei Democratici a livello nazionale. Nemmeno la vicenda complessa della nascente amministrazione pentastellata in seno al Comune capoluogo ha interessato il dibattito di via Tagliamento, dove l’attenzione continua ad essere monopolizzata dalle code di un congresso condiviso da una piccola minoranza della base. Per ora il segretario in carica Di Guglielmo continua il suo personale duello con l’avversario non sconfitto, l’ex tesoriere Michelangelo Ciarcia, ritiratosi dalla competizione per presunte irregolarità nella composizione della platea congressualità. In attesa dell’esito in tribunale dello scontro giudiziario sull’assise, restano le conseguenze. Dopo aver perso clamorosamente al ballottaggio la guida dell’amministrazione comunale, da sempre toccata al Centrosinistra dall’avvento della elezione diretta, il rischio vero è l’abdicazione dalla responsabilità della governance istituzionale locale.

Al di là del ruolo di un segretario prigioniero della minoranza di cui è espressione, appare urgente e indifferibile l’apertura di un confronto tra i veri riferimenti del partito.

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