Il Presidente Sergio Mattarella riceve Rosa D'AMELIO, Presidente del Consiglio Regionale della Campania e Coordinatrice delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome. (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Anche i consiglieri regionali del Sud Italia sarebbero favorevoli ad un riassetto delle Regioni, che però non penalizzi questa parte del Paese e non comprometta l’unità nazionale.

E’ quanto emerge da uno studio del Censis, al centro di un convegno organizzato a Napoli, alla presenza di Rosetta D’Amelio, presidente del consiglio regionale della Campania e Coordinatrice della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni, e del presidente del Censis, Giuseppe De Rita. (Leggi l’articolo).

La riorganizzazione delle autonomie locali è da sempre un tema di dibattito politico, che non appare risolto nemmeno dopo decenni di riforme istituzionali, spesso attivate sull’onda degli orientamenti politici del momento e non senza contraddizioni.

 

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontra il Presidente del CENSIS Prof Giuseppe De Rita

Se i cittadini da tempo si dichiarano favorevoli all’abolizione di enti considerati inutili e dispendiosi – e tra questi le Regioni occupano un posto di primo piano nell’opinione pubblica – i governi regionali di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna chiedono maggiori poteri, anche su materie di competenza dello Stato, configurando un’autonomia sbilanciata a favore di alcune aree e a danno di altre, tanto da determinare una richiesta simile da parte del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, per evitare condizioni di sfavore.

Il vero punto della questione resta, quindi, la ricerca di un equilibrio tra le esigenze specifiche dei territori e la centralizzazione di competenze strategiche per il Paese.

Dallo studio del Censis emerge che il 56,3% dei consiglieri regionali italiani sarebbe favorevole ad una riforma delle autonomie regionali. Una percentuale che nel Nord Est raggiunge punte del 68%, ma che si mantiene alta anche nel Mezzogiorno, toccando quota 53,3%. Va detto, però, che il campione dell’indagine è molto ridotto: ha infatti coinvolto soltanto il 15% dei consiglieri in carica.

«Le proposte di autonomia avanzate dalle regioni del Centro Nord – spiega il presidente del centro studi, Giuseppe De Rita – e la propensione anche al Sud a valutare nuove forme di regionalismo evidenziano una volontà di ritrovare nelle Regioni un ente che rappresenti i diversi interessi dei differenti territori in esse racchiusi».

Non è un caso, evidentemente, che il 48,4% dei rappresentanti istituzionali è convinto che le assemblee regionali siano diventate luoghi sterili, nelle quali si ratificano le decisioni degli esecutivi, e che non siano in grado di articolare risposte efficaci ai bisogni dei territori.

Tra le soluzioni possibili, soltanto il 28,6% dei consiglieri regionali interpellati ritiene che un’opzione valida possa essere quella delle macroregioni.

La presidente del consiglio regionale, Rosetta D’Amelio, dal canto suo, ha evidenziato i limiti di un autonomismo differenziato: «Non è possibile che nel nostro Paese si possa pensare di fare un federalismo a due velocità, con regioni che stanno in una situazione economica molto positiva, come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, che chiedono di regionalizzare materie importanti che vanno a seconda delle regioni dall’istruzione alla sanità ad altri servizi, e altre regioni che non siedono a quel tavolo».

Di qui la proposta di aprire un confronto tra tutte le Regioni: «Un tavolo nazionale per cominciare a riflettere su come non dividere il Paese. Questo è possibile se ragioniamo anche di spesa storica, su come si effettuano i riparti, come le aree del Paese vengono garantite da tutti i punti di vista».

Una riforma rispettosa del dettato costituzionale, nato tenendo conto delle diverse esigenze e spinte (nonostante i ripetuti rimaneggiamenti successivi, a cominciare da quello del Titolo V, dedicato proprio alle autonomie), di un sacrosanto principio equitativo e del fatto che nessuna Regione o area del Paese sarebbe in grado di fronteggiare da sola i nuovi scenari economici e geopolitici.

«Pensiamo – ha quindi chiarito D’Amelio, riferendosi all’ordine del giorno presentato in aula sull’argomento – ad una autonomia che si esprima nel pieno rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini italiani e della solidarietà tra le Regioni nell’Italia unita».

Anche oggi però ai cittadini non vengono garantiti di fatto gli stessi servizi e lo stesso livello qualitativo delle prestazioni, a cominciare dalla Sanità. La quota di popolazione che si ritiene soddisfatta in alcune regioni infatti supera il 60%, mentre in altre è inferiore al 20%.

«La questione fondamentale nella discussione sull’autonomia – ha sottolineato l’assessore regionale al Bilancio, Ettore Cinque – è il livello essenziale delle prestazioni, che va garantito a tutti i cittadini italiani. L’iniziativa per l’autonomia delle Regioni del Nord riapre quindi il tema della determinazione dei fabbisogni standard, che potrebbe essere vantaggioso per il Sud, e della perequazione a favore dei territori economicamente più deboli».

Diventa, quindi, necessario arginare eventuali derive disgregatrici: «Nel momento in cui la “torta” si è ridotta, a causa della crisi economica, la richiesta di autonomia legata ai criteri del numero di abitanti e del trattenimento dei residui fiscali, è una provocazione ed una inutile scorciatoia, che rivela una visione concentrata e ristretta sulle singole “fette”, in uno scenario globale devastante nel quale la risposta non può e non deve essere dare vita a staterelli del tutto irrilevanti nei confronti dell’Europa e del mondo».

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