“Irpini per sempre”, il viaggio emozionale nel cuore dell’Irpinia

Ilde Rampino recensisce per Nuova Irpinia l'antologia curata da Rossella Luongo ed edita da "Edizioni della Sera", con la prefazione di Angelo Picariello e la nota di Franco Arminio

“Irpini per sempre” il viaggio emozionale nel cuore dell’Irpinia. Attraverso le pagine di questo testo, curato da Rossella Luongo, che è in realtà un “viaggio emozionale nel cuore dell’Irpinia” ci si perde nei meandri dei ricordi di chi, come gli autori di questi racconti, appartiene a questa terra, la sente sua e vorrebbe preservarne le tracce. “L’Irpinia è una categoria dello spirito prima ancora che un’entità storico- geografica”, come dice Angelo Picariello nella sua prefazione e questi racconti vogliono portare alla luce il senso nascosto di un sentimento dimenticato: la nostalgia, ricalcando le tracce del passato con una nuova consapevolezza.  Profonde sono le proprie radici immobili nel tempo, come il suono della campana di una chiesetta isolata sul monte, che viene trasportato dal vento e crea una melodia in cui si avverte la sacralità, unita alla tradizione dei gigli di Flumeri, narrata con dovizia di particolari storici, ma in cui si avverte la necessità e il bisogno di ritrovare “una comunità accomunata dall’amore verso il luogo nativo”, storie che si intrecciano lungo i percorsi della memoria come un’edera, nella storia di Serena e  sua figlia Nina nel Casale, in cui si avverte profonda l’indifferenza da parte degli altri che fa soffrire, perché non ci si sente accettati e si vive la maternità come “una vertigine, durante la quale si vorrebbe fuggire”. Pregnante è la dignità e la fierezza delle donne contadine che non hanno bisogno di nessuno, come “l’aria e l’acqua che sono così diverse”, ma che sono legate da un profondo affetto, come nella storia di Ellaria e Monicella, mentre densa di malinconia è la nostalgia di un mondo perduto dei pomeriggi d’estate trascorsi a Gesualdo, ricordando il principe dei musici, in cui sembra di tornare indietro nel tempo e ascoltare i suoi madrigali, rivivendo la propria infanzia e il rapporto con la madre: “la chiudo nella stretta della mano per non tradirne la memoria”. A volte i paesi vengono descritti attraverso il suono dei ricordi, le case tratteggiate con amore, i discorsi che si perdono tra le brume del tempo e lasciano segni nel cuore e regali inaspettati, come “un pan di Spagna fatto apposta per me”. Suscita una certa tenerezza il racconto dei giochi di un ragazzo, Francesco, chiamato “Fulmine” per la sua velocità, che osserva il treno merci Avellino- Rocchetta S.Antonio e ha il desiderio di sfidarlo, correndo sulla strada, ma poi per uno strano gioco del destino il treno non passa ed egli all’inizio rimane deluso, ma poi lo considera quasi un amico che non lo ha voluto far perdere. Nel rapporto tra padre e figlio, ambientato a Volturara, si ravvisa una punta di ironia, mentre egli gli trasmette  il senso di responsabilità, insegnandogli il modo giusto per trasportare l’olio per il lume nell’ “ogliarulo”, mentre particolare è la figura del maestro, che esprime l’attaccamento ai suoi allievi, facendoli andare persino a casa sua, trasmettendo loro il proprio sapere, ma anche in un certo senso mettendoli in pericolo con la sua malattia. Le emozioni rivestono un’importanza fondamentale, come il vibrare di un sentimento dolente e improvviso durante un concerto di Natale con un epilogo inaspettato che lascia senza fiato e poi il trasformarsi di un sentimento di paura che Claudia ha sempre avvertito dentro di sé e che l’ha sempre frenata lungo le tappe del percorso della sua vita, ma un giorno decide di “guardarla in faccia” e stravolgerla, trasformandola in follia e dandole un altro volto. Intensa è una narrazione di “metamorfosi” espressa in un linguaggio immaginifico attraverso cui sembra di entrare in un’altra realtà, penetrarla e poi attraversarla con il senso sparuto di un pensiero: “ho sentito il bisogno di vestirmi al rovescio”. Il paesaggio diventa, in queste pagine, uno specchio su cui riflettere i propri pensieri, come nel “viaggio particolare” osservando le case abbandonate e fatiscenti, dense di mistero, che si erano addormentate sotto la coltre del passato o il luogo in cui si svolgevano i giochi di adolescenti, mentre si ricordano i primi accenni della professione di pittore di Ovidio che riuscirà solo in seguito a trovare la sua strada. Profondamente intenso e a tratti commovente è il dolore dell’Irpinia devastata dal terremoto, che si rivive dopo quarant’anni, un senso di rimpianto a contatto con le macerie e il silenzio irreale dei “figli involontari del terremoto”, i cui particolari venivano narrati dai genitori per “ricostruire le singole presenze in quell’ora fatidica”: si sente il bisogno di riconciliarsi con la memoria, attraverso una ricostruzione intima, il desiderio di non lasciare più i propri luoghi, dove “il velo di malinconia che si cela nei suoi spazi non li copre”. Non mancano personaggi storici che acquistano vita e sembrano ripercorrere le tracce del tempo, come il vescovo Amato di Nusco e S. Giovanni da Montemarano di cui si avvertiva l’”odore soave” durante la traslazione o Diego Cavaniglia e una vicenda che si svolge a S.Francesco a Folloni,  “il segreto delle sedici nicchie” ambientato all’epoca dei Normanni, ma che  si riscopre attuale e denso di fascino e le vicende di studiosi come Marciano Di Leo, sepolto nella dimenticanza, ma non nel proprio paese che ne ha serbato il ricordo. Talvolta si ha la sensazione netta di essere rimasta ferma a un ricordo, come Luisa, passando davanti all’ex carcere borbonico, un luogo che suscitava malinconia, ma che nei suoi pensieri era legato all’immagine di un fazzoletto bianco come cenno di saluto o ricordando “un serpente di stoffa” che diventa il proprio alter ego, una sorta di amico che fa compagnia a Paolina, durante la lettura di un libro che narra la storia di Anna, in cui ella si immedesima e in cui si rivela quasi una premonizione. L’infanzia è uno dei temi predominanti di questo libro, come i ricordi del protagonista nel paese di Andretta, circondato dall’amore del nonno e di Thair, un ragazzo straniero che diventa compagno di giochi, ma che ha dietro di sé storie dimenticate, di salvezza e di disperazione, con gli “occhi vuoti di chi ha perso tutto”; un’infanzia perduta, in cui le parole rivivono ancora come anelli di una catena infinita attraverso i “frammenti di sogni”, quando il Natale era povero, ma pieno di speranza, di regali che si possedevano già, ma venivano adornati con le ali della fantasia. Ritornano alla mente i “sapori antichi” che fanno rivivere momenti importanti, la descrizione dei luoghi corredate da espressioni dialettali che rendono viva la narrazione  e ci fanno entrare in quel mondo, spingendo una porta appena accostata, da cui si sentono i profumi. Un aspetto interessante sono i racconti in cui ci si immerge nella civiltà contadina, caratterizzata da momenti come quello dell’uccisione del maiale, descritto con particolari, a volte crudi, ma che hanno in sé la verità di un rito ancestrale o si rivive la tradizione antica, con le feste tipiche, come il “falò della vigilia dell’Immacolata”, con la partecipazione dei ragazzi che si trasforma in un occasione di gioco e condivisione popolare.

A cura di Ilde Rampino

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